Capitolo XVI
T. Scarpelli, Il mercante all'osteria
"...quando sentono avvicinarsi un cavallo.
Corron tutti all'uscio; e, riconosciuto colui che arrivava,
gli vanno incontro. Era un mercante di Milano,
che, andando più volte l'anno a Bergamo,
per i suoi traffichi, era solito passar la notte
in quell'osteria; e siccome ci trovava quasi sempre
la stessa compagnia, li conosceva tutti.
Gli si affollano intorno; uno prende la briglia,
un altro la staffa..."
Personaggi:
Luoghi: Tempo: Temi: Trama: |
_Renzo, il popolo di Milano, la vecchia dell'osteria, l'oste di Gorgonzola, gli avventori, il mercante di Milano
Milano, Liscate, Gorgonzola, la strada che porta nel Bergamasco 12 novembre 1628 La giustizia, La carestia, Il tumulto di S. Martino Renzo riesce a evitare l'arresto e a lasciare Milano. Si mette sulla strada per l'Adda, fermandosi in una prima osteria e poi in un'altra, a Gorgonzola. Qui ascolta un mercante di Milano che riferisce dei disordini in città e parla della sua fuga. Renzo esce dall'osteria e si rimette in marcia. |
Renzo si allontana in fuga
F. Gonin, Renzo in fuga
_Renzo approfitta della confusione per allontanarsi, mentre la folla lo incita a rifugiarsi in una chiesa o in un convento nelle vicinanze: il giovane ha invece deciso di lasciare Milano e di uscire addirittura dallo Stato, dal momento che la giustizia è in possesso del suo nome e può quindi arrestarlo in qualunque momento. Renzo progetta di rifugiarsi nel Bergamasco, dove il cugino Bortolo l'ha spesso invitato in passato a trasferirsi, anche se ignora da quale porta della città si esca per dirigersi nella giusta direzione e non sa neppure come arrivarci. Pensa sulle prime di chiedere indicazioni a qualcuno dei suoi liberatori, ma il ricordo del poliziotto travestito che lo ha beffato lo induce a una maggiore prudenza (anche lì potrebbe essercene qualcuno mescolato alla folla), così ringrazia i popolani che l'hanno aiutato e si allontana in tutta fretta, deciso a chiedere lumi a qualcuno che non sappia chi sia e in quale situazione si trovi.
Renzo corre via senza sapere dove sta andando, finché, quando gli sembra di essere abbastanza lontano, rallenta il passo per non destare sospetti. Inizia dunque a osservare i visi delle persone che popolano le strade, per decidere a chi sia meglio chiedere indicazioni sulla via da percorrere, incalzato dal pensiero che i birri nel frattempo saranno già sulle sue tracce per arrestarlo di nuovo.
Renzo corre via senza sapere dove sta andando, finché, quando gli sembra di essere abbastanza lontano, rallenta il passo per non destare sospetti. Inizia dunque a osservare i visi delle persone che popolano le strade, per decidere a chi sia meglio chiedere indicazioni sulla via da percorrere, incalzato dal pensiero che i birri nel frattempo saranno già sulle sue tracce per arrestarlo di nuovo.
Renzo chiede indicazioni a un passante
F. Gonin, La gente in strada
_Renzo cerca di capire chi sia la persona più adatta a cui rivolgere la domanda: sulla porta di una bottega c'è il proprietario, un uomo grassoccio con l'aria di un tipo curioso che farebbe molte interrogazioni prima di dare un'indicazione; un passante procede guardando fisso di fronte a sé, mostrando di conoscere a malapena la propria strada; un ragazzo ha l'aria furba e maliziosa e forse si divertirebbe a dare indicazioni sbagliate per sviare un forestiero. Alla fine Renzo vede un passante che cammina alla svelta come pressato da qualche affare urgente, quindi pensa che risponderà senza fare storie: gli si avvicina e gli chiede con cortesia da quale porta di Milano si esca per andare a Bergamo, al che l'altro risponde che si passa per Porta Orientale, aggiungendo poi indicazioni per raggiungere la piazza del duomo. Renzo ringrazia per l'informazione e si rimette in marcia con passo svelto, cosa che induce il passante a pensare che quel giovane ha subìto qualche brutto tiro, o ne ha lui uno in mente.
Renzo esce da Porta Orientale
Renzo a Porta Orientale (ed. 1840)
_Renzo raggiunge in fretta la piazza del duomo, dove vede gli avanzi del falò acceso dai rivoltosi il giorno prima, passa davanti al forno delle Grucce semidistrutto e sorvegliato dai soldati, quindi vede il convento dei cappuccini e la chiesa dove gli era stato consigliato di attendere, e dove ora rimpiange di non essere andato invece di cacciarsi nel tumulto. Arriva finalmente a Porta Orientale, che vede sorvegliata da diversi soldati, e pensa che sarebbe rischioso cercare di attraversarla, mentre potrebbe ottenere asilo nel convento usando la lettera di padre Cristoforo che ha ancora con sé; poi però riflette sul fatto che nessuno lo conosce, che i birri non possono attenderlo a tutte le porte e che, soprattutto, è meglio essere "uccel di bosco" piuttosto che rinchiudersi in un asilo. Si fa coraggio e si avvicina con fare indifferente alla porta, dove i numerosi gabellieri e i soldati spagnoli sono attenti a non fare entrare nessuno dall'esterno, mentre badano poco a quelli che lasciano la città. Renzo esce dalla porta senza dare nell'occhio e senza che nessuno gli dica nulla, quindi, una volta lasciata la città, imbocca una stradina secondaria per evitare quella principale e si mette in cammino, senza voltarsi indietro per parecchio tempo.
Renzo giunge all'osteria della vecchia
Renzo e la vecchia (ed. 1840)
_Renzo prosegue il suo cammino e procede per molte ore, passando accanto a cascine e villaggi di cui ignora persino il nome; ogni tanto si guarda indietro per esser certo che nessuno lo segua, mentre i polsi sono ancora indolenziti per i "manichini" messigli dai birri quella mattina. Il giovane ha l'animo ancora turbato per i recenti avvenimenti e ripensa a quanto avvenuto la sera prima, rammentando in modo confuso di aver detto il proprio nome al sedicente Ambrogio Fusella; è quasi certo che questi fosse un poliziotto travestito, mentre non ricorda quasi nulla delle chiacchiere fatte con gli altri avventori, sotto i fumi dell'alcool. È anche incerto e preoccupato dell'avvenire, rispetto al quale è pieno di dolorosi dubbi.
Dopo un po' si rende conto che non è in grado di trovare da solo la strada per Bergamo, così, pur riluttante, decide di chiedere un'indicazione a un viandante: questi lo informa che è fuori strada e gli spiega come tornare sulla via maestra, cosa di cui Renzo lo ringrazia ma col proposito di non avvicinarsi troppo alla strada principale, per evitare brutti incontri con soldati o birri. La cosa è in realtà molto difficile e infatti Renzo, camminando a zig-zag per restare su sentieri fuori mano, percorre circa dodici miglia senza allontanarsi da Milano per più di sei, non avvicinandosi in modo significativo al confine col Bergamasco. Alla fine decide che la cosa migliore sia di chiedere indicazioni per raggiungere un paesetto posto vicino al confine, raggiungibile tramite strade secondarie e senza dover chiedere di Bergamo dando l'impressione di essere un fuggiasco.
A un tratto vede una frasca fuori da una casupola che la indica come un'osteria, quindi decide di entrare e di ristorarsi, chiedendo al contempo le informazioni che gli servono. Nella casa c'è solo una vecchia intenta a filare, dalla quale Renzo accetta dello stracchino e rifiuta cortesemente il vino, memore della sbornia presa la sera prima. La donna inizia a fargli molte domande su Milano e il tumulto del giorno prima, alle quali Renzo si schermisce per poi chiedere a sua volta indicazioni per raggiungere un paese vicino al confine dei due Stati, di cui finge di non ricordare il nome. La vecchia indica Gorgonzola e Renzo chiede se si possa raggiungere per viottole secondarie, adducendo come pretesto il voler evitare la polvere della via principale. La donna dice di sì e gli spiega come fare, quindi Renzo esce con un pezzo di pane ben diverso da quelli raccolti il giorno prima a Milano, deciso ad arrivare molto presto a Gorgonzola.
Dopo un po' si rende conto che non è in grado di trovare da solo la strada per Bergamo, così, pur riluttante, decide di chiedere un'indicazione a un viandante: questi lo informa che è fuori strada e gli spiega come tornare sulla via maestra, cosa di cui Renzo lo ringrazia ma col proposito di non avvicinarsi troppo alla strada principale, per evitare brutti incontri con soldati o birri. La cosa è in realtà molto difficile e infatti Renzo, camminando a zig-zag per restare su sentieri fuori mano, percorre circa dodici miglia senza allontanarsi da Milano per più di sei, non avvicinandosi in modo significativo al confine col Bergamasco. Alla fine decide che la cosa migliore sia di chiedere indicazioni per raggiungere un paesetto posto vicino al confine, raggiungibile tramite strade secondarie e senza dover chiedere di Bergamo dando l'impressione di essere un fuggiasco.
A un tratto vede una frasca fuori da una casupola che la indica come un'osteria, quindi decide di entrare e di ristorarsi, chiedendo al contempo le informazioni che gli servono. Nella casa c'è solo una vecchia intenta a filare, dalla quale Renzo accetta dello stracchino e rifiuta cortesemente il vino, memore della sbornia presa la sera prima. La donna inizia a fargli molte domande su Milano e il tumulto del giorno prima, alle quali Renzo si schermisce per poi chiedere a sua volta indicazioni per raggiungere un paese vicino al confine dei due Stati, di cui finge di non ricordare il nome. La vecchia indica Gorgonzola e Renzo chiede se si possa raggiungere per viottole secondarie, adducendo come pretesto il voler evitare la polvere della via principale. La donna dice di sì e gli spiega come fare, quindi Renzo esce con un pezzo di pane ben diverso da quelli raccolti il giorno prima a Milano, deciso ad arrivare molto presto a Gorgonzola.
Renzo all'osteria di Gorgonzola
F. Gonin, Renzo all'osteria di Gorgonzola
Dopo aver attraversato molti paesi, _Renzo giunge a Gorgonzola prima di sera e qui decide di cenare in un'altra osteria, per captare qualche notizia relativa all'Adda e al modo per arrivarvi (fin dalla sua infanzia infatti ha appreso che il fiume per un tratto fa da confine naturale ai due Stati, il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia). Il suo intento è attraversare il fiume in qualche modo e, se non potrà arrivarci quel giorno, ci arriverà il mattino seguente dopo aver pernottato alla meglio in qualche posto, purché non in un'osteria.
Entrato in paese, vede un'insegna di osteria e vi entra, chiedendo all'oste un boccone con poco vino e pregandolo di fare in fretta, per evitare domande inopportune e non dare l'impressione di volersi fermare a dormire. Il giovane si siede in fondo alla tavola, vicino alla porta, mentre altri avventori del locale discutono dei fatti avvenuti a Milano il giorno prima, lamentandosi di non poter sapere notizie. Uno di loro si avvicina a Renzo e gli chiede se venga da Milano, al che il giovane risponde in modo evasivo dicendo di non sapere molto di quella città e aggiungendo di provenire da Liscate, uno dei paesi attraversati per arrivare fin lì. Renzo tronca in breve la discussione e poco dopo si riavvicina l'oste, al quale il giovane chiede con simulata indifferenza quanto manchi da lì per raggiungere l'Adda: l'oste domanda se l'altro voglia attraversare il fiume nei punti dove di solito affrontano il guado i galantuomini e aggiunge poi che la distanza è di circa sei miglia, cosa che stupisce non poco Renzo. Questi vorrebbe rivolgere altre domande al padrone della locanda, ma temendo che l'uomo diventi troppo curioso decide di non insistere oltre, maledicendo poi tra sé gli osti come portatori di guai; inizia poi a mangiare, simulando il più totale disinteresse per le chiacchiere degli avventori anche se ascolta con grande attenzione le loro parole, per scoprire se tra questi ci sia qualcuno cui chiedere informazioni senza pericolo.
Entrato in paese, vede un'insegna di osteria e vi entra, chiedendo all'oste un boccone con poco vino e pregandolo di fare in fretta, per evitare domande inopportune e non dare l'impressione di volersi fermare a dormire. Il giovane si siede in fondo alla tavola, vicino alla porta, mentre altri avventori del locale discutono dei fatti avvenuti a Milano il giorno prima, lamentandosi di non poter sapere notizie. Uno di loro si avvicina a Renzo e gli chiede se venga da Milano, al che il giovane risponde in modo evasivo dicendo di non sapere molto di quella città e aggiungendo di provenire da Liscate, uno dei paesi attraversati per arrivare fin lì. Renzo tronca in breve la discussione e poco dopo si riavvicina l'oste, al quale il giovane chiede con simulata indifferenza quanto manchi da lì per raggiungere l'Adda: l'oste domanda se l'altro voglia attraversare il fiume nei punti dove di solito affrontano il guado i galantuomini e aggiunge poi che la distanza è di circa sei miglia, cosa che stupisce non poco Renzo. Questi vorrebbe rivolgere altre domande al padrone della locanda, ma temendo che l'uomo diventi troppo curioso decide di non insistere oltre, maledicendo poi tra sé gli osti come portatori di guai; inizia poi a mangiare, simulando il più totale disinteresse per le chiacchiere degli avventori anche se ascolta con grande attenzione le loro parole, per scoprire se tra questi ci sia qualcuno cui chiedere informazioni senza pericolo.
L'arrivo del mercante all'osteria
F. Gonin, L'arrivo del mercante
Gli avventori dell'osteria discutono del tumulto di Milano, rammaricandosi di non avervi partecipato e augurandosi che i rivoltosi ottengano concessioni anche per le popolazioni rurali, che soffrono la fame tanto quanto quelle di città. Uno di loro inizia a parlare del grano nascosto, quando si sente avvicinarsi un cavallo ed escono tutti dal locale, andando incontro a un uomo che si avvicina alla locanda: è un mercante milanese, che è solito pernottare in quell'osteria quando si reca a Bergamo per i suoi commerci e che pertanto conosce tutti gli avventori abituali. Questi lo salutano con calore e gli chiedono notizie dei fatti di Milano, al che il mercante affida il cavallo a un garzone ed entra nel locale, dicendosi pronto a informare gli altri delle novità intervenute quel giorno. L'uomo ordina all'oste da mangiare e il suo solito letto, quindi si siede attorniato dagli avventori che gli chiedono con insistenza notizie della rivolta a Milano, poiché non è passato nessuno che ne sapesse qualcosa: il mercante beve un sorso di vino, quindi si accinge a raccontare ciò che sa ottenendo l'attenzione di tutti i presenti, incluso Renzo che ascolta ogni cosa simulando indifferenza, mentre continua il suo pasto seduto all'altro capo del tavolo.
Il racconto del mercante: l'assalto al forno del Cordusio
F. Gonin, Il tumulto a Milano
Il mercante spiega che quel giorno ha rischiato di essere peggiore del precedente, tanto che lui aveva quasi deciso di non lasciare Milano per sorvegliare la sua bottega: infatti i rivoltosi del giorno prima si sono trovati ai posti convenuti, intenzionati a compiere nuovi disordini, quindi si sono diretti alla casa del vicario di Provvisione raccogliendo altri facinorosi lungo la strada, per tentare un nuovo assalto. Il mercante sottolinea l'innocenza del vicario, che lui conosce perché rifornisce di panni la sua casa, dunque spiega che i rivoltosi hanno trovato la strada sbarrata da carri e soldati, per cui hanno deciso di tornare indietro. Poiché tuttavia erano decisi a menare le mani, hanno assaltato il forno del Cordusio cui il giorno prima non si erano potuti avvicinare, arraffando a man bassa il pane che alcuni nobili stavano distribuendo al popolo in ottemperanza a una nuova grida. La folla ha asportato molte suppellettili dal forno e ne ha fatto un gran falò sulla piazza del duomo, quindi alcuni hanno proposto di dare fuoco al forno, cosa che per poco non è avvenuta: fortunatamente, spiega il mercante, un uomo del vicinato si è affacciato da una finestra e ha esposto un crocifisso tra due ceri, inducendo i facinorosi a recedere dai propositi violenti, e poco dopo i monsignori del duomo hanno sfilato in processione, invitando tutti ad andarsene e informando la folla che il pane è di nuovo a buon mercato, come dimostrano le gride affisse sulle cantonate. Infatti il pane costa nuovamente un soldo ogni otto once e gli avventori dell'osteria chiedono se qualche provvedimento sia stato emanato anche per il contado, al che il mercante risponde che ciò che è avvenuto in Milano riguarda la città soltanto.
Il racconto del mercante: l'arresto dei capi della sommossa
F. Gonin, La processione dei monsignori
Il mercante aggiunge che i disordini a Milano sono terminati e che la giustizia ha già arrestato molti rivoltosi, i capi dei quali verranno presto impiccati: l'uomo aggiunge che la cosa è giusta, poiché molti popolani avevano preso l'abitudine di rubare impunemente nelle botteghe e la giustizia sommaria è necessaria per ristabilire l'ordine in città, specie per proteggere gli interessi dei commercianti. L'uomo spiega poi che tutto il tumulto è nato dalle trame del cardinal Richelieu, per dar briga al re di Spagna nell'ambito della guerra, e ciò sarebbe dimostrato dal fatto che tra i rivoltosi c'erano molti forestieri che non si erano mai visti in città. Tra questi, prosegue il mercante, ne era stato arrestato uno in un'osteria, che certamente era fra i capi della sommossa: Renzo, che sa bene che si sta parlando di lui, ha un fremito anche se riesce a controllarsi, senza far capire a nessuno che è il protagonista di quel racconto (tutti sono attenti alle parole del mercante). Costui racconta che il fantomatico rivoltoso aveva incitato la folla a uccidere tutti i signori ed era poi stato arrestato dalla giustizia che gli aveva trovato un fascio di lettere, ma il giovane è stato liberato dai suoi compagni ed è riuscito a fuggire senza lasciare traccia di sé. Le lettere, secondo lo scombinato resoconto del mercante, sono ora nelle mani della giustizia e in esse è descritta tutta la trama della sommossa, mentre l'uomo aggiunge che i fornai sono certamente colpevoli di nascondere il grano, ma bisogna impiccarli con processi regolari e tocca comunque al governo della città combattere gli incettatori, mentre le rivolte non possono che portare guai a chi fa il suo lavoro come i bottegai.
Renzo lascia l'osteria
F. Gonin, Renzo esce dall'osteria
_Renzo ascolta tutto con attenzione ed è tentato all'idea di andarsene subito dal locale, anche se poi si trattiene per non destare sospetti: aspetta che il mercante cambi discorso e infatti poco dopo gli avventori iniziano a rallegrarsi di non essere andati a Milano, anche se prima avevano idee del tutto diverse. Il giovane coglie l'occasione per chiamare l'oste e saldare in fretta il conto, senza troppo discutere anche se i quattrini iniziano a scarseggiare, quindi va dritto alla porta ed esce dal locale, imboccando una strada che conduce nella direzione opposta a quella per cui è arrivato poco prima.
Temi principali e collegamenti
- Il capitolo è dedicato alla fuga rocambolesca di Renzo da Milano, che si concluderà nel cap. XVII con il passaggio dell'Adda e l'approdo felice nel Bergamasco, dove il giovane troverà l'aiuto del cugino Bortolo. Questa prima parte dell'episodio vede Renzo alla faticosa ricerca della strada più sicura da seguire per giungere a destinazione, scansando le insidie che gli si possono presentare lungo il cammino: egli veste i panni dell'eroe "cercatore", che gira il mondo con spirito picaresco e affronta i pericoli che la strada gli può mettere di fronte, facendo tesoro dell'esperienza accumulata (la vicenda di Renzo assume i caratteri di un percorso formativo, di cui questo viaggio verso Bergamo è una tappa essenziale). Per approfondire: E. Raimondi, Renzo eroe cercatore.
- Nel lasciare Milano, Renzo ripercorre la stessa strada fatta il giorno prima per entrarvi e si rammarica di non aver atteso in chiesa come il frate gli aveva suggerito, cosa che gli avrebbe evitato molti guai. La sua decisione di non cercare asilo al convento per darsi alla macchia è rischiosa, ma alla fine risulta saggia poiché il giovane potrà rifugiarsi nel Bergamasco e trovare lavoro, gettando così le basi per la sua nuova vita che inizierà in quel territorio dopo il matrimonio.
- La vecchia della prima osteria offre a Renzo dello stracchino, un formaggio che è fra i prodotti tipici della Lombardia, e quando il giovane le chiede il nome di un paese vicino al confine lei gli indica Gorgonzola, anch'esso famoso per la produzione del formaggio che porta lo stesso nome. L'autore ci dice in seguito che Renzo attraversa vari villaggi "col nome di Gorgonzola in bocca", forse per proporre un ironico gioco di parole.
- Renzo all'osteria di Gorgonzola dimostra di aver fatto tesoro della brutta esperienza vissuta in quella della Luna Piena e infatti qui la sua condotta è più cauta: evita di dire il luogo di provenienza all'oste, elude abilmente le domande dell'uomo riuscendo a ottenere le informazioni ricercate, si tiene prudentemente al di fuori dei discorsi degli avventori simulando indifferenza. L'osteria si conferma come un luogo potenzialmente insidioso, specie per la presenza di sfaccendati di ogni sorta e per l'indiscreta curiosità dei locandieri (il protagonista stesso se ne rende conto: "Maledetti gli osti!" [...] più ne conosco, peggio li trovo"), per cui questa sarà l'ultima taverna in cui Renzo metterà piede nel romanzo, a parte quella in cui consumerà un pasto frugale una volta giunto nel Bergamasco.
- La parte saliente del capitolo vede come protagonista il mercante, che informa gli avventori (e il lettore) degli ultimi avvenimenti a Milano ed esprime il suo originale punto di vista sulle rivolte, aggiungendo particolari fantasiosi e improbabili sulla fuga di Renzo (si veda oltre). Il giovane imprecherà tra sé contro questo personaggio all'inizio del cap. XVII, specie per il particolare della lettera di padre Cristoforo che, nel colorito racconto del commerciante, è diventato un "fascio" di carte che svelavano la "cabala" degli intrighi internazionali dietro alla sommossa.
- Il particolare del crocifisso esposto da una finestra per frenare la furia dei tumultuanti, così come la successiva processione dei monsignori del duomo in "cappa magna", è storico ed è tratto dal trattato De peste quae fuit anno 1630 di Giuseppe Ripamonti, usato dal romanziere come fonte anche nei capp. XXXI-XXXII sulla peste.
Il mercante all'osteria: il punto di vista "borghese" sulla sommossa
A. Magnasco, Il mercato del Verziere a Milano
Manzoni esprime una visione politica di tipo conservatore e moderato, il che lo porta ovviamente a condannare i moti di piazza per la loro inefficacia e la violenza indiscriminata che comportano, ma lo scrittore nutre altrettanta sfiducia nelle capacità della borghesia di porsi alla testa di un processo di rinnovamento della società, dal momento che essa mostra spesso gli stessi limiti e la stessa miopia delle classi più umili. Sullo sfondo c'è ancora il ricordo delle tremende violenze della Rivoluzione francese, nata dalla ribellione del popolo contro i privilegi della nobiltà feudale e che ha visto imporsi nell'Europa di inizio Ottocento il ceto borghese, verso il quale tuttavia l'autore nutre una profonda diffidenza che non manca di manifestare nel corso del romanzo, ad esempio nell'episodio del cap. XVI in cui Renzo incontra all'osteria di Gorgonzola il mercante di Milano. A questo personaggio Manzoni affida il compito di illustrare il punto di vista della classe borghese sulla rivolta di S. Martino, e la visione del mercante è più elaborata di quella già vista dell'oste della Luna Piena, che si limitava a esprimere una rassegnata indifferenza a tutti i sommovimenti di piazza: il mercante infatti condanna il tumulto, non però per le violenze che esso porta con sé e per il rischio che sia versato sangue di innocenti, bensì perché lo considera una minaccia ai suoi interessi economici, un sovvertimento di quell'ordine sociale in cui si svolgono i traffici grazie ai quali il commerciante si arricchisce; i rivoltosi assaltano le botteghe e rubano la merce "senza metter mano alla borsa", arrivando in alcuni casi a distruggere i forni senza alcun motivo e questo è inaccettabile agli occhi di chi ha la propria fonte di guadagno in simili attività. Il mercante tuttavia mostra di non capire affatto le ragioni profonde della rivolta, che è nata dalla carestia aggravata dalla sperperi della guerra e il cui fattore scatenante è stata la revoca del calmiere imposto da Ferrer contrariamente a ogni logica di mercato, mentre egli è convinto che i fornai nascondano il grano e attribuisce assurdamente il tumulto alle trame politiche dei Francesi nell'ambito della guerra, dimostrando la stessa ignoranza del popolo e di molti aristocratici (si pensi ai discorsi di don Rodrigo e dei suoi convitati, nel cap. V). E come rimedio ai disordini popolari non esita a invocare provvedimenti di giustizia sommaria, i soli che possano tenere a freno il popolo in rivolta e dissuadere gli elementi più violenti dal ripetere le "tirannie" viste in quei giorni: saluta perciò con favore l'arresto dei "capi" del tumulto e la decisione di impiccarli prontamente, senza preoccuparsi troppo della loro effettiva colpevolezza (come nel caso di Renzo, che avrebbe fatto la stessa fine pur essendo innocente) e definisce l'azione della legge come "una provvidenza", "una cosa necessaria", il che dimostra che anche la religione per lui diventa strumento di repressione della violenza popolare. Interessante anche la grottesca deformazione che nel suo racconto assume la vicenda di Renzo, definito senza alcun dubbio uno dei capi della sommossa, mentre il suo discorso alla folla diventa un incitamento a uccidere "tutti i signori", la lettera di padre Cristoforo si trasforma in un "fascio" di carte con tutta la "cabala" della rivolta, il fatto che Renzo sia forestiero è una prova delle trame "francesi" dietro la sommossa (è chiaro che il mercante aderisce alla stessa visione popolare che ingigantisce e distorce i fatti, di cui si sono già visti esempi nei capp. XII-XIII durante lo stesso tumulto). Emerge dunque il quadro di una classe sociale, quella "borghese" dei commercianti, che dimostra ignoranza e inconsapevolezza della situazione socio-economica in cui opera, che bada esclusivamente a difendere i propri profitti e non esita a invocare la forca e la repressione pur di mantenere l'ordine, che (soprattutto) è favorevole a un mantenimento dello status quo senza rivolgimenti politici di tipo anti-nobiliare, poiché "Chi farebbe viver la povera gente, quando i signori fossero ammazzati?". I mercanti traggono giovamento dall'ordine sociale vigente, in cui un'aristocrazia parassitaria e inattiva opprime i poveri e i contadini, dunque essi vedono come potenzialmente pericoloso qualunque movimento che modifichi questa situazione cristallizzata, il che spiega la sottile critica che Manzoni rivolge attraverso il personaggio in questione alla classe borghese anche del suo secolo: nel suo progetto politico spetta all'aristocrazia guidare il processo di trasformazione della società attraverso una serie di riforme "illuminate" dall'alto, senza rivolte di piazza e in modo pacifico, e anche se i nobili devono integrarsi nella logica "borghese" dell'economia di libero scambio questo non significa che lo scrittore riconosca il ceto borghese come quello egemone uscito dalla complessa età napoleonica, perché ancora immaturo e preda degli stessi errori che, a un livello più basso, compie la massa popolare. La sua visione risulta in parte anacronistica, poiché le vicende dell'Italia post-risorgimentale e dell'Europa del secondo Ottocento vedranno la borghesia scalzare l'egemonia della classe nobiliare e assumere la direzione politica ed economica della società, tuttavia è indubbio che Manzoni proponga con coerenza un tale modello e nutra un certo ottimismo nelle possibilità che esso venga realizzato, diversamente da altri scrittori successivi (Verga soprattutto, ma anche Fogazzaro e i narratori decadenti) che si limiteranno a descrivere il lento declino della vecchia aristocrazia terriera, senza proporre un modello positivo per risolvere i problemi della società italiana (specie quelli drammatici del Mezzogiorno, dovuti in gran parte proprio all'inadeguatezza della classe nobiliare di fronte alla rivoluzione "borghese"). La visione politica manzoniana è in sostanza filo-aristocratica e improntata a un paternalismo che considera popolo e borghesia come classi inferiori che devono essere guidate dall'alto, ma è indubbio che una simile prospettiva coincida almeno in parte con la situazione culturale dell'Italia nei decenni centrali dell'Ottocento e, a differenza di altri scrittori operanti in quel periodo, egli non condanna del tutto la visione "borghese" della società moderna, bensì riconosce che i suoi valori devono essere fatti propri dall'aristocrazia e ciò in vista di un miglioramento delle condizioni di vita delle classi più umili, dunque in un progetto di rinnovamento che è assai meno "reazionario" e conservatore di quanto potrebbe sembrare in apparenza.
Clicca qui per ascoltare l'audio del capitolo dal sito www.liberliber.it
(voce narrante di Silvia Cecchini).
Capitolo XVI
- Scappa, scappa, galantuomo: lì c’è un convento, ecco là una chiesa [1]; di qui, di là, - si grida a Renzo da ogni parte. In quanto allo scappare, pensate se aveva bisogno di consigli. Fin dal primo momento che gli era balenato in mente una speranza d’uscir da quell’unghie, aveva cominciato a fare i suoi conti, e stabilito, se questo gli riusciva, d’andare senza fermarsi, fin che non fosse fuori, non solo della città, ma del ducato. “Perché”, aveva pensato, “il mio nome l’hanno su’ loro libracci, in qualunque maniera l’abbiano avuto; e col nome e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono”. E in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che quando avesse avuto i birri alle spalle. “Perché, se posso essere uccel di bosco”, aveva anche pensato, “non voglio diventare uccel di gabbia”. Aveva dunque disegnato [2] per suo rifugio quel paese nel territorio di Bergamo, dov’era accasato quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentate, che più volte l’aveva invitato a andar là. Ma trovar la strada, lì stava il male. Lasciato in una parte sconosciuta d’una città si può dire sconosciuta, Renzo non sapeva neppure da che porta s’uscisse per andare a Bergamo; e quando l’avesse saputo, non sapeva poi andare alla porta. Fu lì lì per farsi insegnar la strada da qualcheduno de’ suoi liberatori; ma siccome nel poco tempo che aveva avuto per meditare su’ casi suoi, gli eran passate per la mente certe idee su quello spadaio così obbligante, padre di quattro figliuoli [3], così, a buon conto, non volle manifestare i suoi disegni a una gran brigata, dove ce ne poteva essere qualche altro di quel conio; e risolvette subito d’allontanarsi in fretta di lì: che la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo dove nessuno sapesse chi era, né il perché la domandasse. Disse a’ suoi liberatori: - grazie tante, figliuoli: siate benedetti, - e, uscendo per il largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, galoppò un pezzo, senza saper dove. Quando gli parve d’essersi allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in là, per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza. Ma anche qui c’era dell’imbroglio. La domanda per sé era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena liberati da quel piccolo intoppo, dovevan senza dubbio essersi rimessi in traccia del loro fuggitivo; la voce di quella fuga poteva essere arrivata fin là; e in tali strette, Renzo dovette fare forse dieci giudizi fisionomici [4], prima di trovar la figura che gli paresse a proposito. Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro, con la pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia, e che, non avendo altro che fare, andava alternativamente sollevando sulla punta de’ piedi la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva un viso di cicalone curioso, che, in vece di dar delle risposte, avrebbe fatto delle interrogazioni. Quell’altro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col labbro in fuori, non che insegnar presto e bene la strada a un altro, appena pareva conoscer la sua. Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava d’esser molto sveglio, mostrava però d’essere anche più malizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far andare un povero contadino dalla parte opposta a quella che desiderava. Tant’è vero che all’uomo impicciato, quasi ogni cosa è un nuovo impiccio! Visto finalmente uno che veniva in fretta, pensò che questo, avendo probabilmente qualche affare pressante, gli risponderebbe subito, senz’altre chiacchiere; e sentendolo parlar da sé, giudicò che dovesse essere un uomo sincero. Gli s’accostò, e disse: - di grazia, quel signore, da che parte si va per andare a Bergamo?
- Per andare a Bergamo? Da porta orientale. - Grazie tante; e per andare a porta orientale? - Prendete questa strada a mancina; vi troverete sulla piazza del duomo; poi... - Basta, signore; il resto lo so. Dio gliene renda merito -. E diviato s’incamminò dalla parte che gli era stata indicata. L’altro gli guardò dietro un momento, e, accozzando nel suo pensiero quella maniera di camminare con la domanda, disse tra sé: “o n’ha fatta una, o qualcheduno la vuol fare a lui”. Renzo arriva sulla piazza del duomo; l’attraversa, passa accanto a un mucchio di cenere e di carboni spenti, e riconosce gli avanzi del falò di cui era stato spettatore il giorno avanti; costeggia gli scalini del duomo, rivede il forno delle grucce, mezzo smantellato, e guardato da soldati; e tira diritto per la strada da cui era venuto insieme con la folla; arriva al convento de’ cappuccini; dà un’occhiata a quella piazza e alla porta della chiesa, e dice tra sé, sospirando: “m’aveva però dato un buon parere quel frate di ieri: che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un po’ di bene”. Qui, essendosi fermato un momento a guardare attentamente alla porta per cui doveva passare, e vedendovi, così da lontano, molta gente a guardia, e avendo la fantasia un po’ riscaldata (bisogna compatirlo; aveva i suoi motivi), provò una certa ripugnanza ad affrontare quel passo. Si trovava così a mano un luogo d’asilo, e dove, con quella lettera, sarebbe ben raccomandato; fu tentato fortemente d’entrarvi. Ma, subito ripreso animo, pensò: “uccel di bosco, fin che si può. Chi mi conosce? Di ragione [5], i birri non si saran fatti in pezzi, per andarmi ad aspettare a tutte le porte”. Si voltò, per vedere se mai venissero da quella parte: non vide né quelli, né altri che paressero occuparsi di lui. Va innanzi; rallenta quelle gambe benedette, che volevan sempre correre, mentre conveniva soltanto camminare; e adagio adagio, fischiando in semitono [6], arriva alla porta. C’era, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e, per rinforzo, anche de’ micheletti spagnoli [7]; ma stavan tutti attenti verso il di fuori, per non lasciare entrar di quelli che, alla notizia d’una sommossa, v’accorrono, come i corvi al campo dove è stata data battaglia; di maniera che Renzo, con un’aria indifferente, con gli occhi bassi, e con un andare così tra il viandante e uno che vada a spasso, uscì, senza che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di dentro faceva un gran battere. Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella, per evitare la strada maestra; e camminò un pezzo prima di voltarsi neppure indietro. Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi, tira innanzi senza domandarne il nome; è certo d’allontanarsi da Milano, spera d’andar verso Bergamo; questo gli basta per ora. Ogni tanto, si voltava indietro; ogni tanto, andava anche guardando e strofinando or l’uno or l’altro polso, ancora un po’ indolenziti, e segnati in giro d’una striscia rosseggiante, vestigio della cordicella [8]. I suoi pensieri erano, come ognuno può immaginarsi, un guazzabuglio di pentimenti, d’inquietudini, di rabbie, di tenerezze; era uno studio faticoso di raccapezzare le cose dette e fatte la sera avanti, di scoprir la parte segreta della sua dolorosa storia, e sopra tutto come avean potuto risapere il suo nome. I suoi sospetti cadevan naturalmente sullo spadaio, al quale si rammentava bene d’averlo spiattellato. E ripensando alla maniera con cui gliel aveva cavato di bocca, e a tutto il fare di colui, e a tutte quell’esibizioni che riuscivan sempre a voler saper qualcosa, il sospetto diveniva quasi certezza. Se non che si rammentava poi anche, in confuso, d’aver, dopo la partenza dello spadaio, continuato a cicalare; con chi, indovinala grillo [9]; di cosa, la memoria, per quanto venisse esaminata, non lo sapeva dire: non sapeva dir altro che d’essersi in quel tempo trovata fuor di casa. Il poverino si smarriva in quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli bianchi, e gli ha affidati a uno che credeva il fior de’ galantuomini; e scoprendolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato de’ suoi affari: che conoscere? è un caos. Un altro studio penoso era quello di far sull’avvenire un disegno che gli potesse piacere: quelli che non erano in aria, eran tutti malinconici. Ma ben presto, lo studio più penoso fu quello di trovar la strada. Dopo aver camminato un pezzo, si può dire, alla ventura, vide che da sé non ne poteva uscire. Provava bensì una certa ripugnanza a metter fuori quella parola Bergamo, come se avesse un non so che di sospetto, di sfacciato; ma non si poteva far di meno. Risolvette dunque di rivolgersi, come aveva fatto in Milano, al primo viandante la cui fisonomia gli andasse a genio; e così fece. - Siete fuor di strada, - gli rispose questo; e, pensatoci un poco, parte con parole, parte co’ cenni, gl’indicò il giro che doveva fare, per rimettersi sulla strada maestra. Renzo lo ringraziò, fece le viste di far come gli era stato detto, prese in fatti da quella parte, con intenzione però d’avvicinarsi bensì a quella benedetta strada maestra, di non perderla di vista, di costeggiarla più che fosse possibile; ma senza mettervi piede. Il disegno era più facile da concepirsi che da eseguirsi. La conclusione fu che, andando così da destra a sinistra, e, come si dice, a zig zag, parte seguendo l’altre indicazioni che si faceva coraggio a pescar qua e là, parte correggendole secondo i suoi lumi, e adattandole al suo intento, parte lasciandosi guidar dalle strade in cui si trovava incamminato, il nostro fuggitivo aveva fatte forse dodici miglia, che non era distante da Milano più di sei; e in quanto a Bergamo, era molto se non se n’era allontanato. Cominciò a persuadersi che, anche in quella maniera, non se n’usciva a bene; e pensò a trovar qualche altro ripiego. Quello che gli venne in mente, fu di scovar, con qualche astuzia, il nome di qualche paese vicino al confine, e al quale si potesse andare per istrade comunali: e domandando di quello, si farebbe insegnar la strada, senza seminar qua e là quella domanda di Bergamo, che gli pareva puzzar tanto di fuga, di sfratto, di criminale. Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle notizie, senza dar sospetto, vede pendere una frasca [10] da una casuccia solitaria, fuori d’un paesello. Da qualche tempo, sentiva anche crescere il bisogno di ristorar le sue forze; pensò che lì sarebbe il luogo di fare i due servizi in una volta; entrò. Non c’era che una vecchia, con la rocca al fianco, e col fuso in mano. Chiese un boccone; gli fu offerto un po’ di stracchino e del vin buono: accettò lo stracchino, del vino la ringraziò (gli era venuto in odio, per quello scherzo che gli aveva fatto la sera avanti); e si mise a sedere, pregando la donna che facesse presto. Questa, in un momento, ebbe messo in tavola; e subito dopo cominciò a tempestare il suo ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran fatti di Milano: ché la voce n’era arrivata fin là. Renzo, non solo seppe schermirsi dalle domande, con molta disinvoltura; ma, approfittandosi della difficoltà medesima, fece servire al suo intento la curiosità della vecchia, che gli domandava dove fosse incamminato. - Devo andare in molti luoghi, - rispose: - e, se trovo un ritaglio di tempo, vorrei anche passare un momento da quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, però nello stato di Milano... Come si chiama? - “Qualcheduno ce ne sarà”, pensava intanto tra sé. - Gorgonzola, volete dire, - rispose la vecchia. - Gorgonzola! - ripeté Renzo, quasi per mettersi meglio in mente la parola. - È molto lontano di qui? - riprese poi. - Non lo so precisamente: saranno dieci, saranno dodici miglia. Se ci fosse qualcheduno de’ miei figliuoli, ve lo saprebbe dire. - E credete che ci si possa andare per queste belle viottole, senza prender la strada maestra? dove c’è una polvere, una polvere! Tanto tempo che non piove! - A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta -. E glielo nominò. - Va bene; - disse Renzo; s’alzò, prese un pezzo di pane che gli era avanzato della magra colazione, un pane ben diverso da quello che aveva trovato, il giorno avanti, appiè della croce di san Dionigi; pagò il conto, uscì, e prese a diritta. E, per non ve l’allungar più del bisogno, col nome di Gorgonzola in bocca, di paese in paese, ci arrivò, un’ora circa prima di sera. Già cammin facendo, aveva disegnato di far lì un’altra fermatina, per fare un pasto un po’ più sostanzioso. Ilcorpo avrebbe anche gradito un po’ di letto; ma prima che contentarlo in questo, Renzo l’avrebbe lasciato cader rifinito sulla strada. Il suo proposito era d’informarsi all’osteria, della distanza dell’Adda, di cavar destramente notizia di qualche traversa che mettesse là, e di rincamminarsi da quella parte, subito dopo essersi rinfrescato. Nato e cresciuto alla seconda sorgente, per dir così, di quel fiume, aveva sentito dir più volte, che, a un certo punto, e per un certo tratto, esso faceva confine tra lo stato milanese e il veneto: del punto e del tratto non aveva un’idea precisa; ma, allora come allora, l’affar più urgente era di passarlo, dovunque si fosse. Se non gli riusciva in quel giorno, era risoluto di camminare fin che l’ora e la lena glielo permettessero: e d’aspettar poi l’alba, in un campo, in un deserto; dove piacesse a Dio; pur che non fosse un’osteria. Fatti alcuni passi in Gorgonzola, vide un’insegna, entrò; e all’oste, che gli venne incontro, chiese un boccone, e una mezzetta di vino: le miglia di più, e il tempo gli avevan fatto passare quell’odio così estremo e fanatico. - Vi prego di far presto, soggiunse: - perché ho bisogno di rimettermi subito in istrada -. E questo lo disse, non solo perché era vero, ma anche per paura che l’oste, immaginandosi che volesse dormir lì, non gli uscisse fuori a domandar del nome e del cognome, e donde veniva, e per che negozio... Alla larga! L’oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino all’uscio: il posto de’ vergognosi. C’erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno; tanto più che quelle prime eran più atte a stuzzicar la curiosità, che a soddisfarla: una sollevazione, né soggiogata né vittoriosa, sospesa più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine d’un atto piuttosto che d’un dramma. Un di coloro si staccò dalla brigata, s’accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano. - Io? - disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere. - Voi, se la domanda è lecita. Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse: - Milano, da quel che ho sentito dire... non dev’essere un luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessità. - Continua dunque anche oggi il fracasso? - domandò, con più istanza, il curioso. - Bisognerebbe esser là, per saperlo, - disse Renzo. - Ma voi, non venite da Milano? - Vengo da Liscate, - rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la sua risposta. Ne veniva in fatti, a rigor di termini, perché c’era passato; e il nome l’aveva saputo, a un certo punto della strada, da un viandante che gli aveva indicato quel paese come il primo che doveva attraversare, per arrivare a Gorgonzola. - Oh! - disse l’amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza. - E a Liscate, - soggiunse, - non si sapeva niente di Milano? - Potrebb’essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualche cosa, - rispose il montanaro: - ma io non ho sentito dir nulla. E queste parole le proferì in quella maniera particolare che par che voglia dire: ho finito. Il curioso ritornò al suo posto; e, un momento dopo, l’oste venne a mettere in tavola. - Quanto c’è di qui all’Adda? - gli disse Renzo, mezzo tra’ denti, con un fare da addormentato, che gli abbiam visto qualche altra volta. - All’Adda, per passare? - disse l’oste. - Cioè... sì... all’Adda. - Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica? - Dove si sia... Domando così per curiosità. - Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sé. - Va bene: e quanto c’è? - Fate conto che, tanto a un luogo, come all’altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia. - Sei miglia! non credevo tanto, - disse Renzo. - E già, - e già, chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare? - Ce n’è sicuro, - rispose l’oste, ficcandogli in viso due occhi pieni d’una curiosità maliziosa. Bastò questo per far morir tra’ denti al giovine l’altre domande che aveva preparate. Si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che l’oste aveva posata, insieme con quello, sulla tavola, disse: - il vino è sincero? Come l’oro, - disse l’oste: - domandatene pure a tutta la gente del paese e del contorno, che se n’intende: e poi, lo sentirete -. E così dicendo, tornò verso la brigata. “Maledetti gli osti!” esclamò Renzo tra sé: “più ne conosco, peggio li trovo”. Non ostante, si mise a mangiare con grand’appetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi, senza che paresse suo fatto, per veder di scoprir paese, di rilevare come si pensasse colà sul grand’avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola parte, e d’osservare specialmente se, tra que’ parlatori, ci fosse qualche galantuomo, a cui un povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada, senza timore d’esser messo alle strette, e forzato a ciarlare de’ fatti suoi. - Ma! - diceva uno: - questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto far davvero. Basta; domani al più tardi, si saprà qualcosa. - Mi pento di non esser andato a Milano stamattina, - diceva un altro. - Se vai domani, vengo anch’io, - disse un terzo; poi un altro, poi un altro. - Quel che vorrei sapere, - riprese il primo, - è se que’ signori di Milano penseranno anche alla povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro. Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli altri, come se non ci fossero. - La bocca l’abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione, - disse un altro, con voce tanto più modesta, quanto più la proposizione era avanzata: - e quando la cosa sia incamminata... - Ma credette meglio di non finir la frase. - Del grano nascosto, non ce n’è solamente in Milano, - cominciava un altro, con un’aria cupa e maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti all’uscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un mercante di Milano, che, andando più volte l’anno a Bergamo, per i suoi traffichi, era solito passar la notte in quell’osteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti. Gli s’affollano intorno; uno prende la briglia, un altro la staffa. - Ben arrivato, ben arrivato! - Ben trovati. - Avete fatto buon viaggio? - Bonissimo; e voi altri, come state? - Bene, bene. Che nuove ci portate di Milano? - Ah! ecco quelli delle novità, - disse il mercante, smontando, e lasciando il cavallo in mano d’un garzone. - E poi, e poi, continuò, entrando con la compagnia, - a quest’ora le saprete forse meglio di me. - Non sappiamo nulla, davvero, - disse più d’uno, mettendosi la mano al petto. - Possibile? - disse il mercante. - Dunque ne sentirete delle belle... o delle brutte. Ehi, oste, il mio letto solito è in libertà? Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boccone, subito; perché voglio andare a letto presto, per partir presto domattina, e arrivare a Bergamo per l’ora del desinare. E voi altri, - continuò, mettendosi a sedere, dalla parte opposta a quella dove stava Renzo, zitto e attento, - voi altri non sapete di tutte quelle diavolerie di ieri? - Di ieri sì. - Vedete dunque, - riprese il mercante, - se le sapete le novità. Lo dicevo io che, stando qui sempre di guardia, per frugar quelli che passano... - Ma oggi, com’è andata oggi? - Ah oggi. Non sapete niente d’oggi? - Niente affatto: non è passato nessuno. - Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò le cose d’oggi. Sentirete -. Empì il bicchiere, lo prese con una mano, poi con le prime due dita dell’altra sollevò i baffi, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese: - oggi, amici cari, ci mancò poco, che non fosse una giornata brusca come ieri, o peggio. E non mi par quasi vero d’esser qui a chiacchierar con voi altri; perché avevo già messo da parte ogni pensiero di viaggio, per restare a guardar la mia povera bottega. - Che diavolo c’era? - disse uno degli ascoltanti. - Proprio il diavolo: sentirete -. E trinciando la pietanza che gli era stata messa davanti, e poi mangiando, continuò il suo racconto. I compagni, ritti di qua e di là della tavola, lo stavano a sentire, con la bocca aperta; Renzo, al suo posto, senza che paresse suo fatto, stava attento, forse più di tutti, masticando adagio adagio gli ultimi suoi bocconi. - Stamattina dunque que’ birboni che ieri avevano fatto quel chiasso orrendo, si trovarono a’ posti convenuti (già c’era un’intelligenza: tutte cose preparate); si riunirono, e ricominciarono quella bella storia di girare di strada in strada, gridando per tirar altra gente. Sapete che è come quando si spazza, con riverenza parlando, la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa quanto più va avanti. Quando parve loro d’esser gente abbastanza, s’avviarono verso la casa del signor vicario di provvisione; come se non bastassero le tirannie che gli hanno fatte ieri: a un signore di quella sorte! oh che birboni! E la roba che dicevan contro di lui! Tutte invenzioni: un signor dabbene, puntuale; e io lo posso dire, che son tutto di casa, e lo servo di panno per le livree della servitù. S’incamminaron dunque verso quella casa: bisognava veder che canaglia, che facce: figuratevi che son passati davanti alla mia bottega: facce che... i giudei della Via Crucis non ci son per nulla. E le cose che uscivan da quelle bocche! da turarsene gli orecchi, se non fosse stato che non tornava conto di farsi scorgere. Andavan dunque con la buona intenzione di dare il sacco; ma... - E qui, alzata in aria, e stesa la mano sinistra, si mise la punta del pollice alla punta del naso. - Ma? - dissero forse tutti gli ascoltatori. - Ma, - continuò il mercante, - trovaron la strada chiusa con travi e con carri, e, dietro quella barricata, una bella fila di micheletti, con gli archibusi spianati, per riceverli come si meritavano. Quando videro questo bell’apparato... Cosa avreste fatto voi altri? - Tornare indietro. - Sicuro; e così fecero. Ma vedete un poco se non era il demonio che li portava. Son lì sul Cordusio, vedon lì quel forno che fin da ieri, avevan voluto saccheggiare; e cosa si faceva in quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori; c’era de’ cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto andasse bene; e costoro (avevano il diavolo addosso vi dico, e poi c’era chi gli aizzava), costoro, dentro come disperati; piglia tu, che piglio anch’io: in un batter d’occhio, cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra. - E i micheletti? - I micheletti avevan la casa del vicario da guardare: non si può cantare e portar la croce. Fu in un batter d’occhio, vi dico: piglia piglia; tutto ciò che c’era buono a qualcosa, fu preso. E poi torna in campo quel bel ritrovato di ieri, di portare il resto sulla piazza, e di farne una fiammata. E già cominciavano, i manigoldi, a tirar fuori roba; quando uno più manigoldo degli altri, indovinate un po’ con che bella proposta venne fuori. - Con che cosa? - Di fare un mucchio di tutto nella bottega, e di dar fuoco al mucchio e alla casa insieme. Detto fatto... - Ci han dato fuoco? - Aspettate. Un galantuomo del vicinato ebbe un’ispirazione dal cielo. Corse su nelle stanze, cercò d’un Crocifisso, lo trovò, l’attaccò all’archetto d’una finestra, prese da capo d’un letto due candele benedette, le accese, e le mise sul davanzale, a destra e a sinistra del Crocifisso. La gente guarda in su. In un Milano, bisogna dirla, c’è ancora del timor di Dio; tutti tornarono in sé. La più parte, voglio dire; c’era bensì de’ diavoli che, per rubare, avrebbero dato fuoco anche al paradiso; ma visto che la gente non era del loro parere, dovettero smettere, e star cheti. Indovinate ora chi arrivò all’improvviso. Tutti i monsignori del duomo, in processione, a croce alzata, in abito corale; e monsignor Mazenta, arciprete, comincio a predicare da una parte, e monsignor Settala, penitenziere [11], da un’altra, e gli altri anche loro: ma, brava gente! ma cosa volete fare? ma è questo l’esempio che date a’ vostri figliuoli? ma tornate a casa; ma non sapete che il pane è a buon mercato, più di prima? ma andate a vedere, che c’è l’avviso sulle cantonate. - Era vero? - Diavolo! Volete che i monsignori del duomo venissero in cappa magna a dir delle fandonie? - E la gente cosa fece? - A poco a poco se n’andarono; corsero alle cantonate; e, chi sapeva leggere, la c’era proprio la meta. Indovinate un poco: un pane d’ott’once, per un soldo. - Che bazza [12]! - La vigna è bella; pur che la duri. Sapete quanta farina hanno mandata a male, tra ieri e stamattina? Da mantenerne il ducato per due mesi. - E per fuori di Milano, non s’è fatta nessuna legge buona? - Quel che s’è fatto per Milano, è tutto a spese della città. Non so che vi dire: per voi altri sarà quel che Dio vorrà. A buon conto, i fracassi son finiti. Non v’ho detto tutto; ora viene il buono. - Cosa c’è ancora? - C’è che, ier sera o stamattina che sia, ne sono stati agguantati molti; e subito s’è saputo che i capi saranno impiccati. Appena cominciò a spargersi questa voce, ognuno andava a casa per la più corta, per non arrischiare d’esser nel numero. Milano, quand’io ne sono uscito, pareva un convento di frati. - Gl’impiccheranno poi davvero? - Eccome! e presto, - rispose il mercante. - E la gente cosa farà? - domandò ancora colui che aveva fatta l’altra domanda. - La gente? anderà a vedere, - disse il mercante. - Avevan tanta voglia di veder morire un cristiano all’aria aperta, che volevano, birboni! far la festa al signor vicario di provvisione. In vece sua, avranno quattro tristi, serviti con tutte le formalità, accompagnati da’ cappuccini, e da’ confratelli della buona morte; e gente che se l’è meritato. È una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria. Cominciavan già a prender il vizio d’entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti al vino, e così di mano in mano... Pensate se coloro volevano smettere, di loro spontanea volontà, una usanza così comoda. E vi so dir io che, per un galantuomo che ha bottega aperta, era un pensier poco allegro. - Davvero, - disse uno degli ascoltatori. - Davvero, - ripeteron gli altri, a una voce. - E, - continuò il mercante, asciugandosi la barba col tovagliolo, - l’era ordita da un pezzo: c’era una lega, sapete? - C’era una lega? - C’era una lega. Tutte cabale ordite da’ navarrini, da quel cardinale là di Francia, sapete chi voglio dire, che ha un certo nome mezzo turco, e che ogni giorno ne pensa una, per far qualche dispetto alla corona di Spagna. Ma sopra tutto, tende a far qualche tiro a Milano; perché vede bene, il furbo, che qui sta la forza del re. - Già. - Ne volete una prova? Chi ha fatto il più gran chiasso, eran forestieri; andavano in giro facce, che in Milano non s’eran mai vedute. Anzi mi dimenticavo di dirvene una che m’è stata data per certa. La giustizia aveva acchiappato uno in un’osteria... - Renzo, il quale non perdeva un ette di quel discorso, al tocco di questa corda, si sentì venir freddo, e diede un guizzo, prima che potesse pensare a contenersi. Nessuno però se n’avvide; e il dicitore, senza interrompere il filo del racconto, seguitò: - uno che non si sa bene ancora da che parte fosse venuto, da chi fosse mandato, né che razza d’uomo si fosse; ma certo era uno de’ capi. Già ieri, nel forte del baccano, aveva fatto il diavolo; e poi, non contento di questo, s’era messo a predicare, e a proporre, così una galanteria, che s’ammazzassero tutti i signori. Birbante! Chi farebbe viver la povera gente, quando i signori fossero ammazzati? La giustizia, che l’aveva appostato, gli mise l’unghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo menavano in gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda intorno all’osteria, vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigoldo. - E cosa n’è stato? - Non si sa; sarà scappato, o sarà nascosto in Milano: son gente che non ha né casa né tetto, e trovan per tutto da alloggiare e da rintanarsi: però finché il diavolo può, e vuole aiutarli: ci dan poi dentro quando meno se lo pensano; perché, quando la pera è matura, convien che caschi. Per ora si sa di sicuro che le lettere son rimaste in mano della giustizia, e che c’è descritta tutta la cabala; e si dice che n’anderà di mezzo molta gente. Peggio per loro; che hanno messo a soqquadro mezzo Milano, e volevano anche far peggio. Dicono che i fornai son birboni. Lo so anch’io; ma bisogna impiccarli per via di giustizia. C’è del grano nascosto. Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e andarlo a disotterrare, e mandare anche gl’incettatori a dar calci all’aria, in compagnia de’ fornai. E se chi comanda non fa nulla, tocca alla città a ricorrere; e se non dànno retta alla prima, ricorrere ancora; ché a forza di ricorrere s’ottiene; e non metter su un’usanza così scellerata d’entrar nelle botteghe e ne’ fondachi, a prender la roba a man salva. A Renzo quel poco mangiare era andato in tanto veleno. Gli pareva mill’anni d’esser fuori e lontano da quell’osteria, da quel paese; e più di dieci volte aveva detto a sé stesso: andiamo, andiamo. Ma quella paura di dar sospetto, cresciuta allora oltremodo, e fatta tiranna di tutti i suoi pensieri, l’aveva tenuto sempre inchiodato sulla panca. In quella perplessità, pensò che il ciarlone doveva poi finire di parlar di lui; e concluse tra sé, di moversi, appena sentisse attaccare qualche altro discorso. - E per questo, - disse uno della brigata, - io che so come vanno queste faccende, e che ne’ tumulti i galantuomini non ci stanno bene, non mi son lasciato vincere dalla curiosità, e son rimasto a casa mia. - E io, mi son mosso? - disse un altro. - Io? - soggiunse un terzo: - se per caso mi fossi trovato in Milano, avrei lasciato imperfetto qualunque affare, e sarei tornato subito a casa mia. Ho moglie e figliuoli; e poi, dico la verità, i baccani non mi piacciono. A questo punto, l’oste, ch’era stato anche lui a sentire, andò verso l’altra cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero. Renzo colse l’occasione, chiamò l’oste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantunque l’acque fossero molto basse [13]; e, senza far altri discorsi, andò diritto all’uscio, passò la soglia, e, a guida della Provvidenza, s’incamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto. |
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Note
- Erano luoghi che godevano del diritto d'asilo.
- Stabilito.
- Renzo pensa al sedicente Ambrogio Fusella, il poliziotto travestito che la sera prima lo ha beffato all'osteria della Luna Piena.
- Valutare la personalità dei passanti basandosi sui tratti del viso (la fisiognomica era una scienza piuttosto diffusa nel XIX secolo, che pretendeva di ricavare il carattere degli individui dai tratti somatici).
- Certamente.
- A bassa voce, per darsi un contegno.
- I "gabellini" sono i gabellieri, gli addetti ai controlli fiscali posti alle porte delle città, mentre i "micheletti" sono i fanti spagnoli armati di moschetto (cfr. cap. XIII).
- Segno della corda dei "manichini".
- Espressione toscana che significa "indovina se puoi".
- Anticamente era l'insegna dell'osteria (molti viandanti non sapevano leggere).
- Mons. Mazenta fu organizzatore della processione dell'11 giugno 1630 durante la peste (cap. XXXII) e morì a causa dell'epidemia; mons. Settala era fratello del celebre medico Lodovico e fu uomo di fiducia del card. Borromeo (penitenziere era il confessore con facoltà di occuparsi dei casi riservati al vescovo).
- Che fortuna!
- Anche se i soldi cominciavano a scarseggiare.