Giuseppe Petronio
"La storia come trama di violenze e di sangue"
Giuseppe Petronio
In questo saggio di G. Petronio (1909-2003) viene messo bene in luce l'interesse preminente di Manzoni per la storia, vista come violento sovvertimento della giustizia e negazione della carità evangelica, per cui spetta allo scrittore delinarne un quadro realistico immaginando ciò che lo storico non può ricavare dai documenti (le passioni, i sentimenti, le angosce dei protagonisti). Nella lezione della storia e delle sue violenze e crudeltà è possibile ravvisare l'impronta di Dio creatore, verso la cui opera il romanziere nutre una fede incrollabile (anche se, forse, il critico sottovaluta il forte pessimismo manzoniano e la rappresentazione del male come un enigma insolubile).
Petronio è stato uno dei critici più insigni del Novecento, seguace del marxismo ma non per questo negativo verso i "Promessi sposi", di cui ha invece apprezzato l'anelito verso una società egalitaria e fondata sulla morale evangelica senza alcuno slancio utopistico. Ha prodotto studi sui principali scrittori italiani, sempre nel senso di una ricerca storico-sociale ispirata alle sue idee politiche.
Petronio è stato uno dei critici più insigni del Novecento, seguace del marxismo ma non per questo negativo verso i "Promessi sposi", di cui ha invece apprezzato l'anelito verso una società egalitaria e fondata sulla morale evangelica senza alcuno slancio utopistico. Ha prodotto studi sui principali scrittori italiani, sempre nel senso di una ricerca storico-sociale ispirata alle sue idee politiche.
_La storia è [...] meditazione del mondo affaticato degli uomini. Se la morale mostra al poeta in un sistema ordinato ed organico quale dovrebbe essere la vita, e quale sarebbe se davvero si applicassero i dettami di Cristo, la storia gli mostra qual è nella realtà dura questo mondo fatto di prepotenti che ignorano il Vangelo, di vinti che rassegnati o riluttanti subiscon violenze, di popoli ridotti a volghi dispersi, di lotte fratricide, di una trama tutta di prepotenze e di sangue innanzi alla quale il credente si ritrae sgomento.
Eppure, proprio questa trama di violenza e di sangue, e l'abisso cupo e purpureo che è il cuore dell'uomo politico, attira il Manzoni, che vi affissa affascinato lo sguardo, perché lì, solo lì, in quel mondo aspro ma vero l'animo suo di credente e di poeta può posare appagato. Se il mondo è pieno tutto di Dio, dove può l'uomo coglierne la presenza ed il soffio meglio che in questa realtà dura ma vera, in quest'orma, e sia anche cruenta, dello spirito suo creatore? Come la letteratura romanzesca, immaginazione di un uomo, si scolora innanzi alla storia scaturita dall'immaginazione di Dio! Come la poesia d'invenzione, chiusa nella solita cerchia di piccoli intrighi d'amore, par misera innanzi all'abisso, che è il cuore di un uomo scrutato nell'intrico complesso delle sue mille passioni, innanzi all'intreccio delle mille circostanze diverse che determinano un eroismo o un delitto, la sconfitta o la vittoria di un popolo! E come la fantasia del poeta si accende ad un evento lontano, di cui i documenti non mostrano che la parte tutta esteriore, e per cui occorre non indovinare, ché sarebbe meschino, ma dedurre e intuire le ragioni profonde, ricostruire tutto quello che manca, ricreare in una sola inebriante parola! E non la sola fantasia del poeta, ma tutte le esigenze morali dell'uomo possono riposare appagate in questo contemplare la storia, ché lì in quelle vicende turbinose, in quelle alternanze di cadute e di ascese, l'uomo può verificare le leggi morali, può vedere, direi, confermate dai fatti le verità della fede in cui crede; e il libro della storia è esso sì il gran libro dove il Senno Eterno incide le sue volontà, in caratteri che ogni uomo pensoso può intendere; e grandi lezioni di umiltà, di moralità, di umanità si possono trarre da essa, e il credente può assurgere a uno stato di contemplazione disinteressata e commossa, ed esser preso, alla vista delle sofferenze inutili e delle gioie vane degli uomini, da un senso di terrore e pietà. La catarsi, quella purificazione morale che l'antico filosofo poneva a fine della tragedia, il poeta cristiano la trova nella contemplazione di quella tragedia più vasta e più mossa ch'è la storia dell'uomo, di cui protagonista ed autore è Dio stesso.
Il tema nuovo della poesia del Manzoni è dunque la storia: un ultimo splendido inno che canti l'umanità rinnovata dallo Spirito Santo [la Pentecoste], e poi storia, due tragedie e un romanzo: popoli oppressi e oppressori, condottieri che attraversano come comete sanguinose il cielo del mondo e spariscono in un silenzio di morte, piccoli uomini che la macina della storia travolge nel suo movimento, umili che con operosa pazienza si conquistano la loro parte di gioia; visioni sempre più vaste, che dal disegno ristretto ed incerto del Carmagnola si aprono al quadro più largo e più mosso dell'Adelchi, si allargano all'affresco complesso ed arioso del romanzo.
Eppure, proprio questa trama di violenza e di sangue, e l'abisso cupo e purpureo che è il cuore dell'uomo politico, attira il Manzoni, che vi affissa affascinato lo sguardo, perché lì, solo lì, in quel mondo aspro ma vero l'animo suo di credente e di poeta può posare appagato. Se il mondo è pieno tutto di Dio, dove può l'uomo coglierne la presenza ed il soffio meglio che in questa realtà dura ma vera, in quest'orma, e sia anche cruenta, dello spirito suo creatore? Come la letteratura romanzesca, immaginazione di un uomo, si scolora innanzi alla storia scaturita dall'immaginazione di Dio! Come la poesia d'invenzione, chiusa nella solita cerchia di piccoli intrighi d'amore, par misera innanzi all'abisso, che è il cuore di un uomo scrutato nell'intrico complesso delle sue mille passioni, innanzi all'intreccio delle mille circostanze diverse che determinano un eroismo o un delitto, la sconfitta o la vittoria di un popolo! E come la fantasia del poeta si accende ad un evento lontano, di cui i documenti non mostrano che la parte tutta esteriore, e per cui occorre non indovinare, ché sarebbe meschino, ma dedurre e intuire le ragioni profonde, ricostruire tutto quello che manca, ricreare in una sola inebriante parola! E non la sola fantasia del poeta, ma tutte le esigenze morali dell'uomo possono riposare appagate in questo contemplare la storia, ché lì in quelle vicende turbinose, in quelle alternanze di cadute e di ascese, l'uomo può verificare le leggi morali, può vedere, direi, confermate dai fatti le verità della fede in cui crede; e il libro della storia è esso sì il gran libro dove il Senno Eterno incide le sue volontà, in caratteri che ogni uomo pensoso può intendere; e grandi lezioni di umiltà, di moralità, di umanità si possono trarre da essa, e il credente può assurgere a uno stato di contemplazione disinteressata e commossa, ed esser preso, alla vista delle sofferenze inutili e delle gioie vane degli uomini, da un senso di terrore e pietà. La catarsi, quella purificazione morale che l'antico filosofo poneva a fine della tragedia, il poeta cristiano la trova nella contemplazione di quella tragedia più vasta e più mossa ch'è la storia dell'uomo, di cui protagonista ed autore è Dio stesso.
Il tema nuovo della poesia del Manzoni è dunque la storia: un ultimo splendido inno che canti l'umanità rinnovata dallo Spirito Santo [la Pentecoste], e poi storia, due tragedie e un romanzo: popoli oppressi e oppressori, condottieri che attraversano come comete sanguinose il cielo del mondo e spariscono in un silenzio di morte, piccoli uomini che la macina della storia travolge nel suo movimento, umili che con operosa pazienza si conquistano la loro parte di gioia; visioni sempre più vaste, che dal disegno ristretto ed incerto del Carmagnola si aprono al quadro più largo e più mosso dell'Adelchi, si allargano all'affresco complesso ed arioso del romanzo.
_(da Formazione e storia della lirica manzoniana, Firenze, Sansoni 1947)