Italo Calvino
"Un mondo senza Provvidenza e una religione priva di consolazione"
Italo Calvino
Nel suo saggio dedicato ai "Promessi sposi" il grande scrittore del Novecento propone una sua originale interpretazione dell'universo manzoniano, nel quale - sostiene - il mondo è sconvolto da catastrofi naturali e violenza degli uomini, quindi è privo di Provvidenza e, di conseguenza, la visione religiosa dell'autore è assai meno consolatoria ed edificante di quanto certa critica ottocentesca ha voluto mostrare (è l'ottica moderna che vede nel romanzo una visione problematica e aperta, specie sul problema del male visto come enigma insolubile).
I. Calvino (1923-1985) è stato uno dei narratori più importanti della seconda parte del XX secolo, di cui ha attraversato tutte le fasi letterarie (dal Neorealismo del "Sentiero dei nidi di ragno", al fantasy della trilogia de "I nostri antenati", sino al post-moderno de "Le città invisibili"). Intellettuale di ispirazione marxista, ha scritto saggi penetranti sulla fiaba e ha prodotto una riscrittura in prosa dell' "Orlando Furioso" di L. Ariosto, oltre a dedicare sporadici interventi critici su alcuni grandi autori della nostra tradizione letteraria.
I. Calvino (1923-1985) è stato uno dei narratori più importanti della seconda parte del XX secolo, di cui ha attraversato tutte le fasi letterarie (dal Neorealismo del "Sentiero dei nidi di ragno", al fantasy della trilogia de "I nostri antenati", sino al post-moderno de "Le città invisibili"). Intellettuale di ispirazione marxista, ha scritto saggi penetranti sulla fiaba e ha prodotto una riscrittura in prosa dell' "Orlando Furioso" di L. Ariosto, oltre a dedicare sporadici interventi critici su alcuni grandi autori della nostra tradizione letteraria.
__È solo passando dall'orizzonte degli individui a quello universale che può risolversi la vicenda dei due fidanzati di Lecco. E quando ci accorgiamo che la parte della Provvidenza è sostenuta dalla peste comprendiamo che il discorso dell'ideologia politica spicciola è saltato in aria da un pezzo. Le vere forze in gioco del romanzo si rivelano essere cataclismi naturali e storici di lenta incubazione e conflagrazione improvvisa, che sconvolgono il piccolo gioco dei rapporti di potere. Il quadro s'allarga, la connessione tra macrocosmo e microcosmo resta stretta e insieme incerta, come nelle nostre interrogazioni sul futuro biologico e antropologico del mondo d'oggi. A ben vedere, già dall'inizio I Promessi Sposi è il romanzo della carestia, della terra desolata: dall'apertura del cap. IV, quando fra Cristoforo se ne viene da Pescarenico, con quel travelling su immagini scheletriche: "la fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vaccherella magra stecchita..." (C'è un Manzoni pittore di quadri di genere nordico e grottesco, quasi alla Brueghel, che viene fuori ogni tanto; altro esempio di quella "scuola" è il villaggio di Don Rodrigo, al cap. V; un altro ancora, le balie nel lazzaretto degli appestati).
È una natura abbandonata da Dio, quella che Manzoni rappresenta; altro che provvidenzialismo! E quando Dio vi si manifesta per mettere le cose a posto, è con la peste. C'è oggi chi tende a vedere in Manzoni una specie di nichilista, sotto la vernice dell'ideologia edificante, di quel nichilismo che ritroveremo piu radicale solo in Flaubert [...].
Da parte degli uomini, non c'è che guasti: malgoverno, mala economia, guerra, calata dei lanzichenecchi. Libro di storia involto in pagine di romanzo (e di storia come la si intende adesso, in cui la parte evenementielle delle battaglie di Wallenstein e della successione del ducato di Mantova è confinata tra le chiacchiere alla tavola di Don Rodrigo e ciò che occupa il campo sono le crisi dell'agricoltura, i prezzi del frumento, la domanda di mano d'opera, la curva delle epidemie). I Promessi Sposi propongono una visione della storia come continuo fronteggiamento di catastrofi.
Il bersaglio è sempre uno: la vanità del volontarismo umano di fronte all'inesorabilità e alla complessità delle forze in atto. E queste forze in atto possono essere identificate tanto nel volto d'una severa trascendenza, quanto nelle forze naturali indagate dalla scienza. In Manzoni piu d'una volta il linguaggio d'un'aspra teologia si confonde con quello d'una scienza che si tiene solo ai fatti. La “Colonna infame” non è l'opera d'un Manzoni illuminista precedente o parallelo al Manzoni provvidenzialista: i due sono uno; la persecuzione dei presunti untori è un errore esecrabile tanto al lume delle conoscenze scientifiche sul propagarsi delle epidemie batteriche, quanto al lume della teologia manzoniana secondo la quale un flagello come la peste non può dipendere da un atto di volontà umana, dalle azioni di pochi uomini, ma solo dalla mano di Dio, ossia dalla catena delle colpe umane che muovono il castigo di Dio e gli estremi rimedi della sua Provvidenza.
La stessa linea seguono nei Promessi Sposi le discussioni sulla carestia, che già durante il banchetto di Don Rodrigo al cap. V s'appuntano sull'errore di credere che il pane manchi per la volontà degli incettatori e dei fornai, fino al cap. XII in cui il Manzoni storico ed economista spiega la complessità di cause climatiche, sociali, militari e di cattiva amministrazione che portano alla carestia: le ragioni della scienza, anche qui, sono anche le ragioni d'una nozione dell'incommensurabilità di Dio, d'una religiosità che nel suo nocciolo profondo non è piu ottimista dell'ateismo di Leopardi.
Alla crisi della cultura settecentesca, questi due poeti ancora così imbevuti di Settecento reagiscono, sui due opposti versanti ideali, in un modo in cui oggi possiamo riconoscere gli aspetti paralleli e non solo quelli contrastanti su cui si polarizzarono le scelte morali e stilistiche della nostra giovinezza: piu drastico Leopardi nel rifiutare quanto la fede nel progresso umano e nella bontà della natura aveva di facile illusione; più contraddittorio e cauto Manzoni nel rifiutare una religiosità consolatoria, dissimulatrice della spietatezza del mondo. Per entrambi, solo partendo da un'esatta cognizione delle forze contro cui deve scontrarsi, l'azione umana ha un senso.
È una natura abbandonata da Dio, quella che Manzoni rappresenta; altro che provvidenzialismo! E quando Dio vi si manifesta per mettere le cose a posto, è con la peste. C'è oggi chi tende a vedere in Manzoni una specie di nichilista, sotto la vernice dell'ideologia edificante, di quel nichilismo che ritroveremo piu radicale solo in Flaubert [...].
Da parte degli uomini, non c'è che guasti: malgoverno, mala economia, guerra, calata dei lanzichenecchi. Libro di storia involto in pagine di romanzo (e di storia come la si intende adesso, in cui la parte evenementielle delle battaglie di Wallenstein e della successione del ducato di Mantova è confinata tra le chiacchiere alla tavola di Don Rodrigo e ciò che occupa il campo sono le crisi dell'agricoltura, i prezzi del frumento, la domanda di mano d'opera, la curva delle epidemie). I Promessi Sposi propongono una visione della storia come continuo fronteggiamento di catastrofi.
Il bersaglio è sempre uno: la vanità del volontarismo umano di fronte all'inesorabilità e alla complessità delle forze in atto. E queste forze in atto possono essere identificate tanto nel volto d'una severa trascendenza, quanto nelle forze naturali indagate dalla scienza. In Manzoni piu d'una volta il linguaggio d'un'aspra teologia si confonde con quello d'una scienza che si tiene solo ai fatti. La “Colonna infame” non è l'opera d'un Manzoni illuminista precedente o parallelo al Manzoni provvidenzialista: i due sono uno; la persecuzione dei presunti untori è un errore esecrabile tanto al lume delle conoscenze scientifiche sul propagarsi delle epidemie batteriche, quanto al lume della teologia manzoniana secondo la quale un flagello come la peste non può dipendere da un atto di volontà umana, dalle azioni di pochi uomini, ma solo dalla mano di Dio, ossia dalla catena delle colpe umane che muovono il castigo di Dio e gli estremi rimedi della sua Provvidenza.
La stessa linea seguono nei Promessi Sposi le discussioni sulla carestia, che già durante il banchetto di Don Rodrigo al cap. V s'appuntano sull'errore di credere che il pane manchi per la volontà degli incettatori e dei fornai, fino al cap. XII in cui il Manzoni storico ed economista spiega la complessità di cause climatiche, sociali, militari e di cattiva amministrazione che portano alla carestia: le ragioni della scienza, anche qui, sono anche le ragioni d'una nozione dell'incommensurabilità di Dio, d'una religiosità che nel suo nocciolo profondo non è piu ottimista dell'ateismo di Leopardi.
Alla crisi della cultura settecentesca, questi due poeti ancora così imbevuti di Settecento reagiscono, sui due opposti versanti ideali, in un modo in cui oggi possiamo riconoscere gli aspetti paralleli e non solo quelli contrastanti su cui si polarizzarono le scelte morali e stilistiche della nostra giovinezza: piu drastico Leopardi nel rifiutare quanto la fede nel progresso umano e nella bontà della natura aveva di facile illusione; più contraddittorio e cauto Manzoni nel rifiutare una religiosità consolatoria, dissimulatrice della spietatezza del mondo. Per entrambi, solo partendo da un'esatta cognizione delle forze contro cui deve scontrarsi, l'azione umana ha un senso.
_(da I promessi sposi: il romanzo dei rapporti di forza,
pubbl. in Una pietra sopra, Einaudi, Torino 1980)
pubbl. in Una pietra sopra, Einaudi, Torino 1980)