Ambrogio il sagrestano
F. Gonin, Ambrogio e i paesani
È il sagrestano di don Abbondio, un uomo presumibilmente di mezza età che abita in uno stanzino (definito dall'autore un "piccolo abituro", un "bugigattolo") contiguo alla chiesa: compare nel cap. VIII, quando sente le grida del curato che è sfuggito al tentativo di "matrimonio a sorpresa" e si è affacciato da una finestra della sua casa che dà sulla piazza antistante la chiesa. L'uomo si affaccia a sua volta a una "finestrina" e don Abbondio lo informa che c'è "gente in casa", quindi il sagrestano afferra i pantaloni cacciandoseli sotto il braccio come "un cappello di gala", si precipita al campanile e inizia a suonare le campane a martello, per richiamare quanta più gente possibile. In seguito riferisce ai paesani accorsi in aiuto che il curato ha subìto un'aggressione, indossando le brache ma non avendo il tempo di abbottonarle, per cui apre la porta della chiesa con una mano e con l'altra si regge i calzoni (il suo personaggio, del tutto secondario, è una delle figure comiche forse più riuscite del romanzo). Ambrogio ricompare verso la fine della vicenda (cap. XXXVIII), quando conferma a don Abbondio l'avvenuta morte di don Rodrigo e dice di aver parlato col marchese suo erede, appena giunto al palazzotto del nobile defunto (è Renzo a chiamarlo in causa, per convincere il curato che ormai non c'è più pericolo).