L'osteria della Luna Piena
R. Focosi, Renzo all'osteria
È una locanda di Milano, dove Renzo si reca in compagnia del poliziotto travestito che lo ha avvicinato in seguito al suo improvvisato discorso alla folla, nella giornata del tumulto di S. Martino (cap. XIV): lo sbirro ha tentato di condurlo direttamente al palazzo di gisutizia, ma Renzo è troppo stanco per proseguire ed entra in questo "usciaccio", fuori dal quale campeggia appunto l'insegna della Luna Piena. Si tratta di un locale malfamato e frequentato da gente di ogni risma, in cui il poliziotto è di casa e dove infatti fa da guida a Renzo: i due attraversano un cortiletto ed entrano attraverso un saliscendi nella cucina, dove c'è una tavola lunga e stretta con due panche ai lati, illuminata da due deboli lumi appesi al soffitto; sulla tavola ci sono bicchieri, fiaschi, dadi, carte da gioco e tutt'intorno siedono degli avventori intenti a giocare e a bere, facendo un gran chiasso. Sul tavolo si vedono molte monete che, se potessero parlare, direbbero di provenire dalle ciotole di qualche fornaio o dalle tasche di qualche ingenuo spettatore del tumulto (l'osservazione ironica dell'autore precisa che la locanda è frequentata da ladri e borsaioli), mentre un garzone fa avanti e indietro a portare vino e cibarie. L'oste è seduto accanto alla cappa del camino e finge indifferenza mentre accudisce il fuoco con le molle, ma in realtà è molto attento e non gli sfugge nulla di quanto avviene nel suo locale. In seguito si apprenderà che conosce perfettamente il poliziotto e gli reggerà il gioco nel cercare di estorcere il nome di Renzo, che maledirà tra sé per la sua ingenuità da contadino.
L'osteria si rivelerà un "luogo di perdizione" per Renzo, il quale finirà per ubriacarsi e, privo di lucidità, cadrà nella trappola del poliziotto che riuscirà a fargli dire il nome per spiccare contro di lui un mandato di cattura (l'uomo lo ha preso per uno dei capi della rivolta, a causa del discorso con cui ha arringato la folla): il giorno dopo, infatti, il giovane sarà svegliato dal notaio criminale e da due birri venuti ad arrestarlo (XV), e riuscirà a sfuggire alla cattura per miracolo grazie all'aiuto di altri popolani, dandosi alla fuga e riparando in seguito nel Bergamasco. La disavventura alla locanda servirà di lezione a Renzo, il quale avrà una condotta assai più prudente quando, durante la sua fuga rocambolesca, si fermerà all'osteria di Gorgonzola (berrà poco vino ed eviterà accuratamente di dire all'oste da dove viene), mentre in occasione del suo ritorno a Milano durante la peste non si avvicinerà più a nessun locale pubblico, dimostrando che ciò è stato parte del suo percorso di formazione: non a caso egli dirà, come "morale" alla conclusione del romanzo, di aver imparato "a non alzar troppo il gomito", alludendo proprio alla sua esperienza alla Luna Piena.
L'osteria si rivelerà un "luogo di perdizione" per Renzo, il quale finirà per ubriacarsi e, privo di lucidità, cadrà nella trappola del poliziotto che riuscirà a fargli dire il nome per spiccare contro di lui un mandato di cattura (l'uomo lo ha preso per uno dei capi della rivolta, a causa del discorso con cui ha arringato la folla): il giorno dopo, infatti, il giovane sarà svegliato dal notaio criminale e da due birri venuti ad arrestarlo (XV), e riuscirà a sfuggire alla cattura per miracolo grazie all'aiuto di altri popolani, dandosi alla fuga e riparando in seguito nel Bergamasco. La disavventura alla locanda servirà di lezione a Renzo, il quale avrà una condotta assai più prudente quando, durante la sua fuga rocambolesca, si fermerà all'osteria di Gorgonzola (berrà poco vino ed eviterà accuratamente di dire all'oste da dove viene), mentre in occasione del suo ritorno a Milano durante la peste non si avvicinerà più a nessun locale pubblico, dimostrando che ciò è stato parte del suo percorso di formazione: non a caso egli dirà, come "morale" alla conclusione del romanzo, di aver imparato "a non alzar troppo il gomito", alludendo proprio alla sua esperienza alla Luna Piena.