La vecchia del castello dell'innominato
F. Gonin, La vecchia
È un'anziana donna che vive nel castello dell'innominato e svolge le mansioni più umili, ricevendo per lo più improperi e beffe da parte dei bravi ai quali lei ribatte con altrettanta malignità: nata e cresciuta in quel luogo, è vissuta nella cieca obbedienza del suo signore e ha sposato uno dei bravi, che in seguito è morto nel corso di un'azione delittuosa e l'ha lasciata vedova nel castello, dove lei ora rattoppa i cenci degli altri sgherri, prepara loro da mangiare, ne cura le ferite. Viene descritta come un "ceffo... deforme", con "il mento appuntato e gli occhi infossati", dunque con un aspetto da vecchia megera che la caratterizza in senso fortemente "comico" e caricaturale: è introdotta alla fine del cap. XX, quando il suo padrone è in attesa della carrozza che trasporta Lucia (che è stata rapita a Monza dal Nibbio e altri bravi) e ordina alla vecchia di allestire una portantina con cui dovrà portare la giovane al castello, raccomandandole inoltre di farle "coraggio". La vecchia mostra di non capire cosa intenda dire l'innominato e questi, irritato, le suggerisce di dire alla ragazza le parole che lei stessa vorrebbe sentire in un simile frangente, quindi la manda via in malo modo. La vecchia esegue gli ordini (XXI) e accoglie Lucia cercando di rassicurarla in modo goffo e sgraziato (continua a ripetere meccanicamente "fatevi coraggio"), ottenendo come risultato quello di inquietarla ancor di più; evita di dire il nome del suo padrone, come lui le aveva raccomandato, limitandosi a definire fortunati "quelli a cui vuol far del bene" e al santo nome di Maria invocato da Lucia ha una strana reazione, come un "vecchione accecato da bambino" che ricordi in modo vago la luce (la donna ha perso ogni riferimento morale, vivendo in mezzo ai delitti e alle scelleratezze).
In seguito conduce Lucia nella sua stanza, come le è stato ordinato dall'innominato, e questi poco dopo bussa alla porta con un calcio, al che la vecchia corre ad aprirgli con "tre salti": l'uomo vede la ragazza rannicchiata a terra in un angolo e rimprovera aspramente la serva, che si giustifica dicendo che "S'è messa dove le è piaciuto" e aggiungendo che lei ha fatto di tutto "per farle coraggio". Il bandito ordina a Lucia di alzarsi e la vecchia cerca nuovamente di rincuorarla in modo piuttosto goffo, mentre la giovane si rivolge all'innominato con fare supplichevole: al termine del colloquio, l'uomo intima con aria severa alla vecchia di fare in modo che Lucia mangi e di metterla a dormire nel letto, mentre lei potrà dormire in terra se la giovane non la vorrà con sé, quindi esce dopo averle ordinato di tenere "allegra" la prigioniera e di far sì che non debba lamentarsi di lei. Rimaste sole, Lucia chiede nuovamente alla donna chi sia quel signore e la vecchia risponde in modo sgarbato che, se parlasse, non le toccherebbero le belle parole che ha sentito lei, malignando poi fra sé sul fatto che le giovani donne "hanno sempre ragione" in quanto commuovono con le lacrime e mettono allegria col riso.
In seguito si raddolcisce e cerca, sempre in modo bizzarro, di rassicurare Lucia ricordandole che l'innominato le ha parlato in modo benevolo e che presto verrà il cibo, che sarà "della roba buona" (chiede anche a Lucia di lasciarle un "cantuccino" nel letto, quando andrà a coricarsi). Lucia non vuole mangiare nulla di ciò che viene poi portato da una donna di nome Marta, nonostante la vecchia lodi la squisitezza delle pietanze, né accetta di mettersi a letto insieme alla serva, che vi si stende stando "sulla sponda" e invitandola a raggiungerla quando le piacerà. La vecchia si addormenta assai presto iniziando a russare sonoramente, mentre la ragazza affronta una veglia angosciosa e disperata che si concluderà con il voto di verginità alla Madonna.
Più tardi, l'innominato in procinto di recarsi dal cardinal Borromeo torna a bussare (XXII) e la vecchia corre ad aprire saltando giù dal letto: il bandito la rimprovera nuovamente vedendo Lucia accucciata in un angolo che dorme e la donna si giustifica dicendo che non ha voluto mangiare né venire a letto. L'uomo dice che Marta verrà nella stanza vicina e ordina alla vecchia di dare a Lucia tutto ciò che lei chiederà, inoltre dovrà dirle al suo risveglio che lui è andato via per poco tempo e tornerà presto, disposto a compiacerla in tutto; rimasta sola, la vecchia è sbalordita e si chiede se Lucia non sia per caso "qualche principessa".
Alcune ore dopo Lucia si sveglia (XXIV) e la vecchia torna a pregarla di mangiare qualcosa, temendo di subire nuovi rimproveri dal padrone al suo ritorno; a un tratto bussano alla porta e la donna apre all'innominato, il quale la fa uscire e la manda insieme a Marta "in una parte lontana del castellaccio", prima di fare entrare nella stanza don Abbondio e la moglie del sarto che nel frattempo hanno raggiunto la fortezza, mandati lì dal cardinale. È questa l'ultima apparizione della vecchia nel romanzo.
Benché sia un personaggio secondario, la vecchia è una delle "macchiette" più riuscite del libro, una figura con tratti comici e grotteschi che rappresenta la cieca obbedienza al male, il gretto egoismo, l'incapacità di comprendere tanto la disperazione di Lucia quanto il dramma interiore dell'innominato che la vista della ragazza gli suscita, al quale pure la donna assiste. Il suo ruolo è quello di fare da carceriera a Lucia e, quindi, svolge una sorta di "contrappunto" bizzarro alla giovane impaurita, specie nel modo meccanico e e pedestre con cui cerca di eseguire gli ordini del padrone (all'inizio continua a ripetere "fatevi coraggio", poi il ritornello cambia diventando "state allegra"); soprattutto, si mostra timorosa di ricevere rimbrotti dall'innominato e di rinunciare alle sue comodità, come la cena di cui spera di avere una parte e, soprattutto, il letto. È accostabile ad altri personaggi del romanzo, come il vecchio mal vissuto o altre figure di popolani che appaiono durante il tumulto di S. Martino, espressione di un'umanità dolente e stravolta dalle brutture vissute.
In seguito conduce Lucia nella sua stanza, come le è stato ordinato dall'innominato, e questi poco dopo bussa alla porta con un calcio, al che la vecchia corre ad aprirgli con "tre salti": l'uomo vede la ragazza rannicchiata a terra in un angolo e rimprovera aspramente la serva, che si giustifica dicendo che "S'è messa dove le è piaciuto" e aggiungendo che lei ha fatto di tutto "per farle coraggio". Il bandito ordina a Lucia di alzarsi e la vecchia cerca nuovamente di rincuorarla in modo piuttosto goffo, mentre la giovane si rivolge all'innominato con fare supplichevole: al termine del colloquio, l'uomo intima con aria severa alla vecchia di fare in modo che Lucia mangi e di metterla a dormire nel letto, mentre lei potrà dormire in terra se la giovane non la vorrà con sé, quindi esce dopo averle ordinato di tenere "allegra" la prigioniera e di far sì che non debba lamentarsi di lei. Rimaste sole, Lucia chiede nuovamente alla donna chi sia quel signore e la vecchia risponde in modo sgarbato che, se parlasse, non le toccherebbero le belle parole che ha sentito lei, malignando poi fra sé sul fatto che le giovani donne "hanno sempre ragione" in quanto commuovono con le lacrime e mettono allegria col riso.
In seguito si raddolcisce e cerca, sempre in modo bizzarro, di rassicurare Lucia ricordandole che l'innominato le ha parlato in modo benevolo e che presto verrà il cibo, che sarà "della roba buona" (chiede anche a Lucia di lasciarle un "cantuccino" nel letto, quando andrà a coricarsi). Lucia non vuole mangiare nulla di ciò che viene poi portato da una donna di nome Marta, nonostante la vecchia lodi la squisitezza delle pietanze, né accetta di mettersi a letto insieme alla serva, che vi si stende stando "sulla sponda" e invitandola a raggiungerla quando le piacerà. La vecchia si addormenta assai presto iniziando a russare sonoramente, mentre la ragazza affronta una veglia angosciosa e disperata che si concluderà con il voto di verginità alla Madonna.
Più tardi, l'innominato in procinto di recarsi dal cardinal Borromeo torna a bussare (XXII) e la vecchia corre ad aprire saltando giù dal letto: il bandito la rimprovera nuovamente vedendo Lucia accucciata in un angolo che dorme e la donna si giustifica dicendo che non ha voluto mangiare né venire a letto. L'uomo dice che Marta verrà nella stanza vicina e ordina alla vecchia di dare a Lucia tutto ciò che lei chiederà, inoltre dovrà dirle al suo risveglio che lui è andato via per poco tempo e tornerà presto, disposto a compiacerla in tutto; rimasta sola, la vecchia è sbalordita e si chiede se Lucia non sia per caso "qualche principessa".
Alcune ore dopo Lucia si sveglia (XXIV) e la vecchia torna a pregarla di mangiare qualcosa, temendo di subire nuovi rimproveri dal padrone al suo ritorno; a un tratto bussano alla porta e la donna apre all'innominato, il quale la fa uscire e la manda insieme a Marta "in una parte lontana del castellaccio", prima di fare entrare nella stanza don Abbondio e la moglie del sarto che nel frattempo hanno raggiunto la fortezza, mandati lì dal cardinale. È questa l'ultima apparizione della vecchia nel romanzo.
Benché sia un personaggio secondario, la vecchia è una delle "macchiette" più riuscite del libro, una figura con tratti comici e grotteschi che rappresenta la cieca obbedienza al male, il gretto egoismo, l'incapacità di comprendere tanto la disperazione di Lucia quanto il dramma interiore dell'innominato che la vista della ragazza gli suscita, al quale pure la donna assiste. Il suo ruolo è quello di fare da carceriera a Lucia e, quindi, svolge una sorta di "contrappunto" bizzarro alla giovane impaurita, specie nel modo meccanico e e pedestre con cui cerca di eseguire gli ordini del padrone (all'inizio continua a ripetere "fatevi coraggio", poi il ritornello cambia diventando "state allegra"); soprattutto, si mostra timorosa di ricevere rimbrotti dall'innominato e di rinunciare alle sue comodità, come la cena di cui spera di avere una parte e, soprattutto, il letto. È accostabile ad altri personaggi del romanzo, come il vecchio mal vissuto o altre figure di popolani che appaiono durante il tumulto di S. Martino, espressione di un'umanità dolente e stravolta dalle brutture vissute.