Salvatore Battaglia
"La monaca di Monza personaggio moderno"
Salvatore Battaglia
In questo saggio del critico siciliano viene analizzata la figura di Gertrude e, soprattutto, il modo in cui Manzoni descrive questo personaggio, l'unico veramente "moderno" del romanzo in quanto portatore inquieto di una certa propensione al male, che spiega perché il romanziere maneggi la sua vicenda con una particolare attenzione (la reticenza dello scrittore è qui motivata anche dal timore che un eccessivo indugio sul lato negativo della monaca possa indurre a una qualche forma di giustificazione).
Salvatore Battaglia (1904-1971) è stato allievo di A. Momigliano e ha curato varie sezioni dell'Enciclopedia Italiana, a Roma; come critico letterario ha dedicato studi ai lirici provenzali, a Boccaccio, agli scrittori dell'Ottocento (tra cui Manzoni e Leopardi) e del Novecento. Ha diretto dal 1961 fino alla morte il "Grande dizionario della lingua italiana".
Salvatore Battaglia (1904-1971) è stato allievo di A. Momigliano e ha curato varie sezioni dell'Enciclopedia Italiana, a Roma; come critico letterario ha dedicato studi ai lirici provenzali, a Boccaccio, agli scrittori dell'Ottocento (tra cui Manzoni e Leopardi) e del Novecento. Ha diretto dal 1961 fino alla morte il "Grande dizionario della lingua italiana".
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L'episodio della Monaca di Monza è di sorprendente ampiezza, e, quel che più conta, risulta perfettamente conchiuso, come un piccolo romanzo autonomo nel vasto corpo della narrazione. La sua storia, per quanto s'innesti organicamente nel tessuto del romanzo e ne confermi la genesi etico-sociale, ha nondimeno un trattamento psicologico assai distinto, che si potrebbe definire atipico. Anzitutto appare sostanzialmente mutato il rapporto consueto fra l'autore e il suo personaggio. Rispetto a tutti gli altri protagonisti il Manzoni si suole porre in una condizione dialettica. Di solito egli avverte di collaborare con la realtà, con il destino, con i segreti disegni della Provvidenza. Ciascuno dei suoi attori è gradualmente riguadagnato alla sfera della ragione dal fondo della biografia psicologica. È questo processo intrinseco della coscienza che consente alla scrittura manzoniana di accogliere una sensibilità passionale e romantica per catalizzarla nell'ordine razionale. All'incontro, nel dipanare il groviglio morale di Gertrude lo scrittore si sente interdetto e allarmato. Non dispone più della collaborazione provvidenziale, né questa volta lo soccorre la costante parabola del suo ingegno, che di solito gli fa acquistare alla responsabilità etica le zone inconsulte o ignare dell'esperienza. Con la Monaca di Monza il margine recondito della psicologia si allarga sempre di più, e tutte le volte che lo scrittore cerca di portarla sul piano dell'analisi e della consapevolezza, scopre le inesplicabili ombre del suo sottofondo patologico. [...]
Il narratore non riesce a superare la perplessità dell'uomo sano che si arrischia di sondare le regioni malate della vita. Più che un'esitazione egli avverte la oscura minaccia del contagio morale. Perché anche il male, non appena si anatomizza, comincia ad ottenere un margine di giustificazione, o per lo meno beneficia delle attenuanti che la vita e la società finiscono sempre per concedergli. L'analisi stessa porta al realismo, vale a dire ad una disposizione comprensiva verso la realtà e l'esperienza. Nei riguardi, ad esempio, di don Rodrigo il Manzoni è reciso, il suo giudizio è netto; ma rispetto a Gertrude egli diventa cauto, si direbbe circospetto. Sente di maneggiare sostanze venefiche. Ne deriva un'elaborazione stilistica d'impareggiabile delicatezza. Neanche la conversione dell'Innominato, che è il tratto più difficoltoso di tutto il romanzo, gli è costata tanta attenzione e scrupolo. Il tratteggio ch'egli fa della Monaca di Monza è di una consapevolezza così tesa che pare debba spezzarsi ad ogni istante. Da un rigo all'altro il Manzoni guadagna alla luce dell'espressione un lembo di vita maledetta. Per questo la Monaca di Monza è il personaggio più moderno dei Promessi Sposi. I protagonisti che la narrativa dell'Otto e Novecento è venuta allineando nella nostra letteratura, non hanno, tutti insieme, la profondità ermetica che possiede la creatura manzoniana, o per lo meno, nessuno di loro lascia quel segreto sgomento che comunica Gertrude. Il Manzoni è riuscito a renderla patentissima pur lasciandola avvolta in una insondabile segretezza. Questa duplice qualità stilistica - l'evidenza e il mistero - costituisce il pregio inimitabile della scrittura manzoniana. Ogni particolare che lo scrittore sollecita per chiarire la condizione morale di Gertrude, finisce col darle un più esteso alone d'ombra. Le pagine del "ritratto", relativamente poche, sono come una quintessenza, di cui continuano a rimanere ignoti gli elementi che la costituiscono, e che in seguito lo scrittore penserà di sciogliere e riannodare nella più vistosa prospettiva storica e sociale.
Ma più che cause determinanti, tutte le condizioni oggettive che lo scrittore avrà cura di analizzare, si possono considerare concomitanti come altrettante concause. Per uno scrittore di educazione etica e religiosa come il Manzoni, che non poteva concepire il mondo degli uomini se non edificato sul principio della responsabilità, anche l'esistenza abietta di Gertrude trovava le ragioni più reali, e perciò più liricamente personali, all'interno della coscienza. E tuttavia è anche vero che per la prima volta nella nostra letteratura il senso del male del peccato risulta radicato nel sangue e nel costume come in un suolo di formazione millenaria e la società sono chiamate ad una precisa corresponsabilità. In questa prospettiva il destino della Signora di Monza si pone a massimo esponente della struttura di tutto il romanzo.
L'episodio della Monaca di Monza è di sorprendente ampiezza, e, quel che più conta, risulta perfettamente conchiuso, come un piccolo romanzo autonomo nel vasto corpo della narrazione. La sua storia, per quanto s'innesti organicamente nel tessuto del romanzo e ne confermi la genesi etico-sociale, ha nondimeno un trattamento psicologico assai distinto, che si potrebbe definire atipico. Anzitutto appare sostanzialmente mutato il rapporto consueto fra l'autore e il suo personaggio. Rispetto a tutti gli altri protagonisti il Manzoni si suole porre in una condizione dialettica. Di solito egli avverte di collaborare con la realtà, con il destino, con i segreti disegni della Provvidenza. Ciascuno dei suoi attori è gradualmente riguadagnato alla sfera della ragione dal fondo della biografia psicologica. È questo processo intrinseco della coscienza che consente alla scrittura manzoniana di accogliere una sensibilità passionale e romantica per catalizzarla nell'ordine razionale. All'incontro, nel dipanare il groviglio morale di Gertrude lo scrittore si sente interdetto e allarmato. Non dispone più della collaborazione provvidenziale, né questa volta lo soccorre la costante parabola del suo ingegno, che di solito gli fa acquistare alla responsabilità etica le zone inconsulte o ignare dell'esperienza. Con la Monaca di Monza il margine recondito della psicologia si allarga sempre di più, e tutte le volte che lo scrittore cerca di portarla sul piano dell'analisi e della consapevolezza, scopre le inesplicabili ombre del suo sottofondo patologico. [...]
Il narratore non riesce a superare la perplessità dell'uomo sano che si arrischia di sondare le regioni malate della vita. Più che un'esitazione egli avverte la oscura minaccia del contagio morale. Perché anche il male, non appena si anatomizza, comincia ad ottenere un margine di giustificazione, o per lo meno beneficia delle attenuanti che la vita e la società finiscono sempre per concedergli. L'analisi stessa porta al realismo, vale a dire ad una disposizione comprensiva verso la realtà e l'esperienza. Nei riguardi, ad esempio, di don Rodrigo il Manzoni è reciso, il suo giudizio è netto; ma rispetto a Gertrude egli diventa cauto, si direbbe circospetto. Sente di maneggiare sostanze venefiche. Ne deriva un'elaborazione stilistica d'impareggiabile delicatezza. Neanche la conversione dell'Innominato, che è il tratto più difficoltoso di tutto il romanzo, gli è costata tanta attenzione e scrupolo. Il tratteggio ch'egli fa della Monaca di Monza è di una consapevolezza così tesa che pare debba spezzarsi ad ogni istante. Da un rigo all'altro il Manzoni guadagna alla luce dell'espressione un lembo di vita maledetta. Per questo la Monaca di Monza è il personaggio più moderno dei Promessi Sposi. I protagonisti che la narrativa dell'Otto e Novecento è venuta allineando nella nostra letteratura, non hanno, tutti insieme, la profondità ermetica che possiede la creatura manzoniana, o per lo meno, nessuno di loro lascia quel segreto sgomento che comunica Gertrude. Il Manzoni è riuscito a renderla patentissima pur lasciandola avvolta in una insondabile segretezza. Questa duplice qualità stilistica - l'evidenza e il mistero - costituisce il pregio inimitabile della scrittura manzoniana. Ogni particolare che lo scrittore sollecita per chiarire la condizione morale di Gertrude, finisce col darle un più esteso alone d'ombra. Le pagine del "ritratto", relativamente poche, sono come una quintessenza, di cui continuano a rimanere ignoti gli elementi che la costituiscono, e che in seguito lo scrittore penserà di sciogliere e riannodare nella più vistosa prospettiva storica e sociale.
Ma più che cause determinanti, tutte le condizioni oggettive che lo scrittore avrà cura di analizzare, si possono considerare concomitanti come altrettante concause. Per uno scrittore di educazione etica e religiosa come il Manzoni, che non poteva concepire il mondo degli uomini se non edificato sul principio della responsabilità, anche l'esistenza abietta di Gertrude trovava le ragioni più reali, e perciò più liricamente personali, all'interno della coscienza. E tuttavia è anche vero che per la prima volta nella nostra letteratura il senso del male del peccato risulta radicato nel sangue e nel costume come in un suolo di formazione millenaria e la società sono chiamate ad una precisa corresponsabilità. In questa prospettiva il destino della Signora di Monza si pone a massimo esponente della struttura di tutto il romanzo.
_(da Mitografia del personaggio, Milano 1968)