La carestia del 1628-1629
Accattoni a Milano (ed. 1840)
La scarsità del raccolto e la penuria di grano e di pane fanno da sfondo alle prime vicende del romanzo, diventando poi la causa scatenante del tumulto di S. Martino che porterà all'assalto dei forni a Milano nel 1628: l'autore spiega le ragioni profonde della carestia nel cap. XII (accingendosi a descrivere i disordini in città in cui si troverà coinvolto anche Renzo) ed esse sono da ricondurre al cattivo tempo che ha afflitto il Milanese negli anni 1627-1628 e, soprattutto, ai guasti e agli sperperi della guerra per la successione di Mantova e del Monferrato, poiché lo Stato impone delle insostenibili imposte ai proprietari terrieri e le soldatesche saccheggiano i campi e le riserve di cibo, già più scarse dell'ordinario. Il risultato è che il raccolto dell'estate 1628 risulta ancor più magro del precedente e una miseria crescente colpisce la popolazione delle campagne come della città, i cui terribili effetti vengono mostrati nei capp. iniziali del romanzo: quando padre Cristoforo si reca da Pescarenico alla casetta di Agnese e Lucia (IV) vede ovunque i brutti segni della penuria (i "mendichi laceri e macilenti", i contadini che gettano le sementi con parsimonia "e a malincuore", la "fanciulla scarna" che spinge la "vaccherella magra e stecchita" e raccoglie l'erba come pasto per sé e la famiglia), mentre la stessa Agnese rimprovera la figlia per aver fatto un'eccessiva elemosina di noci a fra Galdino (III), "in quest'anno"; l'avvocato Azzecca-garbugli (V) brinda alla generosità dei pranzi di don Rodrigo, quando fuori infuria appunto la carestia, mentre a casa di Tonio (VI) si mangia una polenta scura, di grano saraceno di scarsa qualità, per cui quando Renzo invita l'amico all'osteria tutti si rallegrano poiché verrà meno il commensale più affamato e "più formidabile". Persino Gertrude dirà al padre guardiano (IX) che non era nei programmi del convento sostituire la figlia della fattoressa che si è sposata, "attesa la scarsezza dell'annate", anche se grazie alla sua influenza convincerà la badessa ad accogliere Agnese e Lucia (dunque la crudezza della carestia colpisce anche le classi più agiate, come nel prosieguo del racconto risulterà in modo evidente).
La penuria di grano provoca come inevitabile effetto il rincaro di questo e, conseguentemente, del pane, fenomeno spiacevole ma "salutare" in quanto consente di non dare fondo alle scorte come avverrebbe se il grano si continuasse a vendere al prezzo consueto (l'autore sottolinea la necessità di adeguare i prezzi alle leggi di mercato, dunque le tariffe devono salire quanto più un bene è scarso, senza interventi da parte della forza pubblica). Il rincaro è tuttavia attribuito dalla voce popolare all'azione degli incettatori e degli accaparratori di grano, accusati di nasconderlo per rivenderlo a prezzo maggiorato e arricchirsi illecitamente: si tratta di un'accusa assurda e fondata su ridicoli pregiudizi, che tuttavia è creduta tanto dal popolo quanto dai nobili e fa levare ovunque un mormorio di protesta contro i fornai, rei agli occhi di tutti di tenere nascosto il pane (nel cap. V don Rodrigo e i suoi commensali invocano processi sommari contro i fornai disonesti, mentre nel XVI il mercante dell'osteria di Gorgonzola dà per scontato che "C'è del grano nascosto" e bisogna "andarlo a disotterrare", adeguandosi in questo alla convinzione generalmente diffusa). L'insensata imposizione da parte di Ferrer di un calmiere sul prezzo del pane e la sua successiva revoca sono la causa che scatena il tumulto dell'11 novembre a Milano, mentre nei giorni seguenti il prezzo viene nuovamente ribassato per placare la folla e ciò, ovviamente, scatena la corsa all'acquisto con il conseguente rapido esaurimento delle scorte (cap. XXVIII): il gran cancelliere emana quindi una grida il 15 novembre in cui si impone di non acquistare una quantità di pane o farina superiore alle strette necessità, per fare in modo che i fornai possano continuare a produrre il pane, e allo stesso fine viene deciso di usare il riso per il composto del pane "di mistura", salvo poi fissare anche al riso un prezzo ben lontano da quello reale di mercato (minacciando pene severissime a tutti coloro che rifiutino di adeguarvisi). Il pane a buon mercato attira ovviamente compratori anche da fuori Milano, ragion per cui il governatore don Gonzalo emana l'ennesima grida in cui si proibisce di portare fuori città pane "per più del valore di venti soldi", che naturalmente non può evitare l'esaurimento delle scorte e una penuria ancor più grave di quella già presente, inasprita dai provvedimenti sconsiderati che il governo ha assunto sotto la spinta della massa popolare (l'autore sottolinea che quando ciò avviene le conseguenze sono sempre nefaste, come dimostrato dagli avvenimenti della Rivoluzione francese). Infatti non passa molto tempo prima che il grano si esaurisca del tutto e si sentano gli effetti disastrosi della penuria tanto a Milano quanto nelle campagne: "A ogni passo, botteghe chiuse; le fabbriche in gran parte deserte; le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti", con le vie della città che si affollano di accattoni vecchi e nuovi, tra cui spiccano soprattutto i contadini venuti dalla campagna e costretti a lasciare le loro terre devastate dalle soldatesche, oppure per la mancanza di raccolto e le tasse esorbitanti imposte dalle necessità belliche. Il diffondersi di miseria e privazione nelle vie di Milano spinge il cardinal Borromeo a interessarsi alla situazione e a intervenire coi mezzi della carità, mentre gli accattoni e i bisognosi vengono raccolti nel lazzaretto, lo spazio che di lì a qualche mese ospiterà gli ammalati dell'epidemia di peste. La carestia continua a far sentire i suoi drammatici effetti sino alla primavera-estate del 1629, quando essa viene meno grazie al raccolto abbondante che pone fine alla fame e alla miseria, ma non allo stato di degrado e povertà su cui si abbatterà la calata dei lanzichenecchi e, poco dopo, il contagio della peste.
La carestia affligge anche il territorio di Bergamo in cui Renzo si rifugia dopo la sua fuga da Milano e i cui effetti si presentano al giovane poco dopo aver superato l'Adda: lungo la strada che lo porta al paese del cugino Bortolo egli incontra poveri e mendicanti vittime della stessa povertà che ha lasciato nel suo paese, il che lo fa dubitare non poco riguardo all'avvenire, anche se la sua abilità come filatore di seta gli procurerà lavoro in una fabbrica e gli darà di che vivere dignitosamente. Bortolo gli spiegherà poi che nel Bergamasco "la va più quietamente, e si fanno le cose con un po’ più di giudizio" rispetto allo Stato di Milano, come dimostra il fatto che Bergamo ha acquistato un gran quantitativo di grano a basso prezzo da Venezia per sfamare la popolazione: la politica dei dazi doganali che impedisce la libera circolazione delle merci è stata superata e ciò ha permesso di lenire gli effetti più dolorosi della carestia, con una politica più oculata di quella dimostrata dal governo milanese (economia di mercato e libera circolazione dei beni sono i rimedi più efficaci, secondo l'autore, per combattere la penuria e soddisfare le esigenze della popolazione). Il "modello" socio-economico del Bergamasco è dunque quello vincente e non è un caso se i due promessi, dopo essere convolati a nozze alla fine del romanzo, si trasferiranno proprio in questo territorio, dove Renzo diventerà un piccolo imprenditore tessile nella manifattura della seta e dove gli affari andranno "d'incanto" dopo le prime iniziali difficoltà (dunque il miglior rimedio contro la penuria è un'attività economica che produce lavoro e ricchezza e non sperpera i beni della terra per inutili pompe e spese militari, nella qual cosa si intravede un preciso riferimento anche alla politica dell'Ottocento e a questioni economiche ancora attualissime al tempo di Manzoni).
Per approfondire: U. Dotti, Guerra, fame, peste.
La penuria di grano provoca come inevitabile effetto il rincaro di questo e, conseguentemente, del pane, fenomeno spiacevole ma "salutare" in quanto consente di non dare fondo alle scorte come avverrebbe se il grano si continuasse a vendere al prezzo consueto (l'autore sottolinea la necessità di adeguare i prezzi alle leggi di mercato, dunque le tariffe devono salire quanto più un bene è scarso, senza interventi da parte della forza pubblica). Il rincaro è tuttavia attribuito dalla voce popolare all'azione degli incettatori e degli accaparratori di grano, accusati di nasconderlo per rivenderlo a prezzo maggiorato e arricchirsi illecitamente: si tratta di un'accusa assurda e fondata su ridicoli pregiudizi, che tuttavia è creduta tanto dal popolo quanto dai nobili e fa levare ovunque un mormorio di protesta contro i fornai, rei agli occhi di tutti di tenere nascosto il pane (nel cap. V don Rodrigo e i suoi commensali invocano processi sommari contro i fornai disonesti, mentre nel XVI il mercante dell'osteria di Gorgonzola dà per scontato che "C'è del grano nascosto" e bisogna "andarlo a disotterrare", adeguandosi in questo alla convinzione generalmente diffusa). L'insensata imposizione da parte di Ferrer di un calmiere sul prezzo del pane e la sua successiva revoca sono la causa che scatena il tumulto dell'11 novembre a Milano, mentre nei giorni seguenti il prezzo viene nuovamente ribassato per placare la folla e ciò, ovviamente, scatena la corsa all'acquisto con il conseguente rapido esaurimento delle scorte (cap. XXVIII): il gran cancelliere emana quindi una grida il 15 novembre in cui si impone di non acquistare una quantità di pane o farina superiore alle strette necessità, per fare in modo che i fornai possano continuare a produrre il pane, e allo stesso fine viene deciso di usare il riso per il composto del pane "di mistura", salvo poi fissare anche al riso un prezzo ben lontano da quello reale di mercato (minacciando pene severissime a tutti coloro che rifiutino di adeguarvisi). Il pane a buon mercato attira ovviamente compratori anche da fuori Milano, ragion per cui il governatore don Gonzalo emana l'ennesima grida in cui si proibisce di portare fuori città pane "per più del valore di venti soldi", che naturalmente non può evitare l'esaurimento delle scorte e una penuria ancor più grave di quella già presente, inasprita dai provvedimenti sconsiderati che il governo ha assunto sotto la spinta della massa popolare (l'autore sottolinea che quando ciò avviene le conseguenze sono sempre nefaste, come dimostrato dagli avvenimenti della Rivoluzione francese). Infatti non passa molto tempo prima che il grano si esaurisca del tutto e si sentano gli effetti disastrosi della penuria tanto a Milano quanto nelle campagne: "A ogni passo, botteghe chiuse; le fabbriche in gran parte deserte; le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti", con le vie della città che si affollano di accattoni vecchi e nuovi, tra cui spiccano soprattutto i contadini venuti dalla campagna e costretti a lasciare le loro terre devastate dalle soldatesche, oppure per la mancanza di raccolto e le tasse esorbitanti imposte dalle necessità belliche. Il diffondersi di miseria e privazione nelle vie di Milano spinge il cardinal Borromeo a interessarsi alla situazione e a intervenire coi mezzi della carità, mentre gli accattoni e i bisognosi vengono raccolti nel lazzaretto, lo spazio che di lì a qualche mese ospiterà gli ammalati dell'epidemia di peste. La carestia continua a far sentire i suoi drammatici effetti sino alla primavera-estate del 1629, quando essa viene meno grazie al raccolto abbondante che pone fine alla fame e alla miseria, ma non allo stato di degrado e povertà su cui si abbatterà la calata dei lanzichenecchi e, poco dopo, il contagio della peste.
La carestia affligge anche il territorio di Bergamo in cui Renzo si rifugia dopo la sua fuga da Milano e i cui effetti si presentano al giovane poco dopo aver superato l'Adda: lungo la strada che lo porta al paese del cugino Bortolo egli incontra poveri e mendicanti vittime della stessa povertà che ha lasciato nel suo paese, il che lo fa dubitare non poco riguardo all'avvenire, anche se la sua abilità come filatore di seta gli procurerà lavoro in una fabbrica e gli darà di che vivere dignitosamente. Bortolo gli spiegherà poi che nel Bergamasco "la va più quietamente, e si fanno le cose con un po’ più di giudizio" rispetto allo Stato di Milano, come dimostra il fatto che Bergamo ha acquistato un gran quantitativo di grano a basso prezzo da Venezia per sfamare la popolazione: la politica dei dazi doganali che impedisce la libera circolazione delle merci è stata superata e ciò ha permesso di lenire gli effetti più dolorosi della carestia, con una politica più oculata di quella dimostrata dal governo milanese (economia di mercato e libera circolazione dei beni sono i rimedi più efficaci, secondo l'autore, per combattere la penuria e soddisfare le esigenze della popolazione). Il "modello" socio-economico del Bergamasco è dunque quello vincente e non è un caso se i due promessi, dopo essere convolati a nozze alla fine del romanzo, si trasferiranno proprio in questo territorio, dove Renzo diventerà un piccolo imprenditore tessile nella manifattura della seta e dove gli affari andranno "d'incanto" dopo le prime iniziali difficoltà (dunque il miglior rimedio contro la penuria è un'attività economica che produce lavoro e ricchezza e non sperpera i beni della terra per inutili pompe e spese militari, nella qual cosa si intravede un preciso riferimento anche alla politica dell'Ottocento e a questioni economiche ancora attualissime al tempo di Manzoni).
Per approfondire: U. Dotti, Guerra, fame, peste.