Capitolo XXXVI
G. Gallina, Fra Cristoforo scioglie il voto
"Il frate chiamò con un cenno il giovine,
il quale se ne stava nel cantuccio il più lontano, guardando fisso fisso al dialogo in cui
era tanto interessato; e, quando quello fu lì,
disse, a voce più alta, a Lucia: - con l'autorità
che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto
di verginità, annullando ciò che ci poté essere d'inconsiderato, e liberandovi da ogni obbligazione
che poteste averne contratta. -
Pensi il lettore che suono facessero all'orecchio
di Renzo tali parole. Ringraziò vivamente
con gli occhi colui che le aveva proferite;
e cercò subito, ma invano, quelli di Lucia..."
Personaggi:
Luoghi: Tempo: Temi: Trama: |
_Renzo, Lucia, padre Cristoforo, padre Felice Casati, la mercantessa, monatti, commissari, appestati
Il lazzaretto Agosto 1630 La peste, Chiesa e religione Renzo cerca Lucia nella processione dei guariti, in ansia anche per don Rodrigo. Predica di padre Felice ai guariti. Renzo non trova Lucia, quindi entra nel quartiere delle donne. Si finge un monatto attaccandosi un campanello al piede. Trova finalmente Lucia guarita all'interno di una capanna, in compagnia di una mercantessa. Il giovane tenta invano di distogliere Lucia dalla promessa del voto. Renzo torna da padre Cristoforo e gli illustra la questione. Il frate parla con Lucia e la scioglie dal voto. Renzo lascia il lazzaretto, dopo che fra Cristoforo ha donato a lui e Lucia il "pane del perdono" |
Renzo si reca alla processione
Renzo non avrebbe mai immaginato che, recandosi alla processione dei guariti per cercare la sua Lucia, sarebbe stato in pensiero anche per il destino di don Rodrigo, che ha visto moribondo per la peste: eppure è proprio così e il giovane non può fare a meno di pensare anche al suo persecutore, mentre è in ansia per le sorti della sua amata. Si avvicina intanto alla cappella ottagonale che sorge al centro del lazzaretto ed è aperta da tutti i lati, dove si elevano colonne sormontate da archi con delle aperture laterali che consentono di vedere l'altare all'interno da qualunque punto di vista (l'autore ricorda che nell'Ottocento i vani delle facciate sono stati murati, tuttavia la struttura dell'edificio è rimasta simile a quella del tempo della narrazione). Renzo vede padre Felice apparire nel portico della cappella e rivolgersi ai guariti che si radunano davanti a lui, mentre ha già iniziato la predica. Il giovane si porta in fondo al gruppo di persone e inizia in silenzio a scorrerle con gli occhi, specie le donne, senza tuttavia riuscire per il momento a riconoscere nessuno; a questo punto dedica un po' di attenzione alla parte finale della predica del religioso.
La predica di padre Felice
Padre Felice ricorda ai presenti che tante persone sono uscite dal lazzaretto per essere sepolte nel cimitero di S. Gregorio, ridotto a un'unica immensa fossa, altrettante rimangono inferme nei loro giacigli e incerte sul loro destino, mentre loro sono tra i pochi che ne usciranno guariti. Il cappuccino ringrazia Dio per Sua misericordia, per averli voluti salvare e correggere attraverso la sofferenza, per aver loro ricordato che la vita è un dono prezioso dell'Altissimo e va spesa in aiuto del prossimo. Egli raccomanda ai guariti di uscire dal lazzaretto con un contegno severo, senza gioire in modo sfacciato della propria fortuna e con un pensiero a coloro che restano in questo luogo di dolore, pronti a iniziare una nuova vita all'insegna della carità cristiana. Quelli che hanno riacquistato le forze sono invitati a offrire il braccio ai più deboli, i giovani a sostenere i vecchi, tutti ad essere caritatevoli verso i propri fratelli. A questo punto il predicatore indossa una corda al collo in segno di penitenza e si inginocchia, al che tutti fanno silenzio e lo osservano: padre Felice chiede a nome di tutti i suoi confratelli perdono ai guariti se lui o altri ministri non hanno adempiuto pienamente ai loro doveri, se la pigrizia li ha resi meno attenti alle loro necessità, se talvolta si sono mostrati infastiditi della loro presenza, se la loro debolezza li ha indotti a comportamenti che possano averli irritati in alcun modo. Il frate fa il segno della croce sull'uditorio e benedice tutti, quindi si rialza.
Renzo osserva il passaggio della processione
L'autore precisa che questo è il senso del discorso di padre Felice, anche se è impossibile descrivere il modo in cui è stato pronunciato: il frate ritiene un privilegio servire gli appestati, crede davvero di non aver fatto fino in fondo il proprio dovere, chiede perdono perché pensa di averne bisogno; tutti i presenti rispondono con singhiozzi e lacrime, perché essi hanno sempre visto i cappuccini impegnarsi con tutte le forze per assisterli e padre Felice più degli altri. Egli prende poi una grande croce appoggiata a un pilastro e la erge di fronte a sé, lasciando i sandali nella cappella e scendendo scalzo in mezzo alle persone, pronto a guidare la processione verso l'uscita. Renzo, che ha ascoltato la predica commosso come se anche lui fosse uno dei guariti, si mette accanto a una capanna e osserva in silenzio il passaggio delle persone, con una nuova speranza in cuore che forse gli è nata per le parole accorate del cappuccino. Apre il corteo padre Felice, il viso pallido e smunto, debole ma a cui la carità dà la forza per adempiere il proprio compito; lo seguono i ragazzi più grandi, la maggior parte scalzi o vestiti di stracci, alcuni in camicia; poi le donne, quasi tutte tenendo per mano una bambina e recitando in modo alternato il Miserere. Renzo esamina tutti i visi delle donne che passano, con grande attenzione, senza tuttavia riconoscere Lucia in mezzo a loro; sconsolato, lascia che passino gli uomini e vede poi che in fondo al corteo ci sono alcuni carri che trasportano i convalescenti non ancora in grado di camminare, il che gli ridà una debole speranza. La processione è così lenta che il giovane ha tutto il tempo di esaminare anche questi visi, ma anche tale ricerca è infruttuosa e, passato l'ultimo carro, il corteo è chiuso da un frate che tiene un bastone in mano (è padre Michele Pozzobonelli, l'assistente di padre Felice).
Renzo ha capito ormai che nella migliore delle ipotesi Lucia è ancora ammalata, quindi si incammina verso la cappella e si inginocchia sull'ultimo scalino, pronunciando una preghiera che è un insieme di parole confuse, dettate dalla speranza e dalla paura, incomprensibili all'orecchio degli uomini ma che possono essere comprese da Dio. Si rialza rincuorato e gira intorno alla cappella, raggiungendo dopo pochi passi lo steccato che separa il quartiere femminile indicatogli da padre Cristoforo.
Renzo ha capito ormai che nella migliore delle ipotesi Lucia è ancora ammalata, quindi si incammina verso la cappella e si inginocchia sull'ultimo scalino, pronunciando una preghiera che è un insieme di parole confuse, dettate dalla speranza e dalla paura, incomprensibili all'orecchio degli uomini ma che possono essere comprese da Dio. Si rialza rincuorato e gira intorno alla cappella, raggiungendo dopo pochi passi lo steccato che separa il quartiere femminile indicatogli da padre Cristoforo.
Renzo entra nel quartiere delle donne
Lo steccato è in effetti sconnesso in alcuni punti e Renzo riesce senza difficoltà a passare per una delle aperture, inoltrandosi nel quartiere femminile: fatti pochi passi, vede in terra un campanello perso da uno dei monatti e decide di attaccarselo al piede, per fingersi uno di loro e poter girare liberamente senza che nessuno lo ostacoli. A questo punto il giovane inizia a guardare dappertutto in cerca di Lucia, vedendo miserie tanto simili a quelle viste nelle altre parti del lazzaretto e pure molto diverse, perché diverso è il modo di patire e di sopportare delle ammalate e diversa è la pietà di chi osserva questo triste spettacolo. A un tratto Renzo si sente chiamare da qualcuno e, voltatosi, vede un commissario che gli dice di andare in alcune capanne dove c'è bisogno di aiuto; il giovane capisce che a causa del campanello al piede è stato scambiato per un monatto e questo gli può procurare più fastidi di quelli che può evitargli, dunque decide che è meglio liberarsene. Fa cenno al commissario che ha capito, si toglie rapidamente dalla sua vista e si caccia tra le capanne, andando poi a mettersi in uno spazio tra due capanne che si voltano in un certo senso la schiena, chinandosi per togliersi il campanello dal piede: mentre compie l'operazione con la testa appoggiata alla parete della baracca, sente una voce che, incredibilmente, sembra quella di Lucia e che in effetti riconosce come tale, sentendosi quasi mancare il respiro. Renzo riacquista subito le forze e guadagna in un balzo l'uscio della capanna, affacciandosi e vedendo Lucia in piedi, chinata su un lettuccio dove è distesa un'altra ammalata: lei si volta e lo vede, restando attonita per la sorpresa e lasciandosi sfuggire un'esclamazione di stupore.
Renzo ritrova Lucia
Renzo avanza tremante verso Lucia, felice di averla ritrovata viva e guarita: i due si salutano e scambiano alcune brevi parole (lui le dice di essere guarito dalla peste, che sua madre Agnese è ancora in vita), poi la giovane chiede al suo promesso perché è venuto a cercarla, visto che la madre lo ha informato per lettera del voto. Renzo ribatte che la cosa non poteva fermarlo e che il voto non conta nulla, perché la Madonna vuole aiutare i tribolati ma non accetta le promesse che si fanno a danno del prossimo. Secondo lui sarà sufficiente dare alla loro prima figlia il nome Maria e questa sarà una devozione assai più gradita alla Vergine che non il voto di Lucia, che per lui non ha valore perché vien meno a un'altra promessa fatta in precedenza. Lucia protesta ricordando le circostanze drammatiche in cui lei si è votata alla Madonna, tuttavia Renzo le chiede se, tralasciando il voto, lei provi ancora per lui gli stessi sentimenti e la ragazza lo accusa di non avere cuore, di volerla indurre a dire parole che la farebbero solo soffrire. Lo prega di andarsene e di tornare da Agnese, di informarla che lei sta bene e che ha trovato una brava donna (l'ammalata stesa nel lettuccio) che le fa da madre e che spera di riabbracciarla presto. Renzo deve andarsene e mettersi l'animo in pace, pensando a lei solo quando prega il Signore.
Lucia combattuta tra Renzo e il voto
Lucia si allontana da Renzo per avvicinarsi al letto, quando il giovane la informa che padre Cristoforo è al lazzaretto e di avergli parlato poco prima, lasciandogli il dubbio che sia ammalato di peste. Renzo aggiunge che il frate è vicino a loro, non più distante delle loro case al paese (al ricordo Lucia ha un tremito), poi le dice di aver visto nella capanna don Rodrigo, che lui ha perdonato e che forse può ravvedersi, se loro due pregassero insieme per lui come il frate si è augurato che succeda. Lucia afferma che il cappuccino non può sapere in che circostanze lei ha pronunciato il voto, anche se Renzo ribatte che fra Cristoforo ha parlato da santo ed è destino che loro due tornino insieme, poiché questo sarebbe il suggello ideale al pentimento e alla salvezza del loro persecutore. Il giovane intende ora tornare dal religioso e consigliarsi con lui sulla questione e a Lucia dichiara che non si metterà mai il cuore in pace, come lei gli aveva fatto scrivere per lettera, poiché da quando si sono separati ogni suo pensiero è stato per lei e tutto quel che ha patito è stato per lei, tanto che alla prima occasione è subito venuto a cercarla. Lucia prega la Vergine di aiutarla a superare questo momento per lei drammatico, poi prega ancora Renzo di andarsene e di non tornare più, dal momento che la sua presenza lì la riempie di dolore. Il giovane dice che andrà da padre Cristoforo ma tornerà, dovesse andare in capo al mondo, quindi esce.
Lucia e la mercantessa
Appena Renzo è uscito, Lucia torna verso il lettuccio e si lascia cadere a terra, abbandonandosi a un pianto dirotto: l'altra donna, che ha assistito a tutto il drammatico confronto senza dire una parola, si chiede di cosa si tratti ed è a dir poco sorpresa. È una mercantessa di circa trent'anni, che in pochi giorni ha perso il marito e tutti i figli a causa della peste e si è poi a sua volta ammalata, finendo al lazzaretto in quella capanna insieme a Lucia. La ragazza si stava allora riprendendo dalla malattia, che aveva contratto in casa di don Ferrante restando nel delirio, e aveva in seguito assistito la donna in preda al male, mentre ora sta guarendo anche lei. Tra le due è nata un'amicizia e una confidenza particolare, aiutata dalla sofferenza di cui quel luogo è colmo, e si sono promesse di uscire dal lazzaretto insieme e di non separarsi neppure per l'avvenire. La mercantessa è ricca e si ritrova sola al mondo, per cui sarebbe sua intenzione tenere presso di sé Lucia come figlia o sorella, cosa che la giovane accetterebbe dopo aver saputo notizie della madre Agnese e averla consultata sulla questione. Lucia non le ha mai fatto parola di Renzo, o del promesso matrimonio o del voto, ora però il bisogno di confidarsi è tale che le racconta ogni cosa, parlando a stento tra i singhiozzi e le lacrime.
Renzo torna da fra Cristoforo
Renzo intanto è tornato nel quartiere dove si trova padre Cristoforo, che non è nella sua capanna ma in un'altra baracca, chino su un moribondo che sta assistendo. Renzo attende in silenzio e, dopo che il povero ammalato è morto e che il frate ha pronunciato un'orazione, lo vede uscire e gli va incontro: gli dice di aver trovato Lucia, viva e guarita, tuttavia c'è un altro impedimento costituito dal voto, di cui ora informa il frate sperando che lui gli dica che la promessa è nulla. In realtà il padre non può pronunciarsi prima di aver parlato con la giovane, per cui prega Renzo di aspettarlo e poi di seguirlo, così potranno andare insieme da Lucia. Il frate chiede ancora a padre Vittore di sostituirlo per qualche momento, quindi torna nella sua capanna e prende una sporta, per poi andare nuovamente alla baracca in cui c'è don Rodrigo per sincerarsi delle sue condizioni. Entra da solo e ne esce poco dopo, dicendo che il nobile è ancora incosciente e bisogna pregare per lui, quindi si fa condurre da Renzo alla capanna in cui ha visto Lucia. I due si avviano mentre il tempo è sempre più cupo e lampi frequenti squarciano il cielo, minacciando pioggia nella calura soffocante, accompagnati da tuoni che rimbombano da un lato all'altro dell'orizzonte. Renzo cammina svelto, impaziente di arrivare, ma è costretto a rallentare il passo per la lentezza di fra Cristoforo, oppresso dalla malattia e dall'afa.
Fra Cristoforo scioglie il voto di Lucia
Renzo e padre Cristoforo entrano nella capanna e il frate viene accolto da Lucia con grande affetto, ricambiato dal religioso che è sempre affezionato a lei. Il vecchio porta la giovane in un lato della capanna e le chiede di confidarsi con lui, cosa che lei accetta di buon grado: Lucia parla dunque del voto e padre Cristoforo osserva che la promessa di verginità fatta da lei contrastava con quella di matrimonio fatta in precedenza a Renzo, anche se la Madonna avrà certamente bene accolto il voto in quanto fatto di cuore. Il frate chiede a Lucia se si è consigliata con qualcuno sulla questione e la ragazza risponde di no, e alla domanda se ci siano altri ostacoli a sposare Renzo oltre al voto, lei risponde (non senza imbarazzo) che i suoi sentimenti sono immutati. Il padre spiega che in speciali circostanze la Chiesa conferisce a tutti i religiosi i poteri che normalmente sono riservati alle alte gerarchie, quindi, se Lucia lo chiede, lui è in grado di scioglierla dal voto e di dispensarla da qualunque obbligo lei abbia contratto in seguito ad esso. Lucia è incerta e incredula, giacché le sembra sacrilego rompere una promessa fatta di cuore, ma il frate la rassicura col dirle che la cosa avrebbe tutti i crismi della regolarità, aggiungendo che se due persone sono destinate ad essere unite in matrimonio quelli sono Renzo e Lucia, per cui è pronto a sciogliere il voto purché lei lo chieda. Lucia, col viso rosso di pudore, lo chiede e fra Cristoforo invita Renzo ad avvicinarsi (il giovane è stato in silenzio in un cantuccio), quindi recita la formula con cui scioglie il voto di Lucia grazie all'autorità della Chiesa, perdonandola per la sconsideratezza che ha avuto nel pronunciarlo.
Il frate dona il "pane del perdono"
Padre Cristoforo si rivolge ancora a Lucia, dicendole di tornare a pensare serena al suo matrimonio con Renzo, poi parla a quest'ultimo e gli raccomanda di accogliere la restituzione della sua sposa non come una consolazione materiale, ma come l'inizio di una vita insieme che un giorno dovrà finire, invitando entrambi ad allevare gli eventuali figli nella carità e nell'amore di Dio. Chiede poi ai due di pregare per l'anima di don Rodrigo e per la sua, quindi prende la sporta che ha con sé e ne tira fuori una scatola di legno: essa contiene il "pane del perdono", avuto tanti anni prima dal fratello dell'uomo ucciso, e il frate lo dona ai due giovani, dicendo di serbarlo gelosamente e di farlo poi vedere ai loro figli, insegnando loro a perdonare sempre tutte le provocazioni che subiranno in questo triste mondo. Porga la scatola a Lucia, che la prende come una reliquia, quindi chiede alla ragazza cosa pensa di fare a Milano dopo aver lasciato il lazzaretto: lei risponde che si affida alla mercantessa e la vedova, dal canto suo, si dice pronta a riportare Lucia da sua madre al paese, una volta guarite entrambe, e a donarle il corredo approfittando della molta roba rimastale che, ora, non può condividere con nessuno. A questo punto il frate invita Renzo a lasciare con lui quel luogo e i due promessi si scambiano un ultimo saluto, con Lucia che raccomanda al giovane di informare Agnese di quanto accadutole e augurandosi di potersi rivedere presto tutti insieme. Pressato dal religioso, Renzo esce con lui dalla capanna.
Renzo si congeda da fra Cristoforo
Ormai è quasi sera e il tempo minaccia seriamente un temporale, per cui padre Cristoforo propone a Renzo di ospitarlo al coperto nella sua capanna: il giovane però rifiuta, soprattutto perché ha fretta di lasciare il lazzaretto in cui, tra l'altro, non potrà più vedere Lucia. Dice al frate di voler andare subito in cerca di Agnese e il religioso si congeda da lui, raccomandandogli di salutare in suo nome la madre di Lucia e di pregare per lui. Renzo chiede se lo rivedrà e il frate risponde che spera ciò possa avvenire in Cielo. Padre Cristoforo si allontana e Renzo lo guarda finché è scomparso, poi si affretta a uscire dal lazzaretto in cui tutti, monatti, malati, assistenti, si preparano a ripararsi dalla burrasca che incombe.
Temi principali e collegamenti
- Il capitolo, pur non essendo l'ultimo del romanzo, è l'ideale conclusione della vicenda, poiché Renzo ritrova Lucia e viene risolto il nodo principale che ostacola l'unione dei due promessi (vale a dire il voto), avviando la storia al suo naturale lieto fine. È questa l'ultima apparizione diretta di fra Cristoforo, la cui morte per la peste, preannunciata in fondo già in questo episodio, verrà data a Lucia nel cap. XXXVII. Don Rodrigo, nominato più volte nel capitolo, non compare più direttamente e la sua morte verrà annunciata nel cap. XXXVIII, lasciandoci incerti sul suo destino ultraterreno.
- Uno dei momenti più intensi del capitolo è la predica che padre Felice Casati rivolge ai guariti della peste, in realtà l'ultima parte di un discorso tutto improntato alla carità e all'amore di Dio, un grande esempio di retorica cristiana: il frate, personaggio realmente vissuto, viene presentato come uno straordinario esempio di sollecitudine e volontà di sacrificarsi in nome del prossimo e la sua figura è solo una delle tante che animano l'Ordine dei cappuccini molto ammirato da Manzoni (cfr. cap. III e il relativo approfondimento).
- L'espediente trovato da Renzo una volta entrato nel quartiere femminile, ovvero fingersi un monatto attaccandosi al piede un campanello, consentirà di fatto al giovane di trovare Lucia, poiché mentre se lo toglie vicino alla capanna sente la voce di lei (è uno dei tanti eventi "provvidenziali" che segnano il secondo viaggio di Renzo a Milano). La cosa verrà ricordata dal giovane anche in seguito (XXXVIII), quando tra le cose che ha imparato nella sua vita includerà quella di non attaccarsi "un campanello al piede, prima d'aver pensato quel che possa nascere".
- L'incontro tra Renzo e Lucia è il primo da quando i due si sono separati all'inizio del cap. IX, lui diretto a Milano e lei destinata a restare con Agnese a Monza, nel convento di Gertrude: se il momento della separazione era stato rapido, con poche parole di addio fra i due, qui si ha invece un dialogo drammatico in cui Renzo cerca di convincere Lucia della nullità del voto, mentre lei si schermisce credendo di non poter venir meno alla promessa fatta. Questo è anche l'unico momento del romanzo in cui i due promessi si parlano direttamente senza l'interposizione di altri personaggi, se si esclude la presenza muta della mercantessa (sul punto si veda oltre).
- Padre Cristoforo scioglie il voto di Lucia per gli stessi motivi già intuiti da Renzo nella sua ingenuità contadina, ovvero che la promessa è stata fatta in modo inconsiderato (per di più sotto coercizione, particolare trascurato dal frate) e in contrasto con l'altra già fatta a Renzo, per cui essa non obbliga la giovane in alcun modo. Il voto di verginità era stato pronunciato da Lucia durante la terribile notte nel castello dell'innominato (cfr. cap. XXI e relativo approfondimento) e la ragazza l'aveva confidato solo alla madre, che pur ritenendo la sua decisione affrettata non l'aveva dissuasa in alcun modo. Prima dello scioglimento, Renzo aveva proposto a Lucia di chiamare la loro prima figlia Maria e la cosa avverrà realmente, come detto nel cap. XXXVIII.
- Alla fine del capitolo padre Cristoforo dona ai due promessi il cosiddetto "pane del perdono", ovvero quello donatogli trent'anni prima dal fratello del nobile ucciso in duello di fronte al quale si era umiliato e che il frate ha sempre conservato a ricordo ed espiazione dell'omicidio compiuto (cap. IV). Il dono è un ideale testamento spirituale del frate, che sa di essere vicino alla morte, mentre il tema del perdono si ricollega a don Rodrigo col quale Renzo si è davvero riconciliato in cuor suo.
- Entra in scena la mercantessa, ovvero l'agiata vedova di un mercante milanese che ha perso tutta la sua famiglia per la peste e si è affezionata a Lucia, desiderando quasi farle da madre. Il personaggio tornerà nei capp. seguenti e si congederà dai due sposi al momento della loro partenza per il Bergamasco; è lei, inoltre, a informare Lucia del destino di Gertrude, arrestata su ordine del cardinal Borromeo in seguito ai suoi delitti (XXXVII).
Renzo e Lucia, una storia d'amore inespressa
G. Zannoni, Il matrimonio di Renzo e Lucia
La vicenda amorosa dei due protagonisti del romanzo è certo l'asse portante dell'intera narrazione, non fosse altro perché l'intreccio muove dalle insidie di don Rodrigo che tenta di impedire le nozze dei due fidanzati, eppure si può dire che tale "idillio" sentimentale non venga raccontato se non per vaghi cenni ed è proprio su questo argomento che più si esercita la cosiddetta reticenza manzoniana, più ancora che sulla torbida relazione di Gertrude ed Egidio o sul passato delittuoso dell'innominato. Anzitutto la storia inizia il giorno prima delle fatidiche nozze, quando cioè i due giovani si sono già innamorati e c'è già stata la promessa reciproca, una sorta di antefatto che viene praticamente taciuto dall'autore se non facendo dire a Renzo (cap. III) che "discorreva" con Lucia fin dall'estate precedente, e solo per spiegare all'Azzecca-garbugli il motivo per cui le nozze sono state rimandate. L'addio tra i due giovani al momento della separazione (cap. IX) avviene rapidamente, senza troppe parole, e più avanti Lucia si mostra imbarazzata a parlare del suo rapporto con Renzo, specie con la Signora che fin dal primo incontro vuole sapere se la ragazza sposa Renzo di sua volontà e, in seguito, la tempesta di domande indiscrete su di lei e il suo promesso; nel cap. XVIII si fa riferimento proprio alla "storia antecedente alla promessa", col dire che la povera Lucia si schermisce dalle interrogazioni curiose della monaca perché in quella vicenda "c'era mescolato per tutto un sentimento, una parola, che non le pareva possibile di proferire, parlando di sé", vale a dire "l'amore". Il voto impedirà a Lucia di pensare a Renzo nelle vesti di futuro marito e la ragazza parlerà di lui solo a donna Prassede per difenderlo dalle calunnie della nobildonna, per quanto neppure in quella circostanza si parli propriamente di amore, ma solamente di "antichi motivi di stima" e l'autore rinuncia in modo esplicito a dichiarare i reali sentimenti della giovane per Renzo ("non saprei ben dire come la cosa stesse"). Se questo non bastasse, i due promessi non sono quasi mai soli in tutto l'arco della vicenda e quando si parlano non lo fanno mai direttamente, ma sempre per interposta persona (Agnese, padre Cristoforo) e l'unico vero dialogo tra loro si ha nel cap. XXXVI al lazzaretto, quando Renzo ritrova la sua amata e tenta di convincerla a desistere dal voto, in un drammatico confronto in cui Lucia, in lotta con se stessa, cerca inutilmente di respingere le insistenze di lui (e non sono soli neppure questa volta, poiché tutto avviene alla presenza muta della mercantessa). Persino quando tutto è ormai risolto (cap. XXXVIII) e i due fidanzati stanno per convolare a giuste nozze, il contegno di Lucia verso l'uomo che ama rasenta l'indifferenza ("Vi saluto: come state? - disse a occhi bassi, e senza scomporsi") e l'autore ci avverte che "quelle parole non esprimevan tutto ciò che passava nel cuore di Lucia", frase che riassume la cifra stilistica del romanzo in cui l'autore lascia appunto inespresse le questioni amorose, accontentandosi di evocare situazioni e stati d'animo che i lettori ben conoscono, senza bisogno di una narrazione troppo esplicita e ricca di particolari pur innocenti.
Tale scelta dell'autore è quanto meno sorprendente e si spiega per varie ragioni, a cominciare dalla volontà di distaccarsi dalla narrativa di consumo di inizio Ottocento in cui certe tematiche erano fin troppo abusate, senza scordare il proposito manzoniano di non turbare i lettori con l'espressione di contenuti che, in quanto espliciti, potrebbero urtare la sensibilità o turbare le coscienze del pubblico. Nel Fermo e Lucia le omissioni venivano spiegate proprio alla luce di questo scrupolo, in un dialogo con un lettore ideale (II, 1; si veda il testo) che trovava assai strano che la storia non mostrasse nulla del rapporto tra i due protagonisti, al quale Manzoni ribatteva dicendo che "non si deve scrivere d'amore in modo da far consentire l'animo di chi legge a questa passione". L'autore si preoccupava che il libro venisse letto anche da chi avrebbe potuto restare gravemente turbato da una trattazione troppo dettagliata dell'amore, come una "vergine non più acerba" o un "giovane prete", quindi preferiva lasciare alla immaginazione del pubblico quanto di perturbante potesse esservi in una vicenda che, peraltro, non aveva alcun carattere di morbosità. La cosa vale certamente anche per il romanzo maturo, tuttavia sembra esservi qualcosa di più profondo che va al di là dei semplici scrupoli moralistici dello scrittore, un qualche imbarazzo che forse lui stesso prova nel toccare argomenti delicati come il rapporto tra due innamorati, quasi proiettando sul personaggio di Lucia un rossore e una ritrosia che, in realtà, è tutta e solo sua. È difficile naturalmente ipotizzare quale sia l'origine di questo suo atteggiamento, se ad esempio vi sia un rapporto controverso e difficile con l'altro sesso causato dalle sue vicende personali (non vanno scordate le circostanze scabrose della sua nascita, né la precoce separazione della madre e del padre legittimo), se non addirittura una forma di avversione verso la figura femminile, come pure qualche critico moderno ha supposto (Pasolini è arrivato a suggerire una omosessualità latente in Manzoni), tuttavia è indubbio che la reticenza dell'autore in questo campo, se è più che motivata verso argomenti davvero inquietanti come i delitti di Gertrude o dell'innominato, diventa difficile da spiegare solo alla luce di scelte letterarie o preoccupazioni per la salute spirituale di alcuni lettori, sembrando inclinare verso inquietudini più sottili e profonde i cui contorni, forse, non erano chiari neppure all'autore stesso. Sta di fatto che per questi o altri motivi la storia d'amore di Renzo e Lucia non trova adeguata espressione nel romanzo e questo resta uno dei motivi per cui l'opera è in parte lontana dal gusto e dalla sensibilità moderna, abituata a ben altro trattamento letterario delle tematiche erotiche (basta pensare al romanzo decadente diffuso pochi decenni dopo l'opera di Manzoni) e che giudica forse un eccesso di pruderie le esitazioni dell'autore in questo campo, in quanto le motivazioni religiose spiegano la cosa solo in parte e in maniera non del tutto convincente. Non va dimenticato, del resto, che i Promessi sposi non sono per definizione un romanzo d'amore e che i temi che lo scrittore intende mostrare al pubblico sono altri, dalla violenza della storia alle ingiustizie verso i poveri, per cui non stupisce che siano quelle le pagine in cui più si esercita la sua arte, mentre tutto ciò che riguarda l'idillio amoroso dei due promessi viene lasciato sullo sfondo e relegato in un "non detto" che nulla toglie alla potenza narrativa dell'opera; leggere il libro con una prospettiva troppo moderna rischia di non farne cogliere pienamente il messaggio, proprio come per altro verso ha fatto una certa critica cattolica attribuendo le omissioni dello scrittore solo a motivazioni di carattere religioso, il che ha decretato la fortuna dell'opera come lettura scolastica andando forse persino al di là delle reali intenzioni dell'autore. Il romanzo è probabilmente assai meno "ortodosso" di come è stato giudicato per molto tempo e l'assenza del racconto amoroso dimostra che la personalità di Manzoni è inquieta e presenta risvolti opachi che affiorano anche rispetto ad altri argomenti, un campo che la critica contemporanea ha iniziato solo da pochi anni ad esplorare e in cui, forse, qualche luce potrà venire da una lettura del libro libera dai troppi pregiudizi che ne hanno spesso viziato la comprensione (cosa che vale sia per la critica cattolica che per quella marxista, mentre è interessante il filone seguito da alcuni studiosi che sottolineano da un lato il forte pessimismo del romanziere, dall'altro il carattere controverso e tutt'altro che sereno del mondo tratteggiato nell'opera).
Per approfondire: P. P. Pasolini, Renzo proiezione nostalgica di Manzoni; V. Spinazzola, La reticenza di Manzoni verso l'amore.
Tale scelta dell'autore è quanto meno sorprendente e si spiega per varie ragioni, a cominciare dalla volontà di distaccarsi dalla narrativa di consumo di inizio Ottocento in cui certe tematiche erano fin troppo abusate, senza scordare il proposito manzoniano di non turbare i lettori con l'espressione di contenuti che, in quanto espliciti, potrebbero urtare la sensibilità o turbare le coscienze del pubblico. Nel Fermo e Lucia le omissioni venivano spiegate proprio alla luce di questo scrupolo, in un dialogo con un lettore ideale (II, 1; si veda il testo) che trovava assai strano che la storia non mostrasse nulla del rapporto tra i due protagonisti, al quale Manzoni ribatteva dicendo che "non si deve scrivere d'amore in modo da far consentire l'animo di chi legge a questa passione". L'autore si preoccupava che il libro venisse letto anche da chi avrebbe potuto restare gravemente turbato da una trattazione troppo dettagliata dell'amore, come una "vergine non più acerba" o un "giovane prete", quindi preferiva lasciare alla immaginazione del pubblico quanto di perturbante potesse esservi in una vicenda che, peraltro, non aveva alcun carattere di morbosità. La cosa vale certamente anche per il romanzo maturo, tuttavia sembra esservi qualcosa di più profondo che va al di là dei semplici scrupoli moralistici dello scrittore, un qualche imbarazzo che forse lui stesso prova nel toccare argomenti delicati come il rapporto tra due innamorati, quasi proiettando sul personaggio di Lucia un rossore e una ritrosia che, in realtà, è tutta e solo sua. È difficile naturalmente ipotizzare quale sia l'origine di questo suo atteggiamento, se ad esempio vi sia un rapporto controverso e difficile con l'altro sesso causato dalle sue vicende personali (non vanno scordate le circostanze scabrose della sua nascita, né la precoce separazione della madre e del padre legittimo), se non addirittura una forma di avversione verso la figura femminile, come pure qualche critico moderno ha supposto (Pasolini è arrivato a suggerire una omosessualità latente in Manzoni), tuttavia è indubbio che la reticenza dell'autore in questo campo, se è più che motivata verso argomenti davvero inquietanti come i delitti di Gertrude o dell'innominato, diventa difficile da spiegare solo alla luce di scelte letterarie o preoccupazioni per la salute spirituale di alcuni lettori, sembrando inclinare verso inquietudini più sottili e profonde i cui contorni, forse, non erano chiari neppure all'autore stesso. Sta di fatto che per questi o altri motivi la storia d'amore di Renzo e Lucia non trova adeguata espressione nel romanzo e questo resta uno dei motivi per cui l'opera è in parte lontana dal gusto e dalla sensibilità moderna, abituata a ben altro trattamento letterario delle tematiche erotiche (basta pensare al romanzo decadente diffuso pochi decenni dopo l'opera di Manzoni) e che giudica forse un eccesso di pruderie le esitazioni dell'autore in questo campo, in quanto le motivazioni religiose spiegano la cosa solo in parte e in maniera non del tutto convincente. Non va dimenticato, del resto, che i Promessi sposi non sono per definizione un romanzo d'amore e che i temi che lo scrittore intende mostrare al pubblico sono altri, dalla violenza della storia alle ingiustizie verso i poveri, per cui non stupisce che siano quelle le pagine in cui più si esercita la sua arte, mentre tutto ciò che riguarda l'idillio amoroso dei due promessi viene lasciato sullo sfondo e relegato in un "non detto" che nulla toglie alla potenza narrativa dell'opera; leggere il libro con una prospettiva troppo moderna rischia di non farne cogliere pienamente il messaggio, proprio come per altro verso ha fatto una certa critica cattolica attribuendo le omissioni dello scrittore solo a motivazioni di carattere religioso, il che ha decretato la fortuna dell'opera come lettura scolastica andando forse persino al di là delle reali intenzioni dell'autore. Il romanzo è probabilmente assai meno "ortodosso" di come è stato giudicato per molto tempo e l'assenza del racconto amoroso dimostra che la personalità di Manzoni è inquieta e presenta risvolti opachi che affiorano anche rispetto ad altri argomenti, un campo che la critica contemporanea ha iniziato solo da pochi anni ad esplorare e in cui, forse, qualche luce potrà venire da una lettura del libro libera dai troppi pregiudizi che ne hanno spesso viziato la comprensione (cosa che vale sia per la critica cattolica che per quella marxista, mentre è interessante il filone seguito da alcuni studiosi che sottolineano da un lato il forte pessimismo del romanziere, dall'altro il carattere controverso e tutt'altro che sereno del mondo tratteggiato nell'opera).
Per approfondire: P. P. Pasolini, Renzo proiezione nostalgica di Manzoni; V. Spinazzola, La reticenza di Manzoni verso l'amore.
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(voce narrante di Silvia Cecchini).
Capitolo XXXVI
Chi avrebbe mai detto a Renzo, qualche ora prima, che, nel forte d’una tal ricerca, al cominciar de’ momenti più dubbiosi e più decisivi, il suo cuore sarebbe stato diviso tra Lucia e don Rodrigo? Eppure era così: quella figura veniva a mischiarsi con tutte l’immagini care o terribili che la speranza o il timore gli mettevan davanti a vicenda, in quel tragitto; le parole sentite appiè di quel covile, si cacciavano tra i sì e i no, ond’era combattuta la sua mente; e non poteva terminare una preghiera per l’esito felice del gran cimento, senza attaccarci quella che aveva principiata là, e che lo scocco della campana aveva troncata.
La cappella ottangolare che sorge, elevata d’alcuni scalini, nel mezzo del lazzeretto, era, nella sua costruzione primitiva, aperta da tutti i lati, senz’altro sostegno che di pilastri e di colonne, una fabbrica, per dir così, traforata: in ogni facciata un arco tra due intercolunni [1]; dentro girava un portico intorno a quella che si direbbe più propriamente chiesa, non composta che d’otto archi, rispondenti a quelli delle facciate, con sopra una cupola; di maniera che l’altare eretto nel centro, poteva esser veduto da ogni finestra delle stanze del recinto, e quasi da ogni punto del campo. Ora, convertito l’edifizio a tutt’altr’uso, i vani delle facciate son murati; ma l’antica ossatura, rimasta intatta, indica chiaramente l’antico stato, e l’antica destinazione di quello. Renzo s’era appena avviato, che vide il padre Felice comparire nel portico della cappella, e affacciarsi sull’arco di mezzo del lato che guarda verso la città; davanti al quale era radunata la comitiva, al piano, nella strada di mezzo; e subito dal suo contegno s’accorse che aveva cominciata la predica. Girò per quelle viottole, per arrivare alla coda dell’uditorio, come gli era stato suggerito. Arrivatoci, si fermò cheto cheto, lo scorse tutto con lo sguardo; ma non vedeva di là altro che un folto, direi quasi un selciato di teste. Nel mezzo, ce n’era un certo numero coperte di fazzoletti, o di veli [2]: in quella parte ficcò più attentamente gli occhi; ma, non arrivando a scoprirci dentro nulla di più, gli alzò anche lui dove tutti tenevan fissi i loro. Rimase tocco e compunto dalla venerabil figura del predicatore; e, con quel che gli poteva restar d’attenzione in un tal momento d’aspettativa, sentì questa parte del solenne ragionamento. - Diamo un pensiero ai mille e mille che sono usciti di là -; e, col dito alzato sopra la spalla, accennava dietro sé la porta che mette al cimitero detto di san Gregorio, il quale allora era tutto, si può dire, una gran fossa: - diamo intorno un’occhiata ai mille e mille che rimangon qui, troppo incerti di dove sian per uscire; diamo un’occhiata a noi, così pochi, che n’usciamo a salvamento. Benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia! benedetto nella morte, benedetto nella salute! benedetto in questa scelta che ha voluto far di noi! Oh! perché l’ha voluto, figliuoli, se non per serbarsi un piccol popolo corretto dall’afflizione, e infervorato dalla gratitudine? se non a fine che, sentendo ora più vivamente, che la vita è un suo dono, ne facciamo quella stima che merita una cosa data da Lui, l’impieghiamo nell’opere che si possono offrire a Lui? se non a fine che la memoria de’ nostri patimenti ci renda compassionevoli e soccorrevoli ai nostri prossimi? Questi intanto, in compagnia de’ quali abbiamo penato, sperato, temuto; tra i quali lasciamo degli amici, de’ congiunti; e che tutti son poi finalmente nostri fratelli; quelli tra questi, che ci vedranno passare in mezzo a loro, mentre forse riceveranno qualche sollievo nel pensare che qualcheduno esce pur salvo di qui, ricevano edificazione dal nostro contegno. Dio non voglia che possano vedere in noi una gioia rumorosa, una gioia mondana d’avere scansata quella morte, con la quale essi stanno ancor dibattendosi. Vedano che partiamo ringraziando per noi, e pregando per loro; e possan dire: anche fuor di qui, questi si ricorderanno di noi, continueranno a pregare per noi meschini. Cominciamo da questo viaggio, da’ primi passi che siam per fare, una vita tutta di carità. Quelli che sono tornati nell’antico vigore, diano un braccio fraterno ai fiacchi; giovani, sostenete i vecchi; voi che siete rimasti senza figliuoli, vedete, intorno a voi, quanti figliuoli rimasti senza padre! siatelo per loro! E questa carità, ricoprendo i vostri peccati, raddolcirà anche i vostri dolori. Qui un sordo mormorìo di gemiti, un singhiozzìo che andava crescendo nell’adunanza, fu sospeso a un tratto, nel vedere il predicatore mettersi una corda al collo, e buttarsi in ginocchio: e si stava in gran silenzio, aspettando quel che fosse per dire. - Per me, - disse, - e per tutti i miei compagni, che, senza alcun nostro merito, siamo stati scelti all’alto privilegio di servir Cristo in voi; io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamo degnamente adempito un sì gran ministero. Se la pigrizia, se l’indocilità della carne ci ha resi meno attenti alle vostre necessità, men pronti alle vostre chiamate; se un’ingiusta impazienza, se un colpevol tedio ci ha fatti qualche volta comparirvi davanti con un volto annoiato e severo; se qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di noi, ci ha portati a non trattarvi con tutta quell’umiltà che si conveniva, se la nostra fragilità ci ha fatti trascorrere a qualche azione che vi sia stata di scandolo; perdonateci! Così Dio rimetta a voi ogni vostro debito, e vi benedica -. E, fatto sull’udienza [3] un gran segno di croce, s’alzò. Noi abbiam potuto riferire, se non le precise parole, il senso almeno, il tema di quelle che proferì davvero; ma la maniera con cui furon dette non è cosa da potersi descrivere. Era la maniera d’un uomo che chiamava privilegio quello di servir gli appestati, perché lo teneva per tale; che confessava di non averci degnamente corrisposto, perché sentiva di non averci corrisposto degnamente; che chiedeva perdono, perché era persuaso d’averne bisogno. Ma la gente che s’era veduti d’intorno que’ cappuccini non occupati d’altro che di servirla, e tanti n’aveva veduti morire, e quello che parlava per tutti, sempre il primo alla fatica, come nell’autorità, se non quando s’era trovato anche lui in fin di morte; pensate con che singhiozzi, con che lacrime rispose a tali parole. Il mirabil frate prese poi una gran croce ch’era appoggiata a un pilastro, se la inalberò davanti, lasciò sull’orlo del portico esteriore i sandali, scese gli scalini, e, tra la folla che gli fece rispettosamente largo, s’avviò per mettersi alla testa di essa. Renzo, tutto lacrimoso, né più né meno che se fosse stato uno di quelli a cui era chiesto quel singolare perdono, si ritirò anche lui, e andò a mettersi di fianco a una capanna; e stette lì aspettando, mezzo nascosto, con la persona indietro e la testa avanti, con gli occhi spalancati, con una gran palpitazion di cuore, ma insieme con una certa nuova e particolare fiducia, nata, cred’io, dalla tenerezza che gli aveva ispirata la predica, e lo spettacolo della tenerezza generale. Ed ecco arrivare il padre Felice, scalzo, con quella corda al collo, con quella lunga e pesante croce alzata; pallido e scarno il viso, un viso che spirava compunzione insieme e coraggio; a passo lento, ma risoluto, come di chi pensa soltanto a risparmiare l’altrui debolezza; e in tutto come un uomo a cui un di più di fatiche e di disagi desse la forza di sostenere i tanti necessari e inseparabili da quel suo incarico. Subito dopo lui, venivano i fanciulli più grandini, scalzi una gran parte, ben pochi interamente vestiti, chi affatto in camicia. Venivan poi le donne, tenendo quasi tutte per la mano una bambina, e cantando alternativamente il Miserere; e il suono fiacco di quelle voci, il pallore e la languidezza di que’ visi eran cose da occupar tutto di compassione l’animo di chiunque si fosse trovato lì come semplice spettatore. Ma Renzo guardava, esaminava, di fila in fila, di viso in viso, senza passarne uno; ché la processione andava tanto adagio, da dargliene tutto il comodo. Passa e passa; guarda e guarda; sempre inutilmente: dava qualche occhiata di corsa alle file che rimanevano ancora indietro: sono ormai poche; siamo all’ultima; son passate tutte; furon tutti visi sconosciuti. Con le braccia ciondoloni, e con la testa piegata sur una spalla, accompagnò con l’occhio quella schiera, mentre gli passava davanti quella degli uomini. Una nuova attenzione, una nuova speranza gli nacque nel veder, dopo questi, comparire alcuni carri, su cui erano i convalescenti che non erano ancora in istato di camminare. Lì le donne venivan l’ultime; e il treno [4] andava così adagio che Renzo poté ugualmente esaminarle tutte, senza che gliene sfuggisse una. Ma che? esamina il primo carro, il secondo, il terzo, e via discorrendo, sempre con la stessa riuscita, fino a uno, dietro al quale non veniva più che un altro cappuccino, con un aspetto serio, e con un bastone in mano, come regolatore della comitiva. Era quel padre Michele che abbiam detto essere stato dato per compagno nel governo al padre Felice. Così svanì affatto quella cara speranza; e, andandosene, non solo portò via il conforto che aveva recato, ma, come accade le più volte, lasciò l’uomo in peggiore stato di prima. Ormai quel che ci poteva esser di meglio, era di trovar Lucia ammalata. Pure, all’ardore d’una speranza presente sottentrando quello del timore cresciuto, il poverino s’attaccò con tutte le forze dell’animo a quel tristo e debole filo; entrò nella corsia, e s’incamminò da quella parte di dove era venuta la processione. Quando fu appiè della cappella, andò a inginocchiarsi sull’ultimo scalino; e lì fece a Dio una preghiera, o, per dir meglio, una confusione di parole arruffate, di frasi interrotte, d’esclamazioni, d’istanze, di lamenti, di promesse: uno di que’ discorsi che non si fanno agli uomini, perche non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, né pazienza per ascoltarli; non son grandi abbastanza per sentirne compassione senza disprezzo. S’alzò alquanto più rincorato; girò intorno alla cappella; si trovò nell’altra corsia che non aveva ancora veduta, e che riusciva all’altra porta; dopo pochi passi, vide lo stecconato di cui gli aveva parlato il frate, ma interrotto qua e là, appunto come questo aveva detto; entrò per una di quelle aperture, e si trovò nel quartiere delle donne. Quasi al primo passo che fece, vide in terra un campanello, di quelli che i monatti portavano a un piede; gli venne in mente che un tale strumento avrebbe potuto servirgli come di passaporto là dentro; lo prese, guardò se nessuno lo guardava, e se lo legò come usavan quelli. E si mise subito alla ricerca, a quella ricerca, che, per la quantità sola degli oggetti sarebbe stata fieramente gravosa, quand’anche gli oggetti fossero stati tutt’altri; cominciò a scorrer con l’occhio, anzi a contemplar nuove miserie, così simili in parte alle già vedute, in parte così diverse: ché, sotto la stessa calamità, era qui un altro patire, per dir così, un altro languire, un altro lamentarsi, un altro sopportare, un altro compatirsi e soccorrersi a vicenda; era, in chi guardasse, un’altra pietà e un altro ribrezzo. Aveva già fatto non so quanta strada, senza frutto e senza accidenti; quando si sentì dietro le spalle un - oh! - una chiamata, che pareva diretta a lui. Si voltò e vide, a una certa distanza, un commissario, che alzò una mano, accennando proprio a lui, e gridando: - là nelle stanze, ché c’è bisogno d’aiuto: qui s’è finito ora di sbrattare. Renzo s’avvide subito per chi veniva preso, e che il campanello era la cagione dell’equivoco; si diede della bestia d’aver pensato solamente agl’impicci che quell’insegna gli poteva scansare, e non a quelli che gli poteva tirare addosso; ma pensò nello stesso tempo alla maniera di sbrigarsi subito da colui. Gli fece replicatamente e in fretta un cenno col capo, come per dire che aveva inteso, e che ubbidiva; e si levò dalla sua vista, cacciandosi da una parte tra le capanne. Quando gli parve d’essere abbastanza lontano, pensò anche a liberarsi dalla causa dello scandolo [5]; e, per far quell’operazione senz’essere osservato, andò a mettersi in un piccolo spazio tra due capanne che si voltavan, per dir così, la schiena. Si china per levarsi il campanello, e stando così col capo appoggiato alla parete di paglia d’una delle capanne, gli vien da quella all’orecchio una voce... Oh cielo! è possibile? Tutta la sua anima è in quell’orecchio: la respirazione è sospesa... Sì! sì! è quella voce!... - Paura di che? - diceva quella voce soave: - abbiam passato ben altro che un temporale. Chi ci ha custodite finora, ci custodirà anche adesso. Se Renzo non cacciò un urlo, non fu per timore di farsi scorgere, fu perché non n’ebbe il fiato. Gli mancaron le ginocchia, gli s’appannò la vista; ma fu un primo momento; al secondo, era ritto, più desto, più vigoroso di prima; in tre salti girò la capanna, fu sull’uscio, vide colei che aveva parlato, la vide levata, chinata sopra un lettuccio. Si volta essa al rumore; guarda, crede di travedere, di sognare; guarda più attenta, e grida: - oh Signor benedetto! - Lucia! v’ho trovata! vi trovo! siete proprio voi! siete viva! esclamò Renzo, avanzandosi, tutto tremante. - Oh Signor benedetto! - replicò, ancor più tremante, Lucia: - voi? che cosa è questa! in che maniera? perché? La peste! - L’ho avuta. E voi...? - Ah!... anch’io. E di mia madre...? - Non l’ho vista, perché è a Pasturo; credo però che stia bene. Ma voi... come siete ancora pallida! come parete debole! Guarita però, siete guarita? - Il Signore m’ha voluto lasciare ancora quaggiù. Ah Renzo! perché siete voi qui? - Perché? - disse Renzo avvicinandosele sempre più: - mi domandate perché? Perché ci dovevo venire? Avete bisogno che ve lo dica? Chi ho io a cui pensi? Non mi chiamo più Renzo, io? Non siete più Lucia, voi? - Ah cosa dite! cosa dite! Ma non v’ha fatto scrivere mia madre...? [6] - Sì: pur troppo m’ha fatto scrivere. Belle cose da fare scrivere a un povero disgraziato, tribolato, ramingo, a un giovine che, dispetti almeno, non ve n’aveva mai fatti! - Ma Renzo! Renzo! giacché sapevate... perché venire? perché? - Perché venire! Oh Lucia! perché venire, mi dite? Dopo tante promesse! Non siam più noi? Non vi ricordate più? Che cosa ci mancava? - Oh Signore! - esclamò dolorosamente Lucia, giungendo le mani, e alzando gli occhi al cielo: - perché non m’avete fatta la grazia di tirarmi a Voi...! Oh Renzo! cos’avete mai fatto? Ecco; cominciavo a sperare che... col tempo... mi sarei dimenticata... - Bella speranza! belle cose da dirmele proprio sul viso! - Ah, cos’avete fatto! E in questo luogo! tra queste miserie! tra questi spettacoli! qui dove non si fa altro che morire, avete potuto...! - Quelli che moiono, bisogna pregare Iddio per loro, e sperare che anderanno in un buon luogo; ma non è giusto, né anche per questo, che quelli che vivono abbiano a viver disperati... - Ma, Renzo! Renzo! voi non pensate a quel che dite. Una promessa alla Madonna!... Un voto! - E io vi dico che son promesse che non contan nulla. - Oh Signore! Cosa dite? Dove siete stato in questo tempo? Con chi avete trattato? Come parlate? - Parlo da buon cristiano; e della Madonna penso meglio io che voi; perché credo che non vuol promesse in danno del prossimo. Se la Madonna avesse parlato, oh, allora! Ma cos’è stato? una vostra idea. Sapete cosa dovete promettere alla Madonna? Promettetele che la prima figlia che avremo, le metteremo nome Maria: ché questo son qui anch’io a prometterlo: queste son cose che fanno ben più onore alla Madonna: queste son divozioni che hanno più costrutto, e non portan danno a nessuno. - No no; non dite così: non sapete quello che vi dite: non lo sapete voi cosa sia fare un voto: non ci siete stato voi in quel caso: non avete provato. Andate, andate, per amor del cielo! E si scostò impetuosamente da lui, tornando verso il lettuccio. - Lucia! - disse Renzo, senza moversi: - ditemi almeno, ditemi: se non fosse questa ragione... sareste la stessa per me? - Uomo senza cuore! - rispose Lucia, voltandosi, e rattenendo a stento le lacrime: - quando m’aveste fatte dir delle parole inutili, delle parole che mi farebbero male, delle parole che sarebbero forse peccati, sareste contento? Andate, oh andate! dimenticatevi di me: si vede che non eravamo destinati! Ci rivedremo lassù: già non ci si deve star molto in questo mondo. Andate; cercate di far sapere a mia madre che son guarita, che anche qui Dio m’ha sempre assistita, che ho trovato un’anima buona, questa brava donna, che mi fa da madre; ditele che spero che lei sarà preservata da questo male, e che ci rivedremo quando Dio vorrà, e come vorrà... Andate, per amor del cielo, e non pensate a me... se non quando pregherete il Signore. E, come chi non ha più altro da dire, né vuol sentir altro, come chi vuol sottrarsi a un pericolo, si ritirò ancor più vicino al lettuccio, dov’era la donna di cui aveva parlato. - Sentite, Lucia, sentite! - disse Renzo, senza però accostarsele di più. - No, no; andate per carità! - Sentite: il padre Cristoforo... - Che? - È qui. - Qui? dove? Come lo sapete? - Gli ho parlato poco fa; sono stato un pezzo con lui: e un religioso della sua qualità, mi pare... - È qui! per assistere i poveri appestati, sicuro. Ma lui? l’ha avuta la peste? - Ah Lucia! ho paura, ho paura pur troppo... - e mentre Renzo esitava così a proferir la parola dolorosa per lui, e che doveva esserlo tanto a Lucia, questa s’era staccata di nuovo dal lettuccio, e si ravvicinava a lui: - ho paura che l’abbia adesso! - Oh povero sant’uomo! Ma cosa dico, pover’uomo? Poveri noi! Com’è? è a letto? è assistito? - È levato, gira, assiste gli altri; ma se lo vedeste, che colore che ha, come si regge! Se n’è visti tanti e tanti, che pur troppo... non si sbaglia! - Oh poveri noi! E è proprio qui! - Qui, e poco lontano: poco più che da casa vostra a casa mia... se vi ricordate...! - Oh Vergine Santissima! - Bene, poco più. E pensate se abbiam parlato di voi! M’ha detto delle cose... E se sapeste cosa m’ha fatto vedere! Sentirete; ma ora voglio cominciare a dirvi quel che m’ha detto prima, lui, con la sua propria bocca. M’ha detto che facevo bene a venirvi a cercare, e che al Signore gli piace che un giovine tratti così [7], e m’avrebbe aiutato a far che vi trovassi; come è proprio stato la verità: ma già è un santo. Sicché, vedete! - Ma, se ha parlato così, è perché lui non sa... - Che volete che sappia lui delle cose che avete fatte voi di vostra testa, senza regola e senza il parere di nessuno? Un brav’uomo, un uomo di giudizio, come è lui, non va a pensar cose di questa sorte. Ma quel che m’ha fatto vedere! - E qui raccontò la visita fatta a quella capanna [8]: Lucia, quantunque i suoi sensi e il suo animo, avessero, in quel soggiorno, dovuto avvezzarsi alle più forti impressioni, stava tutta compresa d’orrore e di compassione. - E anche lì, - proseguì Renzo, - ha parlato da santo: ha detto che il Signore forse ha destinato di far la grazia a quel meschino... (ora non potrei proprio dargli un altro nome)... che aspetta di prenderlo in un buon punto; ma vuole che noi preghiamo insieme per lui... Insieme! avete inteso? - Sì, sì; lo pregheremo, ognuno dove il Signore ci terrà: le orazioni le sa mettere insieme Lui. - Ma se vi dico le sue parole...! - Ma Renzo, lui non sa... - Ma non capite che, quando è un santo che parla, è il Signore che lo fa parlare? e che non avrebbe parlato così, se non dovesse esser proprio così?... E l’anima di quel poverino? Io ho bensì pregato, e pregherò per lui: di cuore ho pregato, proprio come se fosse stato per un mio fratello. Ma come volete che stia nel mondo di là, il poverino, se di qua non s’accomoda questa cosa, se non è disfatto il male che ha fatto lui? Che se voi intendete la ragione, allora tutto è come prima: quel che è stato è stato: lui ha fatto la sua penitenza di qua... - No, Renzo, no: il Signore non vuole che facciamo del male, per far Lui misericordia. Lasciate fare a Lui, per questo: noi, il nostro dovere è di pregarlo. S’io fossi morta quella notte, non gli avrebbe dunque potuto perdonare? E se non son morta, se sono stata liberata... - E vostra madre, quella povera Agnese, che m’ha sempre voluto tanto bene, e che si struggeva tanto di vederci marito e moglie, non ve l’ha detto anche lei che l’è un’idea storta? Lei, che v’ha fatto intender la ragione anche dell’altre volte, perché, in certe cose, pensa più giusto di voi... [9] - Mia madre! volete che mia madre mi desse il parere di mancare a un voto! Ma, Renzo! non siete in voi. - Oh! volete che ve la dica? Voi altre donne, queste cose non le potete sapere. Il padre Cristoforo m’ha detto che tornassi da lui a raccontargli se v’avevo trovata. Vo: lo sentiremo: quel che dirà lui... - Sì, sì; andate da quel sant’uomo; ditegli che prego per lui, e che preghi per me, che n’ho bisogno tanto tanto! Ma, per amor del cielo, per l’anima vostra, per l’anima mia, non venite più qui, a farmi del male, a... tentarmi. Il padre Cristoforo, lui saprà spiegarvi le cose, e farvi tornare in voi; lui vi farà mettere il cuore in pace. - Il cuore in pace! Oh! questo, levatevelo dalla testa. Già me l’avete fatta scrivere questa parolaccia; e so io quel che m’ha fatto patire; e ora avete anche il cuore di dirmela. E io in vece vi dico chiaro e tondo che il cuore in pace non lo metterò mai. Voi volete dimenticarvi di me; e io non voglio dimenticarmi di voi. E vi prometto, vedete, che, se mi fate perdere il giudizio, non lo racquisto più. Al diavolo il mestiere, al diavolo la buona condotta! Volete condannarmi a essere arrabbiato per tutta la vita; e da arrabbiato viverò... E quel disgraziato! Lo sa il Signore se gli ho perdonato di cuore; ma voi... Volete dunque farmi pensare per tutta la vita che se non era lui...? Lucia! avete detto ch’io vi dimentichi: ch’io vi dimentichi! Come devo fare? A chi credete ch’io pensassi in tutto questo tempo?... E dopo tante cose! dopo tante promesse! Cosa v’ho fatto io, dopo che ci siamo lasciati? Perché ho patito, mi trattate così? perché ho avuto delle disgrazie? perché la gente del mondo m’ha perseguitato? perché ho passato tanto tempo fuori di casa, tristo, lontano da voi? perché, al primo momento che ho potuto, son venuto a cercarvi? Lucia, quando il pianto le permise di formar parole, esclamò, giungendo di nuovo le mani, e alzando al cielo gli occhi pregni di lacrime: - o Vergine santissima, aiutatemi voi! Voi sapete che, dopo quella notte, un momento come questo non l’ho mai passato. M’avete soccorsa allora; soccorretemi anche adesso! - Sì, Lucia; fate bene d’invocar la Madonna; ma perché volete credere che Lei che è tanto buona, la madre delle misericordie, possa aver piacere di farci patire... me almeno... per una parola scappata in un momento che non sapevate quello che vi dicevate? Volete credere che v’abbia aiutata allora, per lasciarci imbrogliati dopo?... Se poi questa fosse una scusa; se è ch’io vi sia venuto in odio... ditemelo... parlate chiaro. - Per carità, Renzo, per carità, per i vostri poveri morti, finitela, finitela; non mi fate morire... Non sarebbe un buon momento. Andate dal padre Cristoforo; raccomandatemi a lui, non tornate più qui, non tornate più qui. - Vo; ma pensate se non voglio tornare! Tornerei se fosse in capo al mondo, tornerei -. E disparve. Lucia andò a sedere, o piuttosto si lasciò cadere in terra, accanto al lettuccio; e, appoggiata a quello la testa, continuò a piangere dirottamente. La donna, che fin allora era stata a occhi e orecchi aperti, senza fiatare, domandò cosa fosse quell’apparizione, quella contesa, questo pianto. Ma forse il lettore domanda dal canto suo chi fosse costei; e, per soddisfarlo, non ci vorranno, né anche qui, troppe parole. Era un’agiata mercantessa, di forse trent’anni. Nello spazio di pochi giorni, s’era visto morire in casa il marito e tutti i figliuoli: di lì a poco, venutale la peste anche a lei, era stata trasportata al lazzeretto, e messa in quella capannuccia, nel tempo che Lucia, dopo aver superata, senza avvedersene, la furia del male, e cambiate, ugualmente senza avvedersene, più compagne, cominciava a riaversi, e a tornare in sé; ché, fin dal principio della malattia, trovandosi ancora in casa di don Ferrante, era rimasta come insensata. La capanna non poteva contenere che due persone: e tra queste due, afflitte, derelitte, sbigottite, sole in tanta moltitudine, era presto nata un’intrinsichezza, un’affezione, che appena sarebbe potuta venire da un lungo vivere insieme. In poco tempo, Lucia era stata in grado di poter aiutar l’altra, che s’era trovata aggravatissima. Ora che questa pure era fuori di pericolo, si facevano compagnia e coraggio e guardia a vicenda; s’eran promesse di non uscir dal lazzeretto, se non insieme; e avevan presi altri concerti per non separarsi neppur dopo. La mercantessa che, avendo lasciata in custodia d’un suo fratello commissario della Sanità, la casa e il fondaco [10] e la cassa, tutto ben fornito, era per trovarsi sola e trista padrona di molto più di quel che le bisognasse per viver comodamente, voleva tener Lucia con sé, come una figliuola o una sorella. Lucia aveva aderito, pensate con che gratitudine per lei, e per la Provvidenza; ma soltanto fin che potesse aver nuove di sua madre, e sapere, come sperava, la volontà di essa. Del resto, riservata com’era, né della promessa dello sposalizio, né dell’altre sue avventure straordinarie, non aveva mai detta una parola. Ma ora, in un così gran ribollimento d’affetti, aveva almen tanto bisogno di sfogarsi, quanto l’altra desiderio di sentire. E, stretta con tutt’e due le mani la destra di lei, si mise subito a soddisfare alla domanda, senz’altro ritegno, che quello che le facevano i singhiozzi. Renzo intanto trottava verso il quartiere del buon frate. Con un po’ di studio, e non senza dover rifare qualche pezzetto di strada, gli riuscì finalmente d’arrivarci. Trovò la capanna; lui non ce lo trovò; ma, ronzando e cercando nel contorno, lo vide in una baracca, che, piegato a terra, e quasi bocconi, stava confortando un moribondo. Si fermò lì, aspettando in silenzio. Poco dopo, lo vide chiuder gli occhi a quel poverino, poi mettersi in ginocchio, far orazione un momento, e alzarsi. Allora si mosse, e gli andò incontro - Oh! - disse il frate, vistolo venire; - ebbene? - La c’è: l’ho trovata! - In che stato? - Guarita, o almeno levata. - Sia ringraziato il Signore! - Ma... - disse Renzo, quando gli fu vicino da poter parlar sottovoce: - c’è un altro imbroglio. - Cosa c’è? - Voglio dire che... Già lei lo sa come è buona quella povera giovine; ma alle volte è un po’ fissa nelle sue idee. Dopo tante promesse, dopo tutto quello che sa anche lei, ora dice che non mi può sposare, perché dice, che so io? che, quella notte della paura, s’è scaldata la testa, e s’è, come a dire, votata alla Madonna. Cose senza costrutto, n’è vero? Cose buone, chi ha la scienza e il fondamento da farle, ma per noi gente ordinaria, che non sappiamo bene come si devon fare... n’è vero che son cose che non valgono? - Dimmi: è molto lontana di qui? - Oh no: pochi passi di là dalla chiesa. - Aspettami qui un momento, - disse il frate: - e poi ci anderemo insieme. - Vuol dire che lei le farà intendere... - Non so nulla, figliuolo; bisogna ch’io senta lei. - Capisco, - disse Renzo, e stette con gli occhi fissi a terra, e con le braccia incrociate sul petto, a masticarsi la sua incertezza, rimasta intera. Il frate andò di nuovo in cerca di quel padre Vittore, lo pregò di supplire ancora per lui, entrò nella sua capanna, n’uscì con la sporta in braccio, tornò da Renzo, gli disse: - andiamo -; e andò innanzi, avviandosi a quella tal capanna, dove, qualche tempo prima, erano entrati insieme. Questa volta, entrò solo, e dopo un momento ricomparve, e disse: - niente! Preghiamo; preghiamo -. Poi riprese: - ora, conducimi tu. E senza dir altro, s’avviarono. Il tempo s’era andato sempre più rabbuiando, e annunziava ormai certa e poco lontana la burrasca. De’ lampi fitti rompevano l’oscurità cresciuta, e lumeggiavano d’un chiarore istantaneo i lunghissimi tetti e gli archi de’ portici, la cupola della cappella, i bassi comignoli delle capanne; e i tuoni scoppiati con istrepito repentino, scorrevano rumoreggiando dall’una all’altra regione del cielo. Andava innanzi il giovine, attento alla strada, con una grand’impazienza d’arrivare, e rallentando però il passo, per misurarlo alle forze del compagno; il quale, stanco dalle fatiche, aggravato dal male, oppresso dall’afa, camminava stentatamente, alzando ogni tanto al cielo la faccia smunta, come per cercare un respiro più libero. Renzo, quando vide la capanna, si fermò, si voltò indietro, disse con voce tremante: - è qui. Entrano... - Eccoli! - grida la donna del lettuccio. Lucia si volta, s’alza precipitosamente, va incontro al vecchio, gridando: - oh chi vedo! O padre Cristoforo! - Ebbene, Lucia! da quante angustie v’ha liberata il Signore! Dovete esser ben contenta d’aver sempre sperato in Lui. - Oh sì! Ma lei, padre? Povera me, come è cambiato! Come sta? dica: come sta? - Come Dio vuole, e come, per sua grazia, voglio anch’io, rispose, con volto sereno, il frate. E, tiratala in un canto, soggiunse: - sentite: io non posso rimaner qui che pochi momenti. Siete voi disposta a confidarvi in me, come altre volte? - Oh! non è lei sempre il mio padre? - Figliuola, dunque; cos’è codesto voto che m’ha detto Renzo? - È un voto che ho fatto alla Madonna... oh! in una gran tribolazione!... di non maritarmi. - Poverina! Ma avete pensato allora, ch’eravate legata da una promessa? - Trattandosi del Signore e della Madonna!... non ci ho pensato. - Il Signore, figliuola, gradisce i sagrifizi, l’offerte, quando le facciamo del nostro. È il cuore che vuole, è la volontà: ma voi non potevate offrirgli la volontà d’un altro, al quale v’eravate già obbligata. - Ho fatto male? - No, poverina, non pensate a questo: io credo anzi che la Vergine santa avrà gradita l’intenzione del vostro cuore afflitto, e l’avrà offerta a Dio per voi. Ma ditemi; non vi siete mai consigliata con nessuno su questa cosa? - Io non pensavo che fosse male, da dovermene confessare: e quel poco bene che si può fare, si sa che non bisogna raccontarlo. - Non avete nessun altro motivo che vi trattenga dal mantener la promessa che avete fatta a Renzo? - In quanto a questo... per me... che motivo...? Non potrei proprio dire... - rispose Lucia, con un’esitazione che indicava tutt’altro che un’incertezza del pensiero; e il suo viso ancora scolorito dalla malattia, fiorì tutt’a un tratto del più vivo rossore. - Credete voi, - riprese il vecchio, abbassando gli occhi, - che Dio ha data alla sua Chiesa l’autorità di rimettere e di ritenere, secondo che torni in maggior bene, i debiti e gli obblighi che gli uomini possono aver contratti con Lui? - Sì, che lo credo. - Ora sappiate che noi, deputati alla cura dell’anime in questo luogo, abbiamo, per tutti quelli che ricorrono a noi, le più ampie facoltà della Chiesa; e che per conseguenza, io posso, quando voi lo chiediate, sciogliervi dall’obbligo, qualunque sia, che possiate aver contratto a cagion di codesto voto. - Ma non è peccato tornare indietro, pentirsi d’una promessa fatta alla Madonna? Io allora l’ho fatta proprio di cuore... - disse Lucia, violentemente agitata dall’assalto d’una tale inaspettata, bisogna pur dire speranza, e dall’insorgere opposto d’un terrore fortificato da tutti i pensieri che, da tanto tempo, eran la principale occupazione dell’animo suo. - Peccato, figliuola? - disse il padre: - peccato il ricorrere alla Chiesa, e chiedere al suo ministro che faccia uso dell’autorità che ha ricevuto da essa, e che essa ha ricevuta da Dio? Io ho veduto in che maniera voi due siete stati condotti ad unirvi; e, certo, se mai m’è parso che due fossero uniti da Dio, voi altri eravate quelli: ora non vedo perché Dio v’abbia a voler separati. E lo benedico che m’abbia dato, indegno come sono, il potere di parlare in suo nome, e di rendervi la vostra parola. E se voi mi chiedete ch’io vi dichiari sciolta da codesto voto, io non esiterò a farlo; e desidero anzi che me lo chiediate. - Allora...! allora...! lo chiedo; - disse Lucia, con un volto non turbato più che di pudore. Il frate chiamò con un cenno il giovine, il quale se ne stava nel cantuccio il più lontano, guardando (giacché non poteva far altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato; e, quando quello fu lì, disse, a voce più alta, a Lucia: - con l’autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto di verginità, annullando ciò che ci poté essere d’inconsiderato, e liberandovi da ogni obbligazione che poteste averne contratta. Pensi il lettore che suono facessero all’orecchio di Renzo tali parole. Ringraziò vivamente con gli occhi colui che le aveva proferite; e cercò subito, ma invano, quelli di Lucia. - Tornate, con sicurezza e con pace, ai pensieri d’una volta, seguì a dirle il cappuccino: - chiedete di nuovo al Signore le grazie che Gli chiedevate, per essere una moglie santa; e confidate che ve le concederà più abbondanti, dopo tanti guai. E tu, - disse, voltandosi a Renzo, - ricordati, figliuolo, che se la Chiesa ti rende questa compagna, non lo fa per procurarti una consolazione temporale e mondana, la quale, se anche potesse essere intera, e senza mistura d’alcun dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento di lasciarvi; ma lo fa per avviarvi tutt’e due sulla strada della consolazione che non avrà fine. Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero d’avere a lasciarvi, e con la speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che v’ha condotti a questo stato, non per mezzo dell’allegrezze turbolente e passeggiere, ma co’ travagli e tra le miserie, per disporvi a una allegrezza raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira d’allevarli per Lui, d’istillar loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto. Lucia! v’ha detto, - e accennava Renzo, - chi ha visto qui? - Oh padre, me l’ha detto! - Voi pregherete per lui! Non ve ne stancate. E anche per me pregherete!... Figliuoli! voglio che abbiate un ricordo del povero frate -. E qui levò dalla sporta una scatola d’un legno ordinario, ma tornita e lustrata con una certa finitezza cappuccinesca; e proseguì: - qui dentro c’è il resto di quel pane... il primo che ho chiesto per carità; quel pane, di cui avete sentito parlare! Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che preghino, anche loro, per il povero frate! E porse la scatola a Lucia, che la prese con rispetto, come si farebbe d’una reliquia. Poi, con voce più tranquilla, riprese: - ora ditemi; che appoggi avete qui in Milano? Dove pensate d’andare a alloggiare, appena uscita di qui? E chi vi condurrà da vostra madre, che Dio voglia aver conservata in salute? - Questa buona signora mi fa lei intanto da madre: noi due usciremo di qui insieme, e poi essa penserà a tutto. - Dio la benedica, - disse il frate, accostandosi al lettuccio. - La ringrazio anch’io, - disse la vedova, - della consolazione che ha data a queste povere creature; sebbene io avessi fatto conto di tenerla sempre con me, questa cara Lucia. Ma la terrò intanto; l’accompagnerò io al suo paese, la consegnerò a sua madre; e, soggiunse poi sottovoce, - voglio farle io il corredo. N’ho troppa della roba; e di quelli che dovevan goderla con me, non ho più nessuno! - Così, - rispose il frate, - lei può fare un gran sacrifizio al Signore, e del bene al prossimo. Non le raccomando questa giovine: già vedo che è come sua: non c’è che da lodare il Signore, il quale sa mostrarsi padre anche ne’ flagelli, e che, col farle trovare insieme, ha dato un così chiaro segno d’amore all’una e all’altra. Orsù, riprese poi, voltandosi a Renzo, e prendendolo per una mano: noi due non abbiam più nulla da far qui: e ci siamo stati anche troppo. Andiamo. - Oh padre! - disse Lucia: - la vedrò ancora? Io sono guarita, io che non fo nulla di bene a questo mondo; e lei...! - È già molto tempo, - rispose con tono serio e dolce il vecchio, - che chiedo al Signore una grazia, e ben grande: di finire i miei giorni in servizio del prossimo. Se me la volesse ora concedere, ho bisogno che tutti quelli che hanno carità per me, m’aiutino a ringraziarlo. Via; date a Renzo le vostre commissioni per vostra madre. - Raccontatele quel che avete veduto, - disse Lucia al promesso sposo: - che ho trovata qui un’altra madre, che verrò con questa più presto che potrò, e che spero, spero di trovarla sana. - Se avete bisogno di danari, - disse Renzo, - ho qui tutti quelli che m’avete mandati [11], e... - No, no, - interruppe la vedova: - ne ho io anche troppi. - Andiamo, - replicò il frate. - A rivederci, Lucia...! e anche lei, dunque, quella buona signora, - disse Renzo, non trovando parole che significassero quello che sentiva. - Chi sa che il Signore ci faccia la grazia di rivederci ancora tutti! - esclamò Lucia. - Sia Egli sempre con voi, e vi benedica, - disse alle due compagne fra Cristoforo; e uscì con Renzo dalla capanna. Mancava poco alla sera, e il tempo pareva sempre più vicino a risolversi. Il cappuccino esibì di nuovo al giovine di ricoverarlo per quella notte nella sua baracca. - Compagnia, non te ne potrò fare, - soggiunse: - ma avrai da stare al coperto. Renzo però si sentiva una smania d’andare; e non si curava di rimaner più a lungo in un luogo simile, quando non poteva profittarne per veder Lucia, e non avrebbe neppur potuto starsene un po’ col buon frate. In quanto all’ora e al tempo, si può dire che notte e giorno, sole e pioggia, zeffiro e tramontano, eran tutt’uno per lui in quel momento. Ringraziò dunque il frate, dicendo che voleva andar più presto che fosse possibile in cerca d’Agnese. Quando furono nella strada di mezzo, il frate gli strinse la mano, e disse: - se la trovi, che Dio voglia! quella buona Agnese, salutala anche in mio nome; e a lei, e a tutti quelli che rimangono, e si ricordano di fra Cristoforo, dì che preghin per lui. Dio t’accompagni, e ti benedica per sempre. - Oh caro padre...! ci rivedremo? ci rivedremo? - Lassù, spero -. E con queste parole, si staccò da Renzo; il quale, stato lì a guardarlo fin che non l’ebbe perso di vista, prese in fretta verso la porta, dando a destra e a sinistra l’ultime occhiate di compassione a quel luogo di dolori. C’era un movimento straordinario, un correr di monatti, un trasportar di roba, un accomodar le tende delle baracche, uno strascicarsi di convalescenti a queste e ai portici, per ripararsi dalla burrasca imminente. |
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Note
- Gli spazi posti tra due colonne.
- Si tratta delle donne.
- Sull'uditorio.
- Il convoglio dei carri.
- Del campanello, fonte dell'equivoco.
- Agnese aveva informato Renzo del voto in una lettera, durante una farraginosa corrispondenza (cap. XXVII)
- Si comporti.
- Dove ha visto don Rodrigo agonizzante.
- Renzo probabilmente allude allo stratagemma del "matrimonio a sorpresa", rispetto al quale Lucia era fieramente contraria.
- Il magazzino.
- Si tratta dei cinquanta scudi inviatigli a suo tempo da Agnese per lettera e che lui non ha mai speso, serbandoli come dote per Lucia (prima di ritornare nel milanese li aveva presi con sé, cfr. cap. XXXIII).