Il notaio criminale
F. Gonin, Il notaio arresta Renzo
È il funzionario addetto alla giustizia criminale che trae in arresto Renzo a Milano, il giorno seguente il tumulto di S. Martino in cui il giovane è rimasto coinvolto pur non avendo commesso alcun delitto: compare nel cap. XV, dopo che il poliziotto travestito ha avvicinato Renzo all'osteria della Luna Piena e gli ha estorto con uno stratagemma il nome per spiccare contro di lui un mandato di cattura, dopo aver tentato inutilmente di servirsi dell'aiuto dell'oste (costui aveva chiesto a Renzo di dirgli il nome in virtù di una grida, che prescrive ai gestori di locande di registrare tutti coloro che vi alloggiano per dormire). È lo stesso oste a recarsi al palazzo di giustizia, a tarda sera, per rendere testimonianza di fronte al notaio circa i fatti che sono avvenuti alla sua taverna: il magistrato lo informa che la giustizia sa già il nome di Renzo e accusa velatamente l'oste di non dire tutta la verità, poiché il giovane ha portato nell'osteria un pane rubato durante l'assalto ai forni (in realtà Renzo l'aveva raccolto in terra al suo ingresso in città) e ha sobillato gli altri avventori con parole sediziose (mentre si è limitato a inveire contro le gride che, a suo dire, non garantiscono la giustizia alla povera gente). L'oste riesce con furbizia e diplomazia a eludere le insinuazioni del notaio, il quale cerca di convincerlo che la giustizia colpirà in modo implacabile i rivoltosi e gli chiede dove si trovi ora Renzo: l'oste ribatte che il giovane sta dormendo alla locanda e il notaio gli ordina di sorvegliarlo e di non farlo scappare, cosa che tra l'altro dimostra tutta l'impotenza e la scarsità di mezzi della giustizia, nonostante l'atteggiamento tracotante e pieno di alterigia del funzionario (l'oste ne è ben consapevole e tutto il dialogo è pieno di sottintesi ironici, con il locandiere che bada solo a proteggere i suoi interessi e si tiene alla larga dalle questioni giudiziarie).
Il mattino dopo il notaio si reca all'osteria in compagnia di due birri, per trarre in arresto Renzo che viene svegliato nella sua stanza mentre è ancora in preda al sonno: il funzionario è preoccupato, poiché venendo lì ha notato nelle strade la presenza di molti gruppi di popolani e teme che si preparino altri disordini, come il vociare crescente che proviene dall'esterno sembra confermare; l'uomo teme che Renzo possa trovare l'appoggio di altri rivoltosi, dunque preferisce tenerlo buono ed evitare di portarlo via con la forza, nel timore che nascano tafferugli. Per questo finge di acconsentire quando Renzo chiede di essere condotto da Ferrer e accetta di restituirgli il denaro e la lettera di padre Cristoforo che gli aveva sequestrato, facendo poi cenno ai birri di non farlo adirare e di non reagire alle sue provocazioni (Renzo ha intuito che il notaio ha paura e decide di approfittarne per tentare la fuga alla prima occasione). Il magistrato gli fa mettere i "manichini", una sorta di manette che gli stringono i polsi, quindi cerca di convincerlo a seguirlo con le buone, senza dare nell'occhio quando sarà in strada e promettendogli che appena sarà sbrigata questa formalità Renzo sarà libero di andarsene: il giovane capisce che sono tutte menzogne e, una volta in strada, inizia ad attirare l'attenzione dei passanti, finché un gruppo di sediziosi non circonda la comitiva con fare minaccioso. Renzo chiede aiuto e dice che lo stanno arrestando perché ha gridato "pane e giustizia", quindi i birri lo lasciano andare e il notaio tenta di mescolarsi alla folla, in cui tuttavia non può passare inosservato per via della cappa nera che indossa e lo rende facilmente riconoscibile. Un popolano lo indica come un "corvaccio" e incita la folla contro di lui, anche se il notaio riesce a sottrarsi alla calca e a scampare miracolosamente al linciaggio.
Il personaggio è parte della critica manzoniana contro l'inefficienza e le storture del sistema giudiziario del XVII secolo, in quanto il notaio non è interessato a stabilire la verità ma solo a trovare un malcapitato da arrestare per i torbidi del giorno prima: Renzo è giudicato colpevole ben prima di essere interrogato e ciò sulla base di congetture e convincimenti personali, come appare chiaramente dal dialogo con l'oste della Luna Piena (in cui il notaio si comporta da grande inquisitore e usa il tipico linguaggio delle gride, attribuendo a Renzo dei crimini che non solo il giovane non ha commesso, ma per i quali non esiste alcuna prova). Il giorno dopo si comporterà in modo ben diverso e assumerà un atteggiamento comico pur di sottrarsi a una situazione difficile, fino a uscire di scena in modo ridicolo e vedendo fallire tutti i suoi stratagemmi (l'autore ironizza su di lui, anche col dire che il notaio faceva parte degli amici dell'anonimo autore del manoscritto).
Il mattino dopo il notaio si reca all'osteria in compagnia di due birri, per trarre in arresto Renzo che viene svegliato nella sua stanza mentre è ancora in preda al sonno: il funzionario è preoccupato, poiché venendo lì ha notato nelle strade la presenza di molti gruppi di popolani e teme che si preparino altri disordini, come il vociare crescente che proviene dall'esterno sembra confermare; l'uomo teme che Renzo possa trovare l'appoggio di altri rivoltosi, dunque preferisce tenerlo buono ed evitare di portarlo via con la forza, nel timore che nascano tafferugli. Per questo finge di acconsentire quando Renzo chiede di essere condotto da Ferrer e accetta di restituirgli il denaro e la lettera di padre Cristoforo che gli aveva sequestrato, facendo poi cenno ai birri di non farlo adirare e di non reagire alle sue provocazioni (Renzo ha intuito che il notaio ha paura e decide di approfittarne per tentare la fuga alla prima occasione). Il magistrato gli fa mettere i "manichini", una sorta di manette che gli stringono i polsi, quindi cerca di convincerlo a seguirlo con le buone, senza dare nell'occhio quando sarà in strada e promettendogli che appena sarà sbrigata questa formalità Renzo sarà libero di andarsene: il giovane capisce che sono tutte menzogne e, una volta in strada, inizia ad attirare l'attenzione dei passanti, finché un gruppo di sediziosi non circonda la comitiva con fare minaccioso. Renzo chiede aiuto e dice che lo stanno arrestando perché ha gridato "pane e giustizia", quindi i birri lo lasciano andare e il notaio tenta di mescolarsi alla folla, in cui tuttavia non può passare inosservato per via della cappa nera che indossa e lo rende facilmente riconoscibile. Un popolano lo indica come un "corvaccio" e incita la folla contro di lui, anche se il notaio riesce a sottrarsi alla calca e a scampare miracolosamente al linciaggio.
Il personaggio è parte della critica manzoniana contro l'inefficienza e le storture del sistema giudiziario del XVII secolo, in quanto il notaio non è interessato a stabilire la verità ma solo a trovare un malcapitato da arrestare per i torbidi del giorno prima: Renzo è giudicato colpevole ben prima di essere interrogato e ciò sulla base di congetture e convincimenti personali, come appare chiaramente dal dialogo con l'oste della Luna Piena (in cui il notaio si comporta da grande inquisitore e usa il tipico linguaggio delle gride, attribuendo a Renzo dei crimini che non solo il giovane non ha commesso, ma per i quali non esiste alcuna prova). Il giorno dopo si comporterà in modo ben diverso e assumerà un atteggiamento comico pur di sottrarsi a una situazione difficile, fino a uscire di scena in modo ridicolo e vedendo fallire tutti i suoi stratagemmi (l'autore ironizza su di lui, anche col dire che il notaio faceva parte degli amici dell'anonimo autore del manoscritto).