Ambrogio Fusella (il poliziotto travestito)
F. Gonin, Renzo e lo sbirro all'osteria
È un poliziotto travestito da popolano che si mescola alla folla dei rivoltosi durante il tumulto di S. Martino a Milano: compare nel cap. XIV e la sua attenzione è attirata da Renzo il quale, eccitato dagli avvenimenti della giornata (il giovane ha assistito all'assalto al forno delle Grucce e alla casa del vicario di Provvisione, tratto in salvo da Ferrer) arringa la folla con un improvvisato discorso in cui invoca giustizia contro tutti i signori prepotenti. Il poliziotto lo prende per uno dei capi della rivolta e in seguito lo avvicina, proponendo di guidarlo a un'osteria dove farlo alloggiare: Renzo cade ingenuamente nella trappola e lo segue, senza sospettare che lo sbirro vorrebbe addirittura condurlo "caldo caldo alle carceri" (l'autore preciserà l'identità e le reali intenzioni dell'uomo nel cap. XV, benché molti indizi ne svelino le intenzioni già in precedenza). Renzo entra poi nell'osteria della Luna Piena, essendo troppo stanco per proseguire, e il poliziotto è costretto a seguirlo nella locanda il cui oste lo conosce bene e si lamenta tra sé di averlo tra i piedi in quella giornata tumultuosa.
In seguito Renzo mostrerà ingenuamente al suo compagno e agli altri avventori dell'osteria l'ultimo dei pani raccolti a terra al suo ingresso a Milano (XI), affermando di averlo trovato e dicendosi pronto a pagarlo al proprietario, cosa che fa molto ridere la brigata (agli occhi del poliziotto è un'ammissione del fatto che Renzo abbia preso parte all'assalto dei forni). Lo sbirro dice all'oste che Renzo intende fermarsi a dormire e questo è un segnale al padrone del locale, il quale si affretta a chiedere al giovane il nome e il luogo di provenienza: Renzo protesta vivacemente e l'oste gli mostra una copia della grida che impone agli osti di chiedere tali informazioni, suscitando le rimostranze del giovane che ha bevuto molti bicchieri di vino e a cui l'alcool comincia a dare alla testa. Il poliziotto suggerisce all'oste di non insistere oltre per non insospettire Renzo, quindi riesce a estorcergli il nome con un astuto strategemma: propone di dare a ciascuno il giusto quantitativo di pane tramite un biglietto con scritto il nome, la professione e i familiari a carico, dicendo di chiarmarsi Ambrogio Fusella e di svolgere il mestiere di spadaio (si tratta con tutta evidenza di un nome falso); Renzo cade nell'inganno e dice di chiamarsi Lorenzo Tramaglino, dando quindi al poliziotto ciò che gli serve per spiccare in seguito un mandato di arresto nei suoi confronti. A questo punto il sedicente spadaio è soddisfatto e tronca in fretta la discussione con Renzo, affrettandosi ad alzarsi e a uscire dall'osteria, incurante del giovane che vorrebbe trattenerlo per bere un altro bicchiere di vino.
Il personaggio è protagonista di un episodio in cui viene mostrata la condotta subdola e assolutamente sleale degli uomini di legge, i quali non sono interessati a svolgere indagini per stabilire la verità, ma solo a trovare dei capri espiatori della rivolta per assicurarli alla giustizia e infliggere punizioni esemplari come deterrente per il popolo (Renzo è giudicato un capo della sommossa in quanto ha fatto un discorso in piazza, il che è sufficiente per ordinare il suo arresto anche in mancanza di prove certe). Ciò è parte della polemica contro l'inefficienza della giustizia che attraversa il romanzo e che avrà ulteriori risvolti nella vicenda degli untori cui l'autore accenna nel cap. XXXII, ripresa nella Storia della colonna infame posta in appendice al libro.
In seguito Renzo mostrerà ingenuamente al suo compagno e agli altri avventori dell'osteria l'ultimo dei pani raccolti a terra al suo ingresso a Milano (XI), affermando di averlo trovato e dicendosi pronto a pagarlo al proprietario, cosa che fa molto ridere la brigata (agli occhi del poliziotto è un'ammissione del fatto che Renzo abbia preso parte all'assalto dei forni). Lo sbirro dice all'oste che Renzo intende fermarsi a dormire e questo è un segnale al padrone del locale, il quale si affretta a chiedere al giovane il nome e il luogo di provenienza: Renzo protesta vivacemente e l'oste gli mostra una copia della grida che impone agli osti di chiedere tali informazioni, suscitando le rimostranze del giovane che ha bevuto molti bicchieri di vino e a cui l'alcool comincia a dare alla testa. Il poliziotto suggerisce all'oste di non insistere oltre per non insospettire Renzo, quindi riesce a estorcergli il nome con un astuto strategemma: propone di dare a ciascuno il giusto quantitativo di pane tramite un biglietto con scritto il nome, la professione e i familiari a carico, dicendo di chiarmarsi Ambrogio Fusella e di svolgere il mestiere di spadaio (si tratta con tutta evidenza di un nome falso); Renzo cade nell'inganno e dice di chiamarsi Lorenzo Tramaglino, dando quindi al poliziotto ciò che gli serve per spiccare in seguito un mandato di arresto nei suoi confronti. A questo punto il sedicente spadaio è soddisfatto e tronca in fretta la discussione con Renzo, affrettandosi ad alzarsi e a uscire dall'osteria, incurante del giovane che vorrebbe trattenerlo per bere un altro bicchiere di vino.
Il personaggio è protagonista di un episodio in cui viene mostrata la condotta subdola e assolutamente sleale degli uomini di legge, i quali non sono interessati a svolgere indagini per stabilire la verità, ma solo a trovare dei capri espiatori della rivolta per assicurarli alla giustizia e infliggere punizioni esemplari come deterrente per il popolo (Renzo è giudicato un capo della sommossa in quanto ha fatto un discorso in piazza, il che è sufficiente per ordinare il suo arresto anche in mancanza di prove certe). Ciò è parte della polemica contro l'inefficienza della giustizia che attraversa il romanzo e che avrà ulteriori risvolti nella vicenda degli untori cui l'autore accenna nel cap. XXXII, ripresa nella Storia della colonna infame posta in appendice al libro.