Scritti sulla lingua
Un'immagine di G. I. Ascoli
Manzoni ha sempre dimostrato grande interesse per le questioni linguistiche legate alla produzione letteraria, come attestato dai numerosi rifacimenti del romanzo alla ricerca della lingua più adatta per giungere al pubblico più ampio possibile, oltre che per dare forma compiuta alla narrazione (tale problema è accennato anche nell'Introduzione ai Promessi sposi, dove peraltro l'autore elude la discussione con elegante ironia affermando che scrivere un libro per giustificarne un altro sarebbe cosa alquanto ridicola). In effetti il romanziere torna sulla complessa questione della lingua, letteraria e non, in più di uno scritto teorico, a cominciare dal trattatello intitolato Sentir messa (1835-36) in cui prende spunto dall'espressione "udir messa" preferita dai puristi e alla quale egli contrappone "sentir messa", che invece è comune e largamente usata fra i parlanti; da ricordare anche il trattato Sulla lingua italiana (1847) e il Saggio sul vocabolario italiano secondo l'uso di Firenze (1856), opere in cui è netta la sua convinzione che una lingua debba essere viva e attestata dall'uso comune dei parlanti, che è poi il criterio che lo ha portato a scegliere come lingua dell'edizione definitiva del romanzo il fiorentino parlato dalla borghesia colta.
Lo scritto più significativo è comunque la relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, prodotta nel 1868 in qualità di senatore del Regno d'Italia e presidente della Commissione parlamentare formata dal ministro dell'Istruzione Broglio, finalizzata a promuovere l'unificazione della lingua nazionale a seguito di quella politica. La soluzione manzoniana al problema linguistico, ovvero il cosiddetto "manzonismo" che si era largamente imposto in ambito letterario dopo l'edizione "quarantana" del romanzo, deve per lui diventare la base anche dell'insegnamento dell'italiano nelle scuole, che dovrebbe perciò prendere a modello il fiorentino parlato dalla borghesia e usare le opere letterarie come testi scolastici fondamentali. La posizione manzoniana aveva il grave difetto di imporre un modello linguistico "dall'alto" per superare la frammentazione dei dialetti, e fu fortemente avversata dal linguista G. I. Ascoli (1829-1907) secondo il quale l'unità linguistica dell'Italia doveva avvenire "dal basso", attraverso la maturazione storica di tutto un popolo e non aderendo a un modello che, proponendo nella teoria il primato dell'uso, lo negava nella pratica per l'impossibilità che gli scolari imparassero a parlare una lingua che avrebbero appreso solo sui libri. Va comunque detto che lo stesso Ascoli riconobbe che la mano di Manzoni, che pareva "non aver nervi", era riuscita "a estirpare dalle lettere italiane... l'antichissimo cancro della retorica", ed è innegabile che la soluzione manzoniana alla questione della lingua ebbe il merito di imporsi nell'uso letterario, ponendo le basi per l'unificazione linguistica della Penisola che si sarebbe compiuta molti decenni dopo grazie alla graduale estensione dell'obblico scolastico, ad avvenimenti traumatici come la Prima Guerra Mondiale e, in anni più recenti, alla diffusione della radio, del cinema e della televisione. Da ricordare, infine, che Manzoni pubblicò nel 1869 un'Appendice alla sua relazione in cui confutava le obiezioni che gli erano state mosse, mentre il ministro Broglio curò dal 1870 al 1897 la pubblicazione del vocabolario dell'uso fiorentino che lo stesso Manzoni aveva convintamente sostenuto.
Lo scritto più significativo è comunque la relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, prodotta nel 1868 in qualità di senatore del Regno d'Italia e presidente della Commissione parlamentare formata dal ministro dell'Istruzione Broglio, finalizzata a promuovere l'unificazione della lingua nazionale a seguito di quella politica. La soluzione manzoniana al problema linguistico, ovvero il cosiddetto "manzonismo" che si era largamente imposto in ambito letterario dopo l'edizione "quarantana" del romanzo, deve per lui diventare la base anche dell'insegnamento dell'italiano nelle scuole, che dovrebbe perciò prendere a modello il fiorentino parlato dalla borghesia e usare le opere letterarie come testi scolastici fondamentali. La posizione manzoniana aveva il grave difetto di imporre un modello linguistico "dall'alto" per superare la frammentazione dei dialetti, e fu fortemente avversata dal linguista G. I. Ascoli (1829-1907) secondo il quale l'unità linguistica dell'Italia doveva avvenire "dal basso", attraverso la maturazione storica di tutto un popolo e non aderendo a un modello che, proponendo nella teoria il primato dell'uso, lo negava nella pratica per l'impossibilità che gli scolari imparassero a parlare una lingua che avrebbero appreso solo sui libri. Va comunque detto che lo stesso Ascoli riconobbe che la mano di Manzoni, che pareva "non aver nervi", era riuscita "a estirpare dalle lettere italiane... l'antichissimo cancro della retorica", ed è innegabile che la soluzione manzoniana alla questione della lingua ebbe il merito di imporsi nell'uso letterario, ponendo le basi per l'unificazione linguistica della Penisola che si sarebbe compiuta molti decenni dopo grazie alla graduale estensione dell'obblico scolastico, ad avvenimenti traumatici come la Prima Guerra Mondiale e, in anni più recenti, alla diffusione della radio, del cinema e della televisione. Da ricordare, infine, che Manzoni pubblicò nel 1869 un'Appendice alla sua relazione in cui confutava le obiezioni che gli erano state mosse, mentre il ministro Broglio curò dal 1870 al 1897 la pubblicazione del vocabolario dell'uso fiorentino che lo stesso Manzoni aveva convintamente sostenuto.