Francesco De Sanctis
"I Promessi Sposi come perfetto romanzo storico"
Ritratto di F. De Sanctis
In questo saggio il grande critico dell'Ottocento esalta l'opera di Manzoni come vero romanzo storico, in cui l'autore prende spunto da un "fatterello" in apparenza insignifcante come il mancato matrimonio di Renzo e Lucia per realizzare un grande affresco, in cui è evidente "l'impronta del secolo" XVII (l'umiltà dei protagonisti consente al romanziere una certa libertà espressiva, quale non aveva all'epoca delle tragedie in cui doveva forzare la verità dei fatti). Lo studioso sottolinea che tale scopo sarebbe stato raggiunto anche senza le imponenti digressioni storiche presenti nel libro, che secondo lui appesantiscono la narrazione e non sono indispensabili a comunicare al lettore il complesso di idee sentimenti e sentimenti che caratterizzano l'epoca trattata, mentre l'autore fu eccessivamente severo nei confronti della sua opera e la rinnegò negli anni seguenti per dedicarsi in modo esclusivo proprio alla storiografia.
Nativo di Morra Irpina, Francesco De Sanctis (1817-1883) è stato il fondatore della critica letteraria in Italia, nonché autore di molteplici studi e saggi sui principali scrittori della nostra tradizione (Dante, Petrarca, Tasso, Foscolo...) e di una "Storia della letteratura italiana" (1870-71) che fu considerata una pietra miliare della storiografia letteraria e a lungo usata come manuale nelle scuole. Critico di ispirazione romantica, prese spunto dal principio hegeliano dell'identità di forma e contenuto e la sua "scuola" fece molti adepti negli anni Venti e Trenta del Novecento, fra cui Giovanni Gentile e Luigi Russo.
Nativo di Morra Irpina, Francesco De Sanctis (1817-1883) è stato il fondatore della critica letteraria in Italia, nonché autore di molteplici studi e saggi sui principali scrittori della nostra tradizione (Dante, Petrarca, Tasso, Foscolo...) e di una "Storia della letteratura italiana" (1870-71) che fu considerata una pietra miliare della storiografia letteraria e a lungo usata come manuale nelle scuole. Critico di ispirazione romantica, prese spunto dal principio hegeliano dell'identità di forma e contenuto e la sua "scuola" fece molti adepti negli anni Venti e Trenta del Novecento, fra cui Giovanni Gentile e Luigi Russo.
__Come sia nata in Manzoni l'idea de' Promessi Sposi, lascio a' raccoglitori di aneddoti. Certo è, ci si mise con una serietà di studii positivi e originali, quasi avesse in animo di fare una storia propria e vera. Ma ci si mise assediato sempre da quel suo ideale indocile, rimasto lirico, anche dove l'Autore voleva fosse drammatico. Pure, ammaestrato dalla esperienza, questa volta si guardò di scegliere a materia del lavoro qualche gran personaggio o fatto della storia, che non avrebbe concesso libero e principale luogo al suo ideale, come è nel Carmagnola e nell'Adelchi. E scelse un fatto tolto da' più umili strati della società, materia libera d'invenzione e d'immaginazione, di nessuna importanza storica in sé, anzi uno di quei tanti fatterelli curiosi, che sono la delizia delle cronache e sogliono solleticare l'immaginazione popolare. Questo fatterello, situato in un certo periodo storico, con tali condizioni di tempo e di luogo, in tale ambiente, fra tali costumi e opinioni, dovea porgere all'Autore un modo naturale e facile di sviluppare attorno ad esso tutto un secolo. Questa era l'aspettazione pubblica; e questo era pure l'intendimento dell'Autore. Renzo e Lucia avrebbero così poco immaginato di essere materia storica, come un pastore potrebbe immaginare di essere re. La storia non è mossa da loro; anzi è la storia che move loro. Senza i grandi fattori della storia Lucia e Renzo sarebbero stati sposi felici e contenti, predestinati all'obblio; l'ultima pagina del racconto sarebbe stata la prima e la sola della loro vita, e a voleria stirare, appena se ne sarebbe cavato un idillio. È il genio malefico della storia nella persona di don Rodrigo, che li fa ballare contro voglia, e tira nello stesso ballo i più umili attori, avvezzi al prosaico «vivere e lasciar vivere», come sono le Agnesi, le Perpetue e i don Abbondii, e non lasciati vivere, girati, come burattini, da quell'ignoto capo comico, che dicesi spirito del secolo. E qui è appunto l'interesse di questo racconto, ché le avventure non prodotte, ma patite da questi innocenti personaggi, non sono l'effetto del caso, o di combinazioni fantastiche, dette romanzesche, perché materia comune del romanzo, ma sono il risultato palpabile di cause storiche, rappresentate nel loro spirito e nella loro forma con una connessione così intima e così logica, che il racconto ti dà l'apparenza di una vera e propria storia. In questo senso elevato nessun romanzo merita al pari di questo il titolo di storico; se vero è che romanzo storico non è quello che dia di un secolo un concetto adeguato e pieno, come l'intendeva Manzoni e come l'aspettavano i contemporanei, ma è quello, la cui trama è tessuta da uno spirito osservatore e positivo, che dà all'immaginazione la base solida de' motivi e degli eventi storici. Ma così non l'intendeva Manzoni, e gli parve, a mente fredda e rotto il fascino dell'ispirazione, che quel suo fine non l'aveva ottenuto, anzi che il romanzo storico fosse in sé un genere ibrido e assurdo, e dall'ammirazione de' contemporanei fece appello alla severità de' posteri. La posterità è cominciata, e non mi pare che quell'ammirazione si scemi, anzi mi pare che, se alcuna cosa di lui è dimenticata, è appunto quella sua magra definizione e quella sua crudele sentenza. In verità, se voleva il romanzo storico quale lo concepiva lui, quel fatterello sarebbe stato non il vero centro animato del racconto, ma il pretesto, un semplice filo intenzionale, col quale avrebbe piacevolmente tessuta la storia di quel tempo nella sua idea e nella sua realtà. Ma nel caldo della composizione si rivela artista, e quel fatterello gli desta un così potente interesse, e tanto vi s'impressiona e vi s'innamora, che l'interesse storico rimane un accessorio, e la storia altro non è se non un immenso materiale messo a' servigi della sua immaginazione. Pure quelle sue definizioni e quelle sue intenzioni vogliono farsi valere; e se difetto è in questo lavoro, è appunto là, dove alcuna cosa penetra di quelle definizioni e di quelle intenzioni. Perché, intestatosi in quel suo interesse storico, vuole proprio persuadere il lettore che tutto è storia pura, o come Ariosto, invoca anche lui il suo Turpino, e spesso apre lunghe parentesi e intramesse storiche, vere appendici e annotazioni e dissertazioni, e da lui cucite col racconto, non senza rincrescimento del lettore, che per acquistare una pretesa illusione storica, alla quale non pensa, si vede guastare sul più bello la sua illusione estetica, alla quale tutto si abbandonava. L'Autore se ne accorge, e talora invita il lettore a saltare tutto un capitolo. Il suo buon senso di poeta protesta contro le usurpazioni de' suoi preconcetti storici. Togliete tutte quelle appendici, e niente toglierete al valore storico del racconto; perché la storia è non in tutta quella erudizione, ma in quel soffio occulto che anima e genera gli avvenimenti e dà a quelli l'impronta del secolo. Anzi, dirò che più l'Autore si affatica a suscitare in noi un interesse storico, e meno ci riesce; perché niente più ci raffredda, quanto il vedere troppo scoperta e insistente l'intenzione di uno scrittore, massime quando vediamo quella intenzione fattizia mettersi a traverso delle nostre naturali impressioni.
Il romanzo storico, come lo concepiva Manzoni, non ci è qui, ed è bene che non ci sia. Ci è invece il vero romanzo storico, quale glielo fa incontrare il suo squisito senso d'artista. La storia è qui non la sostanza o lo scopo, ma la larga base, di dentro dalla quale esce alla luce la statua del pensiero e dell'immaginazione, una base non segregata e indipendente come un piedistallo, ma vera causa generatrice, il fondamento e il motivo occulto che mette in moto gl'inconsapevoli attori. Onde nasce quella fusione armonica della composizione, che desideri nelle sue tragedie storiche, dove la storia è dessa la sostanza e lo scopo, e rigetta dal suo seno ideali estranei invocati dall'immaginazione. Nessuno può dire che fine del racconto sia qui il ritratto della dominazione spagnuola, o in modo più generale una storia poetica del secolo XVII in Lombardia: se così fosse, non sarebbe un romanzo storico, ma una storia in veste di romanzo. Ed è invece un vero romanzo storico, perché la storia è qui un semplice materiale, a cui il romanzo dà la forma.
Il romanzo storico, come lo concepiva Manzoni, non ci è qui, ed è bene che non ci sia. Ci è invece il vero romanzo storico, quale glielo fa incontrare il suo squisito senso d'artista. La storia è qui non la sostanza o lo scopo, ma la larga base, di dentro dalla quale esce alla luce la statua del pensiero e dell'immaginazione, una base non segregata e indipendente come un piedistallo, ma vera causa generatrice, il fondamento e il motivo occulto che mette in moto gl'inconsapevoli attori. Onde nasce quella fusione armonica della composizione, che desideri nelle sue tragedie storiche, dove la storia è dessa la sostanza e lo scopo, e rigetta dal suo seno ideali estranei invocati dall'immaginazione. Nessuno può dire che fine del racconto sia qui il ritratto della dominazione spagnuola, o in modo più generale una storia poetica del secolo XVII in Lombardia: se così fosse, non sarebbe un romanzo storico, ma una storia in veste di romanzo. Ed è invece un vero romanzo storico, perché la storia è qui un semplice materiale, a cui il romanzo dà la forma.
__(da La materia de’ Promessi sposi, in “Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti”,
anno VIII, volume XXIV, fascicolo X-ottobre, Firenze 1873)
anno VIII, volume XXIV, fascicolo X-ottobre, Firenze 1873)