Giorgio Bàrberi Squarotti
"Il conte Attilio, ritratto di un'anima frivola"
G. Bàrberi Squarotti
In questo saggio dedicato al conte cugino di don Rodrigo, lo studioso sottolinea il carattere giocoso e beffardo del personaggio che si presenta come "doppio" del tutto opposto al malvagio del romanzo, che invece si incaponisce nella persecuzione ai danni di Lucia per un puntiglio che sembra completamente assente nel suo compagno di stravizi (anche se, a dire il vero, è proprio Attilio a spingere don Rodrigo nella sua azione e dunque la sua responsabilità morale è forse meno lieve di quanto appaia nell'analisi citata).
G. Bàrberi Squarotti (1929-2017) è stato ordinario di Letteratura Italiana all'Università di Torino ed autore di numerosi saggi critici sui principali autori della nostra tradizione, inclusi Dante, Machiavelli, Pascoli, D'Annunzio. Esponente della scuola cattolica, ha messo in luce nei suoi studi il pessimismo di fondo di Manzoni accentuatosi dopo il romanzo, come è evidente dal titolo del libro da cui è tratto il passo seguente ("Le delusioni della letteratura").
G. Bàrberi Squarotti (1929-2017) è stato ordinario di Letteratura Italiana all'Università di Torino ed autore di numerosi saggi critici sui principali autori della nostra tradizione, inclusi Dante, Machiavelli, Pascoli, D'Annunzio. Esponente della scuola cattolica, ha messo in luce nei suoi studi il pessimismo di fondo di Manzoni accentuatosi dopo il romanzo, come è evidente dal titolo del libro da cui è tratto il passo seguente ("Le delusioni della letteratura").
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La prima apparizione del conte Attilio ancora innominato si ha nel racconto che Lucia fa alla madre e a Renzo dei due incontri avuti con don Rodrigo e con un altro signore al ritorno dalla filanda, dopo che il matrimonio è stato rinviato e Renzo è riuscito, con la forza, a farsi dire da don Abbondio che la vera causa del rinvio sono le minacce che gli ha fatto don Rodrigo per il tramite dei due bravi incontrati durante la quieta passeggiata serale del curato:
- Santissima Vergine! - esclamò Lucia: - chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno! - E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don Rodrigo, in compagnia d’un altro signore; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com’ella diceva, non punto belle; ma essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell’altro signore rider forte, e don Rodrigo dire: scommettiamo. Il giorno dopo, coloro s’eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e l’altro signore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo.
Ecco: il conte Attilio è fissato in un atteggiamento che sarà costantemente il suo, quello dell'uomo di mondo divertito, beffardo, un poco cinico, che è posto sempre di fronte al suo doppio, del tutto opposto, che è il cugino don Rodrigo. Il conte Attilio ride delle profferte amorose che don Rodrigo fa all'operaia della filanda che torna a casa e che è rimasta un poco indietro rispetto al gruppo delle compagne: non dimentichiamo che Lucia non ha che una mediocre bellezza, non tale da poter determinare una passione furiosa e neppure da eccitare in modo particolare il signorotto che la incontra dopo il lavoro [...]. La risposta di don Rodrigo esce subito dall'atmosfera del divertimento e del gioco, per un di più di impegno, di applicazione, di rovello, di quello che il conte zio, nel colloquio col padre provinciale, chiamerà punto d'onore. Il conte Attilio ride, tutte le due volte che avviene l'incontro con Lucia dei due nobili a passeggio, mentre don Rodrigo entrambe le volte parla, proprio per opporre all'ironia e al gioco del cugino un impegno personale ben più profondo, ben più accanito, ben più determinato. Ci vuole un intimo bisogno di affermazione di potere per giungere a formulare la scommessa con il cugino: che, naturalmente, l'accetta, come già si può comprendere dalle parole che don Rodrigo pronuncia durante il secondo incontro con Lucia ("vedremo, vedremo"), ma sempre per quel divertimento che può far più piene le giornate di un uomo ozioso, perché nobile e senza nessun interesse e impegno concreto nel mondo, se non quello di trovare sempre nuove ragioni di divertirsi, anche sulle capacità di resistenza all'autorità e alla forza del cugino da parte di una povera operaia che vive nel territorio dove don Rodrigo è signore e padrone.
Quello che sembrerebbe, all'inizio, un gioco anche per don Rodrigo, un approccio amoroso con l'operaia che rientra a casa dalla filanda tanto per vedere se ci sta e, in questo modo, riempire l'ozio della vita in provincia, non appena urta contro il riso beffardo del conte Attilio, diventa serio, troppo serio, un impegno di onore, una ripicca, una ricerca, che diviene sempre più accanita col passare del tempo e con l'accrescersi delle difficoltà, della vittoria a tutti i costi. Nel male don Rodrigo pone un impegno assoluto, totale, là dove il conte Attilio non giunge mai a fare il male davvero, restando nell'ambito di una vaga irresponsabilità, che è occasione del male, come in questo caso, ma senza che il personaggio si metta mai in condizione di farlo personalmente e direttamente. La sua risata provoca il cugino a fare una scommessa su Lucia: ma il conte Attilio non penserebbe mai di entrare come attore e non come semplice controparte in una scommessa del genere. C'è in lui una sorta di riserva di ironia (che è anche aristocratico disprezzo per l'operaia come oggetto erotico) capace di tenerlo lontano da un'effettiva volontà di male, di violenza, di stupro. L'altra faccia, quella cupa e trista, del male appartiene soltanto a don Rodrigo: tanto è vero, poi, che appunto don Rodrigo scommette sulle sue capacità di seduzione prima, poi sulla sua forza come quella che è in grado di piegare Lucia alle sue voglie [...]. È soltanto un gioco, ma il frivolo conte Attilio sta dalla parte di Lucia: è colui che, in fondo, sostiene la parte di chi mette alla prova la virtù di lei, mettendo in dubbio la certezza che don Rodrigo ha che nessuna ragazza possa resistergli e che nessuno osi mettere confini e ostacoli alla sua volontà, alla sua autorità, alla sua forza.
La prima apparizione del conte Attilio ancora innominato si ha nel racconto che Lucia fa alla madre e a Renzo dei due incontri avuti con don Rodrigo e con un altro signore al ritorno dalla filanda, dopo che il matrimonio è stato rinviato e Renzo è riuscito, con la forza, a farsi dire da don Abbondio che la vera causa del rinvio sono le minacce che gli ha fatto don Rodrigo per il tramite dei due bravi incontrati durante la quieta passeggiata serale del curato:
- Santissima Vergine! - esclamò Lucia: - chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno! - E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don Rodrigo, in compagnia d’un altro signore; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com’ella diceva, non punto belle; ma essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell’altro signore rider forte, e don Rodrigo dire: scommettiamo. Il giorno dopo, coloro s’eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e l’altro signore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo.
Ecco: il conte Attilio è fissato in un atteggiamento che sarà costantemente il suo, quello dell'uomo di mondo divertito, beffardo, un poco cinico, che è posto sempre di fronte al suo doppio, del tutto opposto, che è il cugino don Rodrigo. Il conte Attilio ride delle profferte amorose che don Rodrigo fa all'operaia della filanda che torna a casa e che è rimasta un poco indietro rispetto al gruppo delle compagne: non dimentichiamo che Lucia non ha che una mediocre bellezza, non tale da poter determinare una passione furiosa e neppure da eccitare in modo particolare il signorotto che la incontra dopo il lavoro [...]. La risposta di don Rodrigo esce subito dall'atmosfera del divertimento e del gioco, per un di più di impegno, di applicazione, di rovello, di quello che il conte zio, nel colloquio col padre provinciale, chiamerà punto d'onore. Il conte Attilio ride, tutte le due volte che avviene l'incontro con Lucia dei due nobili a passeggio, mentre don Rodrigo entrambe le volte parla, proprio per opporre all'ironia e al gioco del cugino un impegno personale ben più profondo, ben più accanito, ben più determinato. Ci vuole un intimo bisogno di affermazione di potere per giungere a formulare la scommessa con il cugino: che, naturalmente, l'accetta, come già si può comprendere dalle parole che don Rodrigo pronuncia durante il secondo incontro con Lucia ("vedremo, vedremo"), ma sempre per quel divertimento che può far più piene le giornate di un uomo ozioso, perché nobile e senza nessun interesse e impegno concreto nel mondo, se non quello di trovare sempre nuove ragioni di divertirsi, anche sulle capacità di resistenza all'autorità e alla forza del cugino da parte di una povera operaia che vive nel territorio dove don Rodrigo è signore e padrone.
Quello che sembrerebbe, all'inizio, un gioco anche per don Rodrigo, un approccio amoroso con l'operaia che rientra a casa dalla filanda tanto per vedere se ci sta e, in questo modo, riempire l'ozio della vita in provincia, non appena urta contro il riso beffardo del conte Attilio, diventa serio, troppo serio, un impegno di onore, una ripicca, una ricerca, che diviene sempre più accanita col passare del tempo e con l'accrescersi delle difficoltà, della vittoria a tutti i costi. Nel male don Rodrigo pone un impegno assoluto, totale, là dove il conte Attilio non giunge mai a fare il male davvero, restando nell'ambito di una vaga irresponsabilità, che è occasione del male, come in questo caso, ma senza che il personaggio si metta mai in condizione di farlo personalmente e direttamente. La sua risata provoca il cugino a fare una scommessa su Lucia: ma il conte Attilio non penserebbe mai di entrare come attore e non come semplice controparte in una scommessa del genere. C'è in lui una sorta di riserva di ironia (che è anche aristocratico disprezzo per l'operaia come oggetto erotico) capace di tenerlo lontano da un'effettiva volontà di male, di violenza, di stupro. L'altra faccia, quella cupa e trista, del male appartiene soltanto a don Rodrigo: tanto è vero, poi, che appunto don Rodrigo scommette sulle sue capacità di seduzione prima, poi sulla sua forza come quella che è in grado di piegare Lucia alle sue voglie [...]. È soltanto un gioco, ma il frivolo conte Attilio sta dalla parte di Lucia: è colui che, in fondo, sostiene la parte di chi mette alla prova la virtù di lei, mettendo in dubbio la certezza che don Rodrigo ha che nessuna ragazza possa resistergli e che nessuno osi mettere confini e ostacoli alla sua volontà, alla sua autorità, alla sua forza.
_(da Ritratto di un'anima frivola,
tratto da Manzoni: le delusioni della letteratura, Marra Editore 1988)
tratto da Manzoni: le delusioni della letteratura, Marra Editore 1988)