Il podestà di Lecco
F. Gonin, La disputa tra il podestà e Attilio
È il magistrato che amministra la giustizia a Lecco, colui al quale (come ricorda l'autore) toccherebbe "a far giustizia a Renzo Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo": in realtà il podestà è un amico del signorotto e frequentatore della sua casa, per cui si può immaginare che il giudice, se proprio non è complice delle sue malefatte, è tuttavia disposto a chiudere un occhio su di esse e a farsene compiacente (nel cap. XI don Rodrigo, nell'attesa che il Griso e i bravi compiano il rapimento di Lucia e tornino al palazzo, riflette sulle possibili conseguenze legali e osserva che "Il podestà non è un ragazzo, né un matto", alludendo alla sua condiscendenza riguardo il delitto commesso). È un personaggio secondario e appare direttamente per l'unica volta nel cap. V, quando padre Cristoforo si reca al palazzotto di don Rodrigo per parlare con lui e lo trova seduto a tavola con i suoi convitati, tra cui appunto il podestà che è impegnato in una frivola disputa cavalleresca col conte Attilio: quest'ultimo sostiene che un cavaliere ha legittimamente bastonato il servo che gli ha consegnato la sfida a duello per il fratello, mentre il podestà afferma che l'ambasciatore è persona sacra e inviolabile (è chiaro che a nessuno dei due interessa minimamente della sorte del messaggero, la loro è una sciocca e oziosa disputa di codici cavallereschi). Il podestà si mostra infervorato nella questione e sostiene le sue tesi con dotte citazioni (il Tasso, il diritto romano, sillogismi latini...), che però svelano la vacuità e la saccenteria del personaggio; ciò emerge soprattutto nel successivo discorso, quando il podestà, parlando della guerra in atto per la successione del ducato di Mantova, tesse un bizzarro e sconclusionato elogio al conte-duca Olivares, primo ministro spagnolo (il magistrato si mostra acceso sostenitore degli Spagnoli nella guerra, ovviamente, e si vanta di essere in stretti rapporti col castellano di Lecco, ovvero il comandante della guarnigione militare della città). Egli si rivela anche piuttosto superficiale e ignorante, dal momento che vuole correggere Attilio ma storpia malamente il nome del condottiero boemo Wallenstein (lo chiama "Vagliensteino", con pronuncia spagnoleggiante) e più avanti deforma in modo ridicolo anche quello del cardinale Richelieu, che diventa "Riciliù". Più oltre (XI) sarà proprio il conte Attilio a definirlo "gran caparbio, gran testa vota, gran seccatore d’un podestà", aggiungendo però che è "un galantuomo, un uomo che sa il suo dovere", alludendo quindi anch'egli alla sua compiacenza riguardo le malefatte del cugino (Rodrigo accusa Attilio di contraddirlo sempre e di irritarlo, mentre a lui serve la protezione del magistrato).
Nel cap. XVIII il podestà riceve un dispaccio da Milano in cui gli si ordina di indagare su Renzo, fuggito in seguito al tumulto del giorno di S. Martino, quindi il magistrato esegue con estrema "diligenza" una perquisizione nella casa del giovane filatore di seta, mettendo tutto a soqquadro.
La notizia della sua morte per la peste è data a Renzo dall'amico che lo ospita al suo ritorno in paese dal Bergamasco (cap. XXXIII).
Nel cap. XVIII il podestà riceve un dispaccio da Milano in cui gli si ordina di indagare su Renzo, fuggito in seguito al tumulto del giorno di S. Martino, quindi il magistrato esegue con estrema "diligenza" una perquisizione nella casa del giovane filatore di seta, mettendo tutto a soqquadro.
La notizia della sua morte per la peste è data a Renzo dall'amico che lo ospita al suo ritorno in paese dal Bergamasco (cap. XXXIII).