Capitolo XXXV
G.B. Galizzi, Renzo e don Rodrigo
"Renzo intanto, girando, con una curiosità inquieta,
lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi,
ne distinse uno da una parte sur una materassa,
involtato in un lenzuolo, con una cappa signorile indosso,
a guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo,
e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva,
lo tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l'altra mano, accennava col dito l'uomo che vi giaceva..."
Personaggi:
Luoghi: Tempo: Temi: Trama: |
_Renzo, padre Cristoforo, don Rodrigo, monatti, commissari, appestati
Il lazzaretto Agosto 1630 La peste, Chiesa e religione Renzo entra nel lazzaretto e inizia la faticosa ricerca di Lucia. Guarda nel recinto dove gli orfani vengono allattati da balie e capre. Ritrova inaspettatamente padre Cristoforo, al quale racconta le traversie sue e di Lucia. Il frate gli suggerisce di cercare la ragazza nella processione dei guariti che sta per avviarsi dalla cappella e gli dà comunque istruzioni su come accedere al quartiere femminile. Renzo manifesta propositi di vendetta verso don Rodrigo. Il frate lo rimprovera duramente, poi lo conduce a vedere don Rodrigo malato, ormai moribondo. Renzo, toccato, prega per la salvezza del signorotto. Il giovane lascia padre Cristoforo e va verso la cappella. |
Renzo entra nel lazzaretto
Renzo entra nel lazzaretto, un recinto contenente qualcosa come sedicimila appestati con al centro un ammasso di capanne, baracche, carri, persone; i portici ai lati sono piene di malati o di cadaveri stesi sulla paglia, mentre dappertutto è come un brulicare di gente che va e che viene, di uomini deliranti che si agitano, di medici o religiosi che corrono dagli infermi. Il giovane resta per un po' a osservare il tutto sbalordito, fermo sulla porta da dove parte una specie di via sgombra che taglia lo spazio in due e procede sino alla cappella centrale. Qui molti laici e cappuccini sono impegnati a liberare la strada dagli ingombri e tengono alla larga chi li intralcia; Renzo, temendo di venire scacciato a sua volta, preferisce andare tra le capanne alla sua destra, camminando a fatica in mezzo ad esse e sbirciando alla meglio in ognuna, per vedere se all'interno ci sia la sua amata Lucia.
Renzo in cerca di Lucia
Dopo una lunga e infruttuosa ricerca tra le capanne, dove Renzo ha pure visto moltissimi malati e cadaveri già irrigiditi nella morte, il giovane si accorge di non aver trovato donne e immagina che queste debbano stare in un luogo separato del lazzaretto. Incontra molti monatti e cappuccini, animati da sentimenti completamente opposti, tuttavia rinuncia a chiedere indicazioni a qualcuno di loro per non trovare ostacoli alla sua ricerca. Continua perciò ad aggirarsi alla cieca, spesso ritraendo lo sguardo dalle molte piaghe che vede, senza però poterlo posare su nient'altro che piaghe.
Il tempo atmosferico accresce a sua volta l'orrore di quelle visioni, poiché il cielo è scuro e gonfio di nubi (da cui traspare un sole pallido) e tutt'intorno c'è una calura pesante, opprimente. Ogni tanto in mezzo al rumore del lazzaretto si sente il rimbombo di un tuono lontano, simile a un correre confuso di carri; tutto sembra preannunciare la pioggia, ma non tira un alito di vento e solo le rondini sorvolano il recinto scendendo di quando in quando nello spazio interno, per poi fuggire spaventate da quella orribile confusione. È come una di quelle giornate in cui il tempo minaccia tempesta e la natura sembra opprimere ogni essere vivente con la sua immobilità, aggiungendo pesantezza a ogni azione dell'uomo; nel lazzaretto un clima simile accresce a dismisura la sofferenza, fa peggiorare i malati già gravi, fa sembrare quel momento il peggiore forse mai vissuto in quel luogo di sofferenza.
Il tempo atmosferico accresce a sua volta l'orrore di quelle visioni, poiché il cielo è scuro e gonfio di nubi (da cui traspare un sole pallido) e tutt'intorno c'è una calura pesante, opprimente. Ogni tanto in mezzo al rumore del lazzaretto si sente il rimbombo di un tuono lontano, simile a un correre confuso di carri; tutto sembra preannunciare la pioggia, ma non tira un alito di vento e solo le rondini sorvolano il recinto scendendo di quando in quando nello spazio interno, per poi fuggire spaventate da quella orribile confusione. È come una di quelle giornate in cui il tempo minaccia tempesta e la natura sembra opprimere ogni essere vivente con la sua immobilità, aggiungendo pesantezza a ogni azione dell'uomo; nel lazzaretto un clima simile accresce a dismisura la sofferenza, fa peggiorare i malati già gravi, fa sembrare quel momento il peggiore forse mai vissuto in quel luogo di sofferenza.
Il recinto coi bambini e le balie
A un tratto Renzo, in mezzo al frastuono del lazzaretto, sente un suono misto di vagiti e belati, proveniente da un recinto interno protetto da uno steccato sconnesso in più punti. Il giovane si avvicina e sbircia all'interno attraverso lo spiraglio tra due assi, vedendo uno spiazzo occupato da molti bambini piccoli adagiati su materassi, guanciali, lenzuola distese; tra di essi vede aggirarsi molte balie, aiutate da delle capre che (incredibile a dirsi) non solo porgono le mammelle a questo o quel lattante, ma addirittura accorrono ai vagiti, quasi chiedendo aiuto agli esseri umani presenti. Molte balie hanno i bambini al petto e dai loro atti spira una tale affezione che chi guarda è incerto se siano state attirate lì dalla paga o, piuttosto, da una carità spontanea verso la sofferenza altrui. Una di loro stacca il bambino dal petto ormai senza latte e cerca una capra che possa sostituirla; un'altra accarezza il neonato che dorme sul suo petto, mentre lo porta in una capanna per adagiarlo su un giaciglio; un'altra ancora, mentre allatta un bambino che non è il suo, guarda pensierosa il cielo, forse pensando a un proprio figlio da poco spirato sul suo petto o dopo averne preso il latte. Altre donne più anziane si preoccupano di portare i bambini a una capra, facendo in modo che l'animale assolva il compito cui è chiamato, oppure evitano che le capre calpestino i neonati che non stanno allattando. A un certo punto arriva un cappuccino dalla barba bianca che porta in braccio due bambini che strillano, le cui madri sono evidentemente morte da poco, e una donna corre a prenderli, per poi cercare con lo sguardo dove trovare una balia o una capra che possa occuparsi di loro. Renzo osserva a lungo quell'incredibile spettacolo e più volte è tentato di allontanarsi per proseguire la sua ricerca, pure è obbligato a guardare ancora per un po'.
Renzo ritrova padre Cristoforo
Alla fine Renzo si allontana da lì e prosegue costeggiando lo steccato, finché un gruppo di capanne lo costringe a svoltare; decide di superare l'ostacolo e di continuare a seguire il recinto, fino a trovare un nuovo settore del lazzaretto. A un tratto, mentre guarda di fronte a sé, il giovane vede in maniera fulminea un cappuccino che passa tra le baracche, il cui aspetto ricorda in ogni fattezza padre Cristoforo: ne è quasi sconvolto e prende a correre verso quella direzione, cercando in modo frenetico il frate e ritrovandolo poco dopo mentre va verso una capanna, tenendo in mano una scodella che ha riempito di minestra da un calderone. Lo vede sedersi sull'uscio della capanna, benedire la scodella e mettersi a mangiare, stando però sempre attento a quanto accade intorno a sé; lo osserva bene e conclude che si tratta senza dubbio di fra Cristoforo.
Il cappuccino, dopo essere stato trasferito a Rimini, è sempre rimasto lì e non ha mai pensato di andarsene, finché è scoppiata la peste e ha visto la possibilità di far ciò che ha sempre desiderato, ovvero sacrificare la sua vita per il prossimo. Ha chiesto di essere rimandato in Lombardia per accudire gli appestati e la sua istanza è stata accolta, specie perché il conte zio nel frattempo è morto e c'è ora bisogno assai più di infermieri che di politici. Si trova nel lazzaretto da circa tre mesi e Renzo, che pure è felice di averlo ritrovato, deve però constatare che è cambiato moltissimo e che il suo portamento è curvo e affaticato, il viso pallido e smunto, il fisico duramente provato e sorretto unicamente da una grandissima forza d'animo. Renzo si avvicina senza parlare e facendosi riconoscere dal frate, finché il suo sguardo si incrocia con quello del cappuccino e lo chiama per nome.
Il cappuccino, dopo essere stato trasferito a Rimini, è sempre rimasto lì e non ha mai pensato di andarsene, finché è scoppiata la peste e ha visto la possibilità di far ciò che ha sempre desiderato, ovvero sacrificare la sua vita per il prossimo. Ha chiesto di essere rimandato in Lombardia per accudire gli appestati e la sua istanza è stata accolta, specie perché il conte zio nel frattempo è morto e c'è ora bisogno assai più di infermieri che di politici. Si trova nel lazzaretto da circa tre mesi e Renzo, che pure è felice di averlo ritrovato, deve però constatare che è cambiato moltissimo e che il suo portamento è curvo e affaticato, il viso pallido e smunto, il fisico duramente provato e sorretto unicamente da una grandissima forza d'animo. Renzo si avvicina senza parlare e facendosi riconoscere dal frate, finché il suo sguardo si incrocia con quello del cappuccino e lo chiama per nome.
Renzo racconta al frate la storia sua e di Lucia
Padre Cristoforo posa a terra la scodella e si alza per andare verso Renzo, col quale scambia affettuosi saluti: la voce del frate è fioca, diversa da quella d'un tempo, mentre lo sguardo è rimasto lo stesso, solo reso più vivo dall'ardore della carità presente in lui. Renzo spiega al cappuccino di aver avuto la peste e di essere lì per cercare Lucia, che non è sua moglie come crede il religioso: questi chiede al giovane delle sue traversie giudiziarie e lui gli assicura che durante il tumulto a Milano ha certo commesso molte imprudenze, ma nessuna cattiva azione. Padre Cristoforo gli crede e, prima che Renzo gli racconti ogni cosa, chiama dall'uscio della capanna un suo confratello (padre Vittore), al quale raccomanda di badare ai malati in sua assenza e specialmente a uno di loro, chiamandolo subito se per caso egli tornasse cosciente. Invita poi Renzo a entrare nella capanna e a prendere della minestra in una scodella, dal momento che il giovane è ancora digiuno; lo fa sedere su un saccone che gli fa da letto, prende un bicchiere di vino da una botte in un angolo e la propria scodella, quindi si mette a sedere accanto al giovane. Renzo racconta al frate tutte le vicissitudini di Lucia dopo essere andata a Monza, il rapimento da parte dell'innominato, la sua liberazione e la sistemazione presso donna Prassede; il frate è costernato a sentire i pericoli corsi dalla ragazza nel luogo dove lui l'aveva indirizzata, benché sia sollevato al pensiero che si sia poi salvata. Renzo gli racconta poi tutto quanto è successo a lui a Milano, durante la sommossa, la successiva fuga e la latitanza nel Bergamasco, fino a quando ha appreso che Lucia è nel lazzaretto, anche se ignora come e quando ci sia stata portata. Il giovane immagina che le donne siano ospitate in un quartiere separato e chiede al frate di indicargli dove si trova, al che il cappuccino oppone qualche resistenza giacché, com'è ovvio, in quel luogo è vietato l'accesso agli uomini che non siano religiosi o funzionari della Sanità. Renzo obietta che Lucia dovrebbe essere sua moglie e che i due sono stati separati con la violenza, dunque ritiene di avere il diritto di cercarla per sapere se è ancora viva, un argomento al quale fra Cristoforo non può opporre altre ragioni. Dal canto suo, Renzo decide di non informare per il momento il frate del voto pronunciato da Lucia e di parlargliene solo nel caso in cui la trovasse, mentre in caso contrario sarebbe del tutto inutile.
Padre Cristoforo indica a Renzo la cappella e il quartiere delle donne
Padre Cristoforo porta Renzo sull'uscio della capanna, che guarda a settentrione, mostrandogli la cappella che sorge al centro del recinto: gli spiega che quel giorno padre Felice, capo dei cappuccini del lazzaretto, porterà a far la quarantena altrove i pochi guariti dalla peste, che adesso si stanno radunando presso la chiesa per uscire in processione dalla porta da dove il giovane è entrato. Renzo dice infatti che ha sentito un rintocco di campana e il frate spiega che era il secondo e che al terzo tutti i guariti saranno radunati lì, perciò il giovane dovrà avvicinarsi e guardare se, per grazia di Dio, Lucia si trovi tra i guariti della processione. Se non dovesse esserci, Renzo dovrà allora recarsi al quartiere delle donne (che il frate gli indica) che è protetto da uno steccato in parte sconnesso, dove il giovane non avrà difficoltà a introdursi. Una volta dentro, non facendo nulla che crei fastidi non dovrebbe incontrare difficoltà, e se qualcuno dovesse ostacolarlo potrà sempre fare il nome del cappuccino e dire che lui risponde delle sue azioni. Renzo potrà cercare Lucia in quel luogo nella speranza di trovarla, benché essa sia molto debole (trovare una persona viva al lazzaretto assomiglia piuttosto a un miracolo) e dunque il giovane dovrà essere pronto anche a un sacrificio.
Il frate rimprovera duramente Renzo
Renzo, al pensiero di non trovar viva Lucia, cambia improvvisamente espressione e, con viso stravolto, dice di essere pronto a cercare la ragazza in ogni luogo, ma nel caso in cui non ci fosse più sarà pronto a cercare qualcun altro a Milano, o nel suo palazzotto, o in capo al mondo, a cercare quel prepotente a causa del quale lui e la sua promessa sposa sono stati separati e non hanno avuto la consolazione di morire insieme, se a ciò erano destinati. Padre Cristoforo capisce che Renzo manifesta il proposito di uccidere don Rodrigo e afferra il giovane per un braccio, guardandolo severamente: Renzo non se ne dà per inteso e prosegue dicendo che, nel caso in cui il signorotto non sia morto di peste, ci penserà lui a fare giustizia e a impedire a un tiranno di spadroneggiare coi suoi bravi a danno della povera gente. A questo punto il frate sembra riprendere l'antico vigore e rimprovera duramente Renzo, con una voce che ha ripreso l'empito e la sonorità di un tempo: mostra al giovane tutta la sofferenza che li circonda e gli ricorda, scuotendolo per il braccio, che solo Dio può giudicare e che quella di Renzo non sarebbe giustizia, ma solo un'inutile vendetta. Lucia, aggiunge, è sicuramente morta, perché Dio non l'avrebbe lasciata in vita per darla in moglie a uno sciagurato che pensa ad uccidere, che coltiva propositi sanguinosi: gli lascia il braccio e gli volta le spalle in modo quasi sprezzante, dicendo che ha ben altro da fare che dar retta a lui, incamminandosi verso una capanna di malati. Renzo, costernato, supplica il padre di non lasciarlo in quella maniera, ma il religioso ribatte che non può certo sottrarre tempo ai sofferenti per ascoltare i progetti di vendetta del giovane, che ha ascoltato quando gli chiedeva consolazione e aiuto, mentre adesso non ha davvero più nulla da dirgli.
Il frate porta Renzo da don Rodrigo
A questo punto Renzo, quasi per scusarsi delle sue parole, si dice pronto a perdonare don Rodrigo, ma padre Cristoforo fa notare al giovane che tale proposito, espresso in quel modo, appare ingenuo e velleitario. Il frate gli ricorda poi per quale ragione egli indossa la tonaca e rammenta di aver odiato anche lui e di aver ucciso l'uomo che odiava: poco conta che si trattasse di un nobile altero e prepotente, non ci sono scuse né giustificazioni per l'omicidio che ha commesso trent'anni prima. Il frate osserva che a lui non è stato concesso ravvedersi prima di compiere quell'atto sanguinoso, ma Renzo può farlo e Dio gli concede una possibilità che forse non merita, ma che deve cogliere per evitare di perdersi con propositi vendicativi, che saranno certamente colpiti presto o tardi dal castigo divino. Renzo è profondamente colpito da tali parole e si mostra pentito, esprime parole di perdono per don Rodrigo che questa volta suonano sincere. Il frate gli chiede cosa farebbe se vedesse di fronte a sé il signorotto e Renzo risponde che pregherebbe Dio di dargli pazienza e di toccare il cuore del nobile: allora il frate afferma che potrà dimostrare coi fatti ciò che ha detto a parole e che se vuole trovare don Rodrigo sarà accontentato, così da vedere cos'è diventato l'oggetto della sua rabbia, il bersaglio della sua vendetta. Padre Cristoforo afferra la mano di Renzo con la forza di un giovane sano e lo conduce con sé, senza che l'altro osi opporre alcuna resistenza.
Renzo di fronte a don Rodrigo agonizzante
Padre Cristoforo conduce Renzo sull'uscio di una capanna distante pochi passi, quindi fa entrare il giovane, non prima di averlo fissato con uno sguardo di severità e tenerezza. All'interno c'è un malato seduto su un pagliericcio, che vedendo il frate gli fa cenno di no con la testa (il religioso annuisce con tristezza e rassegnazione); Renzo osserva gli altri malati e ne vede uno steso su una specie di materasso, avvolto in un lenzuolo e con una cappa signorile che gli fa da coperta, riconoscendolo come don Rodrigo. Il giovane istintivamente si ritrae, ma il frate gli stringe ancor più forte la mano e lo costringe ad avvicinarsi al giaciglio, indicando il moribondo che vi è disteso. Il malato è immobile e tiene gli occhi aperti, vitrei; le labbra sono nere e gonfie, il viso sembra quello di un cadavere, se non fosse per alcune contrazioni che ogni tanto lo attraversano; il petto è squassato da un respiro affannoso e l'uomo tiene la mano destra premuta sul torace, dalla parte del cuore, con le dita livide e dalla punta nera. Il frate invita con tono perentorio Renzo a guardarlo e gli rammenta che può essere castigo o misericordia e che Dio avrà verso il giovane lo stesso atteggiamento che ora lui avrà per il suo persecutore. Dice che il nobile è qui da quattro giorni e che non ha mai ripreso lucidità e, forse, Dio vuole che Renzo preghi per la sua anima e invochi il perdono per lui, per concedergli un'ora di ravvedimento. Forse, conclude il frate, la salvezza di entrambi dipende da Renzo, che pertanto è invitato a compiere un atto di compassione e di amore verso il suo antagonista e oppressore.
Renzo prega per don Rodrigo, poi se ne va
Padre Cristoforo tace e prega a mani giunte chinando il viso, imitato da Renzo. Dopo pochi momenti si sente il rintocco della campana ed entrambi escono dalla capanna, senza bisogno di dire altro che non sia già espresso dai loro volti. Il frate invita Renzo ad andare e lo esorta ad essere pronto a qualunque evenienza, soprattutto a lodare Dio qualunque sia l'esito della sua ricerca, dandone comunque notizia anche a lui. I due si separano e mentre il cappuccino torna da dove è venuto, Renzo si dirige verso la cappella che non è distante più di cento passi.
Temi principali e collegamenti
- Come già nel cap. XXXIV, anche qui il protagonista è Renzo, impegnato nella ricerca di Lucia all'interno del lazzaretto tra gli appestati: rispetto al capitolo precedente, l'autore rinuncia esplicitamente a fornire una descrizione dettagliata delle miserie e delle sofferenze raccolte all'interno, limitandosi a pochi rapidi cenni tra cui il recinto con i bambini e le balie (il romanziere aveva già accennato al dramma degli orfani rimasti senza i genitori nel cap. XXXII). Il percorso di ravvedimento morale e di maturazione di Renzo ha termine proprio in questo episodio, attraverso l'incontro con padre Cristoforo e don Rodrigo (sul punto si veda oltre).
- L'atmosfera cupa e soffocante descritta in apertura accresce l'inquietudine che accompagna l'incerta ricerca di Renzo, riprendendo quando già detto nel cap. precedente: si ha il quadro di una natura malata, in preda alla desolazione, dove nella calura opprimente tutto è immobile e suggerisce quasi un senso di morte (qualcosa di simile si aveva anche nei capp. iniziali, con la presentazione dei guasti della carestia). Più di un critico, tra cui I. Calvino, ha osservato come spesso nel romanzo la natura viene mostrata in preda a forze oscure e distanti da ogni consolazione religiosa, come in un mondo privo di Provvidenza.
- Renzo ritrova nel lazzaretto padre Cristoforo, che torna nelle vicende dopo che era stato trasferito a Rimini per i maneggi del conte Attilio (cap. XIX): apprendiamo ora che il conte zio è morto (forse di peste, ma non viene detto in modo esplicito) e allo scoppiare dell'epidemia il frate ha chiesto di essere inviato a Milano per accudire i malati, richiesta che è stata accolta facilmente. Il cappuccino appare spossato nel fisico e nel cap. XXXVI Renzo dirà a Lucia che probabilmente ha contratto la malattia, di cui infatti morirà (la notizia sarà appresa dalla stessa Lucia nel cap. XXXVII).
- La processione dei guariti fra cui Renzo dovrà cercare Lucia è preannunciata da rintocchi di campana provenienti dalla cappella centrale ed è interessante osservare come il suono delle campane accompagni Renzo durante vari episodi del romanzo: la "notte degli imbrogli", mentre lascia il paese dopo il fallito matrimonio a sorpresa, sente il lugubre rintocco delle campane a martello (cap. VIII) e tale suono gli rimbomba nella mente tra i fumi dell'alcool all'osteria della Luna Piena (XIV), ripensandoci anche al suo ritorno in paese, dopo lo scoppio della peste (cap. XXXIII); persino la notte insonne trascorsa nel capanno durante la sua fuga (XVII) è scandita dai rintocchi di un vicino campanile, forse quello di Trezzo d'Adda. Qui nel lazzaretto il suono è altrettanto inquietante e infatti la ricerca di Lucia fra i guariti sarà infruttuosa, costringendo Renzo a introdursi nel quartiere delle donne. Curiosamente, non si fa cenno di campane a festa il giorno in cui finalmente le nozze verranno celebrate, nel cap. XXXVIII.
- Il frate, quando Renzo manifesta i suoi propositi di vendetta contro don Rodrigo, gli rammenta il motivo per cui ha indossato la tonaca e il riferimento è ovviamente al duello sanguinoso in cui aveva ucciso un nobile prepotente, narrato nel flashback del cap. IV e volgarmente accennato anche dallo stesso Rodrigo al suo palazzotto (cap. V). Renzo mostra di esserne a conoscenza e ciò influirà non poco nella sua decisione di perdonare realmente il suo persecutore (nel cap. seguente il frate donerà a lui e Lucia il "pane del perdono", donatogli a sua volta dal fratello dell'uomo ucciso trent'anni prima).
- L'apparizione di don Rodrigo agonizzante e prossimo alla morte per la peste è il momento di maggior tensione narrativa e si colloca infatti proprio alla fine, dopo che il personaggio è stato più volte evocato nel corso del capitolo: era lui, infatti, il malato per il quale fra Cristoforo si raccomandava con padre Vittore, nel caso avesse ripreso lucidità, e ancora lui veniva chiamato in causa da Renzo in preda all'ira, quando manifestava il proposito di assassinarlo per vendetta (cosa che aveva fatto altre volte, come nei capp. II e VII). Il signorotto viene mostrato come un povero corpo prostrato dalla malattia, misero, con un volto contratto come nella morte e le dita nere; la cappa nobiliare che usa come una coperta crea un voluto contrasto con lo squallore della capanna e del giaciglio in cui è disteso, ricordando che la malattia rende tutti uguali e annulla le distinzioni sociali. È questo l'unico incontro tra lui e Renzo nel romanzo ed è significativo che ciò avvenga quando il nobile è ormai ai piedi del suo "rivale", che tuttavia rinuncia a ogni proposito vendicativo e prega per lui perdonandolo (si veda oltre). È stato osservato che questa è anche l'unica vera descrizione di un appestato in tutta la narrazione, per cui è interessante che essa sia riservata proprio all'oppressore e al malvagio della storia.
- Nel Fermo e Lucia la morte di don Rodrigo veniva mostrata nel lazzaretto (IV, 9), allorché l'appestato in preda al delirio, dopo aver visto i due promessi e padre Cristoforo, saliva in groppa a un cavallo e partiva al galoppo, vanamente inseguito dai monatti; in seguito questi porteranno indietro il suo cadavere, dicendo che è stramazzato a terra morto (dunque il signorotto moriva certamente in disgrazia e senza essersi pentito delle sue malefatte). Nella prima redazione del romanzo, inoltre, era del tutto assente la scena in cui fra Cristoforo mostrava il nobile in agonia esortando il perdono di Renzo, che diventerà invece il "pezzo forte" del cap. XXXV dei Promessi sposi (si veda il brano La morte di don Rodrigo).
Renzo e don Rodrigo, personaggi antitetici
G. Scarpati, Renzo di fronte a don Rodrigo
Renzo e don Rodrigo, i due personaggi maschili principali del romanzo, per quasi tutta la vicenda non si trovano mai l'uno di fronte all'altro e l'unico incontro avviene alla conclusione della storia, quando il signorotto agonizzante verrà mostrato al giovane da padre Cristoforo al lazzaretto, per spingerlo al ravvedimento morale che completerà il suo percorso di crescita. Tale scelta dell'autore è quanto meno curiosa e si spiega anzitutto con la volontà di allontanare la narrazione dagli schemi più triti dei romanzi d'appendice, in cui spesso il protagonista e l'antagonista sono contrapposti, ma anche alla luce del "romanzo di formazione" di Renzo, in cui proprio il suo rapporto col "rivale" gioca un ruolo essenziale: a questo fine Manzoni tratteggia due personaggi antitetici, i cui percorsi paralleli non si incrociano mai se non alla fine e le differenze tra i due accentuano la sorpresa dell'inaspettato incontro del cap. XXXV, da cui deriva la maturazione dell'uno e, forse la salvezza dell'altro. In effetti i due non potrebbero essere più diversi: anzitutto don Rodrigo è ricco, nobile, vive in un palazzo circondato da servi, passa le sue giornate nell'ozio ammazzando la noia tra dispute cavalleresche e insidie alle contadine; Renzo è un povero filatore di seta costretto a guadagnarsi da vivere, ama sinceramente Lucia e ha un progetto di vita ben più costruttivo di quello del signorotto, che non sa andare oltre all'orizzonte del punto d'onore e dell'orgoglio nobiliare. Inoltre hanno anche caratteri differenti, in quanto Renzo è impulsivo, facile all'ira, dotato di una buona dose di coraggio, tanto che in più di un'occasione medita di uccidere don Rodrigo, mentre quest'ultimo è una figura decisamente deludente, timorosa delle conseguenze delle sue azioni e bisognoso dell'appoggio di amici potenti (infatti il nobile non pensa neppure di macchiarsi le mani di sangue e al massimo ordina ai bravi di dare una bastonata a Renzo, mentre il giovane abbandona i suoi piani cruenti per gli scrupoli religiosi e il pensiero di Lucia). Questo introduce l'altra fondamentale diversità tra di loro, ovvero la dimensione religiosa e il rapporto con la fede: quello del nobile è a dir poco problematico ed egli è terrorizzato da tutto ciò che riguarda l'aldilà e il giudizio divino, Renzo al contrario è un giovane devoto e dotato di un sincero spirito cristiano, nonché da un profondo rispetto per le figure d'autorità della Chiesa, persino per don Abbondio contro cui avrebbe molti motivi di risentimento. Proprio il piano religioso è, in modo inaspettato, quello su cui può avvenire il confronto tra di essi, poiché su quello sociale o della vita pratica non possono esservi contatti, dal momento che i due appartengono a mondi distanti e incomunicabili, ma quando la peste sconvolge l'ordine della società e abbatte le barriere che separano le varie classi ecco che l'incontro è possibile, proprio nel luogo dove le miserie dell'epidemia livellano le distinzioni sociali esistenti, per cui tutti diventano uguali davanti alla malattia e al giudizio di Dio. È questo lo snodo fondamentale del romanzo, poiché la peste costringe i vari personaggi a fare i conti con la propria coscienza e l'eventualità della morte e mentre don Rodrigo ne è inorridito e cerca di negare la realtà, Renzo invece accetta la malattia con rassegnazione cristiana e ne guarisce, partendo poi alla ricerca di Lucia che a sua volta supererà il morbo. Per il nobile è diverso e non solo, banalmente, perché lui è destinato a morire, ma soprattutto in quanto non accetta la fragilità e precarietà del suo essere uomo, pensa che il lignaggio aristocratico lo metta al riparo dal rischio di essere gettato come chiunque altro nel lazzaretto e non si accorge che le differenze sociali non contano nulla di fronte alla sofferenza e alla miseria della malattia. La peste ovviamente agisce anche su Renzo, che non ha superato del tutto i suoi limiti caratteriali e cova ancora desiderio di vendetta verso don Rodrigo, che infatti riesplode proprio di fronte alla prospettiva di non trovare Lucia ancora in vita: qui la rassegnazione viene meno ed emerge la volontà di trovare un colpevole per la tragedia della peste, che ovviamente si concretizza nell'odiato rivale che, dice, andrà a cercare sino in capo al mondo. È questo l'ultimo passo che deve compiere Renzo per completare il suo percorso di maturazione, abbandonare del tutto gli istinti di vendetta così lontani dall'ideale cristiano e tanto più inopportuni in un luogo di dolore come il lazzaretto in cui sono espressi: sarà ovviamente padre Cristoforo a richiamarlo duramente ai suoi doveri di carità e a mostrargli lo spettacolo pietoso e drammatico di don Rodrigo sul letto di morte, ridotto a un povero appestato in preda al delirio e certo ben diverso dal tiranno pieno di alterigia quale l'avevamo visto finora, quale Renzo stesso probabilmente lo ricordava. È la dimostrazione di come la peste ha in effetti messo tutti sullo stesso piano e la compassione per il povero moribondo indurrà Renzo a qualcosa che fino a quel momento non avrebbe creduto possibile, ovvero perdonare di cuore il suo nemico e pregare per la salvezza della sua anima, che forse il nobile otterrà grazie a un pentimento dell'ultima ora. È la conclusione meno ovvia e più distante dai clichés della narrazione romanzesca, in quanto al confronto risolutore tra i due rivali e antagonisti subentra la pietà religiosa, oltretutto in una scena in cui il malvagio è privo di coscienza e inoffensivo, dunque potenzialmente esposto alle vendette del suo avversario; Manzoni ribalta gli schemi classici della letteratura di consumo in voga al suo tempo e propone un confronto che avviene su un piano del tutto diverso, tra l'altro alla presenza di fra Cristoforo che al mondo nobiliare aveva rinunciato dopo un duello sanguinoso (e non c'è dubbio che ciò ha influito non poco nell'indurre Renzo a perdonare don Rodrigo e ad abbandonare ogni proposito vendicativo). Il destino dei due personaggi potrà a questo punto separarsi per sempre, con Renzo proiettato verso la sua nuova vita e divenuto ormai un uomo più maturo e migliore, don Rodrigo destinato alla morte e, forse, a un percorso di ravvedimento nell'altra vita, che naturalmente l'autore non esclude ma che non può venire mostrato direttamente sulla scena, venendo rimandato alla fede del lettore nella Provvidenza divina (col paradosso che tale salvezza, se ci sarà, si dovrà in gran parte alle preghiere e alla buona volontà di Renzo, con un ribaltamento di ruoli che non solo rende la narrazione originalissima, ma caratterizza sul piano religioso l'intera vicenda dei Promessi sposi, in cui il messaggio cristiano può dispiegarsi in tutta la sua forza e in modi assai meno banali di come è sembrato a tanta critica del Novecento).
Per approfondire: E. Raimondi, Renzo eroe cercatore; L. Russo, Don Rodrigo.
Per approfondire: E. Raimondi, Renzo eroe cercatore; L. Russo, Don Rodrigo.
Clicca qui per ascoltare l'audio del capitolo dal sito www.liberliber.it
(voce narrante di Silvia Cecchini).
Capitolo XXXV
S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichìo, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi. Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e compreso. Questo spettacolo, noi non ci proponiam certo di descriverlo a parte a parte [1], né il lettore lo desidera; solo, seguendo il nostro giovine nel suo penoso giro, ci fermeremo alle sue fermate, e di ciò che gli toccò di vedere diremo quanto sia necessario a raccontar ciò che fece, e ciò che gli seguì.
Dalla porta dove s’era fermato, fino alla cappella del mezzo, e di là all’altra porta in faccia, c’era come un viale sgombro di capanne e d’ogni altro impedimento stabile; e alla seconda occhiata, Renzo vide in quello un tramenìo [2] di carri, un portar via roba, per far luogo; vide cappuccini e secolari che dirigevano quell’operazione, e insieme mandavan via chi non ci avesse che fare. E temendo d’essere anche lui messo fuori in quella maniera, si cacciò addirittura tra le capanne, dalla parte a cui si trovava casualmente voltato, alla diritta. Andava avanti, secondo che vedeva posto da poter mettere il piede, da capanna a capanna, facendo capolino in ognuna, e osservando i letti ch’eran fuori allo scoperto, esaminando volti abbattuti dal patimento, o contratti dallo spasimo, o immobili nella morte, se mai gli venisse fatto di trovar quello che pur temeva di trovare. Ma aveva già fatto un bel pezzetto di cammino, e ripetuto più e più volte quel doloroso esame, senza veder mai nessuna donna: onde s’immaginò che dovessero essere in un luogo separato. E indovinava; ma dove fosse, non n’aveva indizio, né poteva argomentarlo. Incontrava ogni tanto ministri, tanto diversi d’aspetto e di maniere e d’abito, quanto diverso e opposto era il principio che dava agli uni e agli altri una forza uguale di vivere in tali servizi: negli uni l’estinzione d’ogni senso di pietà, negli altri una pietà sovrumana [3]. Ma né agli uni né agli altri si sentiva di far domande, per non procacciarsi alle volte un inciampo; e deliberò d’andare, andare, fin che arrivasse a trovar donne. E andando non lasciava di spiare intorno; ma di tempo in tempo era costretto a ritirare lo sguardo contristato, e come abbagliato da tante piaghe. Ma dove rivolgerlo, dove riposarlo, che sopra altre piaghe? L’aria stessa e il cielo accrescevano, se qualche cosa poteva accrescerlo, l’orrore di quelle viste. La nebbia s’era a poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbuiandosi sempre più, davano idea d’un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la spera del sole, pallida, che spargeva intorno a sé un barlume fioco e sfumato, e pioveva un calore morto e pesante. Ogni tanto, tra mezzo al ronzìo continuo di quella confusa moltitudine, si sentiva un borbottar di tuoni, profondo, come tronco, irresoluto; né, tendendo l’orecchio, avreste saputo distinguere da che parte venisse; o avreste potuto crederlo un correr lontano di carri, che si fermassero improvvisamente. Non si vedeva, nelle campagne d’intorno, moversi un ramo d’albero, né un uccello andarvisi a posare, o staccarsene: solo la rondine, comparendo subitamente di sopra il tetto del recinto, sdrucciolava in giù con l’ali tese, come per rasentare il terreno del campo; ma sbigottita da quel brulichìo, risaliva rapidamente, e fuggiva. Era uno di que’ tempi, in cui, tra una compagnia di viandanti non c’è nessuno che rompa il silenzio; e il cacciatore cammina pensieroso, con lo sguardo a terra; e la villana, zappando nel campo, smette di cantare, senza avvedersene; di que’ tempi forieri della burrasca, in cui la natura, come immota al di fuori, e agitata da un travaglio interno, par che opprima ogni vivente, e aggiunga non so quale gravezza a ogni operazione, all’ozio, all’esistenza stessa. Ma in quel luogo destinato per sé al patire e al morire, si vedeva l’uomo già alle prese col male soccombere alla nuova oppressione; si vedevan centinaia e centinaia peggiorar precipitosamente; e insieme, l’ultima lotta era più affannosa, e nell’aumento de’ dolori, i gemiti più soffogati: né forse su quel luogo di miserie era ancor passata un’ora crudele al par di questa. Già aveva il giovine girato un bel pezzo, e senza frutto, per quell’andirivieni di capanne, quando, nella varietà de’ lamenti e nella confusione del mormorìo, cominciò a distinguere un misto singolare di vagiti e di belati; fin che arrivò a un assito scheggiato e sconnesso, di dentro il quale veniva quel suono straordinario. Mise un occhio a un largo spiraglio, tra due asse [4], e vide un recinto con dentro capanne sparse, e, così in quelle, come nel piccol campo, non la solita infermeria, ma bambinelli a giacere sopra materassine, o guanciali, o lenzoli distesi, o topponi [5]; e balie e altre donne in faccende; e, ciò che più di tutto attraeva e fermava lo sguardo, capre mescolate con quelle, e fatte loro aiutanti: uno spedale d’innocenti, quale il luogo e il tempo potevan darlo. Era, dico, una cosa singolare a vedere alcune di quelle bestie, ritte e quiete sopra questo e quel bambino, dargli la poppa; e qualche altra accorrere a un vagito, come con senso materno, e fermarsi presso il piccolo allievo, e procurar d’accomodarcisi sopra, e belare, e dimenarsi, quasi chiamando chi venisse in aiuto a tutt’e due. Qua e là eran sedute balie con bambini al petto; alcune in tal atto d’amore, da far nascer dubbio nel riguardante, se fossero state attirate in quel luogo dalla paga, o da quella carità spontanea che va in cerca de’ bisogni e de’ dolori. Una di esse, tutta accorata, staccava dal suo petto esausto un meschinello piangente, e andava tristamente cercando la bestia, che potesse far le sue veci. Un’altra guardava con occhio di compiacenza quello che le si era addormentato alla poppa, e baciatolo mollemente, andava in una capanna a posarlo sur una materassina. Ma una terza, abbandonando il suo petto al lattante straniero [6], con una cert’aria però non di trascuranza, ma di preoccupazione, guardava fisso il cielo: a che pensava essa, in quell’atto, con quello sguardo, se non a un nato dalle sue viscere, che, forse poco prima, aveva succhiato quel petto, che forse c’era spirato sopra? Altre donne più attempate attendevano ad altri servizi. Una accorreva alle grida d’un bambino affamato, lo prendeva, e lo portava vicino a una capra che pascolava a un mucchio d’erba fresca, e glielo presentava alle poppe, gridando [7] l’inesperto animale e accarezzandolo insieme, affinché si prestasse dolcemente all’ufizio. Questa correva a prendere un poverino, che una capra tutt’intenta a allattarne un altro, pestava con una zampa: quella portava in qua e in la il suo, ninnandolo, cercando, ora d’addormentarlo col canto, ora d’acquietarlo con dolci parole, chiamandolo con un nome ch’essa medesima gli aveva messo. Arrivò in quel punto un cappuccino con la barba bianchissima, portando due bambini strillanti, uno per braccio, raccolti allora vicino alle madri spirate; e una donna corse a riceverli, e andava guardando tra la brigata e nel gregge, per trovar subito chi tenesse lor luogo di madre. Più d’una volta il giovine, spinto da quello ch’era il primo, e il più forte de’ suoi pensieri, s’era staccato dallo spiraglio per andarsene; e poi ci aveva rimesso l’occhio, per guardare ancora un momento. Levatosi di lì finalmente, andò costeggiando l’assito, fin che un mucchietto di capanne appoggiate a quello, lo costrinse a voltare. Andò allora lungo le capanne, con la mira di riguadagnar l’assito, d’andar fino alla fine di quello, e scoprir paese nuovo. Ora, mentre guardava innanzi, per studiar la strada, un’apparizione repentina, passeggiera, istantanea, gli ferì lo sguardo, e gli mise l’animo sottosopra. Vide, a un cento passi di distanza, passare e perdersi subito tra le baracche un cappuccino, un cappuccino che, anche così da lontano e così di fuga, aveva tutto l’andare, tutto il fare, tutta la forma del padre Cristoforo. Con la smania che potete pensare, corse verso quella parte; e lì, a girare, a cercare, innanzi, indietro, dentro e fuori, per quegli andirivieni, tanto che rivide, con altrettanta gioia, quella forma, quel frate medesimo; lo vide poco lontano, che, scostandosi da una caldaia, andava, con una scodella in mano, verso una capanna; poi lo vide sedersi sull’uscio di quella, fare un segno di croce sulla scodella che teneva dinanzi; e, guardando intorno, come uno che stia sempre all’erta, mettersi a mangiare. Era proprio il padre Cristoforo. La storia del quale, dal punto che l’abbiam perduto di vista, fino a quest’incontro, sarà raccontata in due parole. Non s’era mai mosso da Rimini, né aveva pensato a moversene, se non quando la peste scoppiata in Milano gli offrì occasione di ciò che aveva sempre tanto desiderato, di dar la sua vita per il prossimo. Pregò, con grand’istanza, d’esserci richiamato, per assistere e servire gli appestati. Il conte zio era morto; e del resto c’era più bisogno d’infermieri che di politici: sicché fu esaudito senza difficoltà. Venne subito a Milano; entrò nel lazzeretto; e c’era da circa tre mesi. Ma la consolazione di Renzo nel ritrovare il suo buon frate, non fu intera neppure un momento: nell’atto stesso d’accertarsi ch’era lui, dovette vedere quant’era mutato. Il portamento curvo e stentato; il viso scarno e smorto; e in tutto si vedeva una natura esausta, una carne rotta e cadente, che s’aiutava e si sorreggeva, ogni momento, con uno sforzo dell’animo. Andava anche lui fissando lo sguardo nel giovine che veniva verso di lui, e che, col gesto, non osando con la voce, cercava di farsi distinguere e riconoscere. - Oh padre Cristoforo! - disse poi, quando gli fu vicino da poter esser sentito senza alzar la voce. - Tu qui! - disse il frate, posando in terra la scodella, e alzandosi da sedere. - Come sta, padre? come sta? - Meglio di tanti poverini che tu vedi qui, - rispose il frate: e la sua voce era fioca, cupa, mutata come tutto il resto. L’occhio soltanto era quello di prima, e un non so che più vivo e più splendido; quasi la carità, sublimata nell’estremo dell’opera, ed esultante di sentirsi vicina al suo principio [8], ci rimettesse un fuoco più ardente e più puro di quello che l’infermità ci andava a poco a poco spegnendo. - Ma tu, - proseguiva, - come sei qui? perché vieni così ad affrontar la peste? - L’ho avuta, grazie al cielo. Vengo... a cercar di... Lucia. - Lucia! è qui Lucia? - È qui: almeno spero in Dio che ci sia ancora. - È tua moglie? - Oh caro padre! no che non è mia moglie. Non sa nulla di tutto quello che è accaduto? - No, figliuolo: da che Dio m’ha allontanato da voi altri, io non n’ho saputo più nulla; ma ora ch’Egli mi ti manda, dico la verità che desidero molto di saperne. Ma... e il bando? [9] - Le sa dunque, le cose che m’hanno fatto? - Ma tu, che avevi fatto? - Senta, se volessi dire d’aver avuto giudizio, quel giorno in Milano, direi una bugia; ma cattive azioni non n’ho fatte punto. - Te lo credo, e lo credevo anche prima. - Ora dunque le potrò dir tutto. - Aspetta, - disse il frate; e andato alcuni passi fuor della capanna, chiamò: - padre Vittore! - Dopo qualche momento, comparve un giovine cappuccino, al quale disse: - fatemi la carità, padre Vittore, di guardare anche per me, a questi nostri poverini, intanto ch’io me ne sto ritirato; e se alcuno però mi volesse, chiamatemi. Quel tale principalmente! [10] se mai desse il più piccolo segno di tornare in sé, avvisatemi subito, per carità. - Non dubitate, - rispose il giovine; e il vecchio, tornato verso Renzo, - entriamo qui, - gli disse. - Ma... - soggiunse subito, fermandosi, - tu mi pari ben rifinito: devi aver bisogno di mangiare. - È vero, - disse Renzo: - ora che lei mi ci fa pensare, mi ricordo che sono ancora digiuno. - Aspetta, - disse il frate; e, presa un’altra scodella, l’andò a empire alla caldaia: tornato, la diede, con un cucchiaio, a Renzo; lo fece sedere sur un saccone che gli serviva di letto; poi andò a una botte ch’era in un canto, e ne spillò un bicchier di vino, che mise sur un tavolino, davanti al suo convitato; riprese quindi la sua scodella, e si mise a sedere accanto a lui. - Oh padre Cristoforo! - disse Renzo: - tocca a lei a far codeste cose? Ma già lei è sempre quel medesimo. La ringrazio proprio di cuore. - Non ringraziar me, - disse il frate: - è roba de’ poveri; ma anche tu sei un povero, in questo momento. Ora dimmi quello che non so, dimmi di quella nostra poverina; e cerca di spicciarti; ché c’è poco tempo, e molto da fare, come tu vedi. Renzo principiò, tra una cucchiaiata e l’altra, la storia di Lucia: com’era stata ricoverata nel monastero di Monza, come rapita... All’immagine di tali patimenti e di tali pericoli, al pensiero d’essere stato lui quello che aveva indirizzata in quel luogo la povera innocente, il buon frate rimase senza fiato; ma lo riprese subito, sentendo com’era stata mirabilmente liberata, resa alla madre, e allogata da questa presso a donna Prassede. - Ora le racconterò di me, - proseguì Renzo; e raccontò in succinto la giornata di Milano, la fuga; e come era sempre stato lontano da casa, e ora, essendo ogni cosa sottosopra, s’era arrischiato d’andarci; come non ci aveva trovato Agnese; come in Milano aveva saputo che Lucia era al lazzeretto. - E son qui, - concluse, - son qui a cercarla, a veder se è viva, e se... mi vuole ancora... perché... alle volte... [11] - Ma, - domandò il frate, - hai qualche indizio dove sia stata messa, quando ci sia venuta? - Niente, caro padre; niente se non che è qui, se pur la c’è, che Dio voglia! - Oh poverino! ma che ricerche hai tu finora fatte qui? - Ho girato e rigirato; ma, tra l’altre cose, non ho mai visto quasi altro che uomini. Ho ben pensato che le donne devono essere in un luogo a parte, ma non ci sono mai potuto arrivare: se è così, ora lei me l’insegnerà. - Non sai, figliuolo, che è proibito d’entrarci agli uomini che non abbiano qualche incombenza? - Ebbene, cosa mi può accadere? - La regola è giusta e santa, figliuolo caro; e se la quantità e la gravezza de’ guai non lascia che si possa farla osservar con tutto il rigore, è una ragione questa perché un galantuomo la trasgredisca? - Ma, padre Cristoforo! - disse Renzo: - Lucia doveva esser mia moglie; lei sa come siamo stati separati; son venti mesi che patisco, e ho pazienza; son venuto fin qui, a rischio di tante cose, l’una peggio dell’altra, e ora... - Non so cosa dire, - riprese il frate, rispondendo piuttosto a’ suoi pensieri che alle parole del giovine: - tu vai con buona intenzione; e piacesse a Dio che tutti quelli che hanno libero l’accesso in quel luogo, ci si comportassero come posso fidarmi che farai tu. Dio, il quale certamente benedice questa tua perseveranza d’affetto, questa tua fedeltà in volere e in cercare colei ch’Egli t’aveva data; Dio, che è più rigoroso degli uomini, ma più indulgente, non vorrà guardare a quel che ci possa essere d’irregolare in codesto tuo modo di cercarla. Ricordati solo, che, della tua condotta in quel luogo, avremo a render conto tutt’e due; agli uomini facilmente no, ma a Dio senza dubbio. Vien qui -. In così dire, s’alzò, e nel medesimo tempo anche Renzo; il quale, non lasciando di dar retta alle sue parole, s’era intanto consigliato tra sé di non parlare, come s’era proposto prima, di quella tal promessa di Lucia [12]. “Se sente anche questo, - aveva pensato, - mi fa dell’altre difficoltà sicuro. O la trovo; e saremo sempre a tempo a discorrerne; o... e allora! che serve?” Tiratolo sull’uscio della capanna, ch’era a settentrione, il frate riprese: - Senti; il nostro padre Felice, che è il presidente qui del lazzeretto, conduce oggi a far la quarantina [13] altrove i pochi guariti che ci sono. Tu vedi quella chiesa lì nel mezzo... - e, alzando la mano scarna e tremolante, indicava a sinistra nell’aria torbida la cupola della cappella, che torreggiava sopra le miserabili tende; e proseguì: - là intorno si vanno ora radunando, per uscire in processione dalla porta per la quale tu devi essere entrato. - Ah! era per questo dunque, che lavoravano a sbrattare la strada. - Per l’appunto: e tu devi anche aver sentito qualche tocco di quella campana. - N’ho sentito uno. - Era il secondo: al terzo saran tutti radunati: il padre Felice farà loro un piccolo discorso; e poi s’avvierà con loro. Tu, a quel tocco, portati là; cerca di metterti dietro quella gente, da una parte della strada, dove, senza disturbare, né dar nell’occhio, tu possa vederli passare; e vedi... vedi... se la ci fosse. Se Dio non ha voluto che la ci sia; quella parte, - e alzò di nuovo la mano, accennando il lato dell’edifizio che avevan dirimpetto: - quella parte della fabbrica, e una parte del terreno che è lì davanti, è assegnata alle donne. Vedrai uno stecconato che divide questo da quel quartiere, ma in certi luoghi interrotto, in altri aperto, sicché non troverai difficoltà per entrare. Dentro poi, non facendo tu nulla che dia ombra [14] a nessuno, nessuno probabilmente non dirà nulla a te. Se però ti si facesse qualche ostacolo, dì che il padre Cristoforo da *** ti conosce, e renderà conto di te. Cercala lì; cercala con fiducia e... con rassegnazione. Perché, ricordati che non è poco ciò che tu sei venuto a cercar qui: tu chiedi una persona viva al lazzeretto! Sai tu quante volte io ho veduto rinnovarsi questo mio povero popolo! quanti ne ho veduti portar via! quanti pochi uscire!... Va’ preparato a fare un sacrifizio... - Già; intendo anch’io, - interruppe Renzo stravolgendo gli occhi, e cambiandosi tutto in viso; - intendo! Vo: guarderò, cercherò, in un luogo, nell’altro, e poi ancora, per tutto il lazzeretto, in lungo e in largo... e se non la trovo!... - Se non la trovi? - disse il frate, con un’aria di serietà e d’aspettativa, e con uno sguardo che ammoniva. Ma Renzo, a cui la rabbia riaccesa dall’idea di quel dubbio aveva fatto perdere il lume degli occhi, ripeté e seguitò: - se non la trovo, vedrò di trovare qualchedun altro [15]. O in Milano, o nel suo scellerato palazzo, o in capo al mondo, o a casa del diavolo, lo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse stato lui, Lucia sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, almeno saremmo morti insieme. Se c’è ancora colui, lo troverò... - Renzo! - disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardandolo ancor più severamente. - E se lo trovo, - continuò Renzo, cieco affatto dalla collera, - se la peste non ha già fatto giustizia... Non è più il tempo che un poltrone, co’ suoi bravi d’intorno, possa metter la gente alla disperazione, e ridersene: è venuto un tempo che gli uomini s’incontrino a viso a viso: e... la farò io la giustizia! - Sciagurato! - gridò il padre Cristoforo, con una voce che aveva ripresa tutta l’antica pienezza e sonorità: - sciagurato! - e la sua testa cadente sul petto s’era sollevata; le gote si colorivano dell’antica vita; e il fuoco degli occhi aveva un non so che di terribile. - Guarda, sciagurato! - E mentre con una mano stringeva e scoteva forte il braccio di Renzo, girava l’altra davanti a sé, accennando quanto più poteva della dolorosa scena all’intorno. - Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra [16], tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va’, sciagurato, vattene! Io, speravo... sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov’io sarò. Va’, tu m’hai levata la mia speranza. Dio non l’ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perché lei è una di quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va’! non ho più tempo di darti retta. E così dicendo, rigettò da sé il braccio di Renzo, e si mosse verso una capanna d’infermi. - Ah padre! - disse Renzo, andandogli dietro in atto supplichevole: - mi vuol mandar via in questa maniera? - Come! - riprese, con voce non meno severa, il cappuccino. - Ardiresti tu di pretendere ch’io rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano ch’io parli loro del perdono di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta? T’ho ascoltato quando chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carità per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me? vattene. Ne ho visti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori che gemevano di non potersi umiliare davanti all’offeso: ho pianto con gli uni e con gli altri; ma con te che ho da fare? - Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre! - esclamò il giovine. - Renzo! - disse, con una serietà più tranquilla, il frate: pensaci; e dimmi un poco quante volte gli hai perdonato. E, stato alquanto senza ricever risposta, tutt’a un tratto abbassò il capo, e, con voce cupa e lenta, riprese: - tu sai perché io porto quest’abito. Renzo esitava. - Tu lo sai! - riprese il vecchio. - Lo so, - rispose Renzo. - Ho odiato anch’io: io, che t’ho ripreso per un pensiero, per una parola, l’uomo ch’io odiavo cordialmente, che odiavo da gran tempo, io l’ho ucciso. - Sì, ma un prepotente, uno di quelli... - Zitto! - interruppe il frate: - credi tu che, se ci fosse una buona ragione, io non l’avrei trovata in trent’anni? Ah! s’io potessi ora metterti in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempre, e che ho ancora, per l’uomo ch’io odiavo! S’io potessi! io? ma Dio lo può: Egli lo faccia!... Senti, Renzo: Egli ti vuol più bene di quel che te ne vuoi tu: tu hai potuto macchinar la vendetta; ma Egli ha abbastanza forza e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa una grazia di cui qualchedun altro [17] era troppo indegno. Tu sai, tu l’hai detto tante volte, ch’Egli può fermar la mano d’un prepotente; ma sappi che può anche fermar quella d’un vendicativo. E perché sei povero, perché sei offeso, credi tu ch’Egli non possa difendere contro di te un uomo che ha creato a sua immagine? Credi tu ch’Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi? No! ma sai tu cosa puoi fare? Puoi odiare, e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te ogni benedizione. Perché, in qualunque maniera t’andassero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo che tutto sarà gastigo, finché tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gli perdono. - Sì, sì, - disse Renzo, tutto commosso, e tutto confuso: capisco che non gli avevo mai perdonato davvero; capisco che ho parlato da bestia, e non da cristiano: e ora, con la grazia del Signore, sì, gli perdono proprio di cuore. - E se tu lo vedessi? - Pregherei il Signore di dar pazienza a me, e di toccare il cuore a lui. - Ti ricorderesti che il Signore non ci ha detto di perdonare a’ nostri nemici, ci ha detto d’amarli? Ti ricorderesti ch’Egli lo ha amato a segno di morir per lui? - Sì, col suo aiuto. - Ebbene, vieni con me. Hai detto: lo troverò; lo troverai. Vieni, e vedrai con chi tu potevi tener odio, a chi potevi desiderar del male, volergliene fare, sopra che vita tu volevi far da padrone. E, presa la mano di Renzo, e strettala come avrebbe potuto fare un giovine sano, si mosse. Quello, senza osar di domandar altro, gli andò dietro. Dopo pochi passi, il frate si fermò vicino all’apertura d’una capanna, fissò gli occhi in viso a Renzo, con un misto di gravità e di tenerezza; e lo condusse dentro. La prima cosa che si vedeva, nell’entrare, era un infermo seduto sulla paglia nel fondo; un infermo però non aggravato, e che anzi poteva parer vicino alla convalescenza; il quale, visto il padre, tentennò la testa, come accennando di no: il padre abbassò la sua, con un atto di tristezza e di rassegnazione. Renzo intanto, girando, con una curiosità inquieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne distinse uno da una parte sur una materassa, involtato in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l’altra mano, accennava col dito l’uomo che vi giaceva. Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d’una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva [18] vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere. - Tu vedi! - disse il frate, con voce bassa e grave. - Può esser gastigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che t’ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tu lo vedi, senza dar segno di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente [19]; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d’amore! Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò: Renzo fece lo stesso. Erano da pochi momenti in quella positura [20], quando scoccò la campana. Si mossero tutt’e due, come di concerto; e uscirono. Né l’uno fece domande, né l’altro proteste: i loro visi parlavano. - Va’ ora, - riprese il frate, - va’ preparato, sia a ricevere una grazia, sia a fare un sacrifizio; a lodar Dio, qualunque sia l’esito delle tue ricerche. E qualunque sia, vieni a darmene notizia; noi lo loderemo insieme. senza dir altro, si separarono; uno tornò dond’era venuto; l’altro s’avviò alla cappella, che non era lontana più d’un cento passi. |
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Note
- Nei dettagli.
- Un movimento continuo e rumoroso.
- Sono rispettivamente i monatti e i cappuccini.
- Plurale per assi.
- Grosse pezze formate da più stoffe cucite insieme, un tempo messe sotto i bambini o i malati nel letto.
- Che non è suo figlio.
- Sgridando.
- A Dio.
- Il frate sa dei guai giudiziari di Renzo perché era ancora a Pescarenico quando il podestà e i birri hanno perquisito la sua casa (cap. XVIII).
- Si tratta di don Rodrigo, che entrerà in scena tra poco: il nobile è privo di coscienza e il frate si preoccupa che torni in sé, per potersi eventualmente pentire del male commesso.
- Renzo allude in modo coperto all'imbroglio del voto, di cui tuttavia deciderà per il momento di tacere col frate.
- Del voto.
- Quarantena.
- Fastidio.
- Si riferisce ovviamente a don Rodrigo.
- L'espressione è biblica e rimanda a Giobbe, 25, 6 (Quanto magis homo putredo, et filius hominis vermis, "Quanto meno [è puro di fronte a Dio] l'uomo, che è putrefazione, il figlio dell'uomo che è un verme".
- Fra Cristoforo si riferisce a se stesso.
- Premeva il petto.
- Con Lucia.
- Posizione.