I bravi
I bravi e don Abbondio (dip. XIX sec.)
Erano gli sgherri che nel XVII secolo si mettevano al servizio di qualche signorotto locale, di cui formavano una soldataglia pronta a fargli da guardia del corpo ma anche ad aiutarlo nei suoi soprusi ai danni dei più deboli: il nome deriva dal lat. pravus (malvagio), di cui resta traccia in espressioni quali "compiere una bravata", trascorrere una "notte brava" e simili. Compaiono per la prima volta nel cap. I, nella persona dei due figuri che, su incarico di don Rodrigo, minacciano don Abbondio perché non celebri il matrimonio tra Renzo e Lucia: l'autore li descrive con un abbigliamento particolare che li rende immediatamente riconoscibili, dal momento che portano i capelli raccolti in una reticella verde intorno al capo, hanno lunghi baffi arricciati e un ciuffo che ricade sul volto, sono armati di pistole e di spade. Manzoni cita varie gride dell'epoca in cui i governatori dello Stato di Milano intimavano ai bravi di cessare dalle loro scorrerie, tuttavia queste leggi restavano inapplicate poiché tali individui godevano dell'appoggio di signori potenti, che a loro volta contavano sull'inefficienza della giustizia e sulla connivenza dei pubblici funzionari, per cui i bravi agivano nella totale impunità. Nel cap. III l'autore spiega inoltre che i bravi portavano il ciuffo come segno di riconoscimento e anche per coprire il volto durante le azioni delittuose, ragion per cui varie gride minacciavano pene severe a chi avesse portato i capelli in quella maniera, nonché ai barbieri che li avessero tagliati così ai loro clienti (Renzo dice all'Azzecca-garbugli di non aver mai portato il ciuffo in vita sua, cioè di non essere mai stato un bravo).
I bravi nel romanzo sono anzitutto gli sgherri al servizio di don Rodrigo, capeggiati dal Griso: due di loro minacciano don Abbondio all'inizio, altri accolgono padre Cristoforo quando si reca al palazzo del loro padrone (V), altri ancora sono in paese la notte del "matrimonio a sorpresa" (VII) e poi partecipano al tentato rapimento di Lucia (VIII). Il mattino seguente alla "notte degli imbrogli" due bravi sono mandati dal Griso a minacciare il console del paese e l'autore lascia intendere che potrebbero essere gli stessi che, giorni prima, hanno intimidito don Abbondio. Alcuni di loro vengono nominati, come il Grignapoco che partecipa alla spedizione notturna e lo Sfregiato e il Tiradritto che dovranno accompagnare il Griso a Monza (XI), mentre quando don Rodrigo si reca al castello dell'innominato (XX) lo accompagnano quattro sgherri tra cui il Tiradritto, il Montanarolo, il Tanabuso e lo Squinternotto (si tratta evidentemente di nomi di battaglia, su cui il Manzoni ironizza definendoli "bei nomi, da serbarceli con tanta cura"). Nel cap. XXXIII il signorotto invoca l'aiuto di Biondino e Carlotto, due bravi che il Griso ha allontanato con falsi ordini per consegnare il padrone ammalato di peste ai monatti.
Anche Lodovico in gioventù, prima di convertirsi e diventare fra Cristoforo, si circonda di bravacci nel tentativo di farsi difensore dei deboli e degli oppressi, e questi prendono parte alla rissa (IV) durante la quale viene ucciso il servitore di Lodovico e quest'ultimo uccide il signore che l'aveva provocato.
Un piccolo esercito di bravi, capeggiati dal Nibbio, circonda infine l'innominato, il quale affida al suo luogotenente e a due suoi uomini l'infame incarico di rapire Lucia (XX): alcuni di loro restano col padrone dopo la sua clamorosa conversione e contribuiscono a difendere il castello durante la calata dei lanzichenecchi (XXX), mentre la gran parte degli altri lasciano la sua dimora e si accasano presso altri padroni.
I bravi nel romanzo sono anzitutto gli sgherri al servizio di don Rodrigo, capeggiati dal Griso: due di loro minacciano don Abbondio all'inizio, altri accolgono padre Cristoforo quando si reca al palazzo del loro padrone (V), altri ancora sono in paese la notte del "matrimonio a sorpresa" (VII) e poi partecipano al tentato rapimento di Lucia (VIII). Il mattino seguente alla "notte degli imbrogli" due bravi sono mandati dal Griso a minacciare il console del paese e l'autore lascia intendere che potrebbero essere gli stessi che, giorni prima, hanno intimidito don Abbondio. Alcuni di loro vengono nominati, come il Grignapoco che partecipa alla spedizione notturna e lo Sfregiato e il Tiradritto che dovranno accompagnare il Griso a Monza (XI), mentre quando don Rodrigo si reca al castello dell'innominato (XX) lo accompagnano quattro sgherri tra cui il Tiradritto, il Montanarolo, il Tanabuso e lo Squinternotto (si tratta evidentemente di nomi di battaglia, su cui il Manzoni ironizza definendoli "bei nomi, da serbarceli con tanta cura"). Nel cap. XXXIII il signorotto invoca l'aiuto di Biondino e Carlotto, due bravi che il Griso ha allontanato con falsi ordini per consegnare il padrone ammalato di peste ai monatti.
Anche Lodovico in gioventù, prima di convertirsi e diventare fra Cristoforo, si circonda di bravacci nel tentativo di farsi difensore dei deboli e degli oppressi, e questi prendono parte alla rissa (IV) durante la quale viene ucciso il servitore di Lodovico e quest'ultimo uccide il signore che l'aveva provocato.
Un piccolo esercito di bravi, capeggiati dal Nibbio, circonda infine l'innominato, il quale affida al suo luogotenente e a due suoi uomini l'infame incarico di rapire Lucia (XX): alcuni di loro restano col padrone dopo la sua clamorosa conversione e contribuiscono a difendere il castello durante la calata dei lanzichenecchi (XXX), mentre la gran parte degli altri lasciano la sua dimora e si accasano presso altri padroni.