L'oste della Luna Piena
L'oste al palazzo di giustizia (ed. 1840)
È il padrone della locanda della Luna Piena dove Renzo si reca in compagnia del poliziotto travestito, in seguito ai tumulti del giorno di S. Martino a Milano: compare nei capp. XIV-XV ed è descritto come un uomo "con una faccia pienotta e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e fissi"; nel momento in cui Renzo e il compagno entrano nella taverna (XIV) è seduto accanto alla cappa del camino, intento a rinfocolare la fiamma con le molle, apparentemente distratto ma in realtà attentissimo a tutto ciò che avviene nel suo locale. Il personaggio è molto astuto e accorto, infatti riconosce subito il poliziotto ed è incerto se Renzo sia "cane o lepre", ovvero un poliziotto anche lui o una sua preda; impreca tra sé del fatto che lo sbirro gli capiti tra i piedi proprio in una giornata complicata come quella, senza tuttavia lasciar trasparire alcuna emozione dal suo volto "immobile come un ritratto" (evidentemente l'oste è abituato a dissimulare i suoi pensieri, avendo a che fare con la gente di ogni risma che frequenta il suo locale).
L'oste serve da bere e da mangiare a Renzo e in seguito è obbligato a reggere il gioco al poliziotto, che gli dice che il giovane intende fermarsi a dormire e sa bene che lui dovrà chiedergli il nome e il luogo di provenienza in ossequio a una grida: l'oste lo fa immediatamente e mostra anche una copia della grida a Renzo, che tuttavia rifiuta di dire come si chiama e si lascia andare a imprecazioni contro le leggi e le autorità, attirando l'attenzione di tutti gli altri avventori. L'oste fa chiaramente capire al poliziotto di aver fatto ciò che poteva e mentre si allontana impreca tra sé contro l'ingenuità di Renzo, che si comporta come un "asino" e, oltre a mettere nei guai se stesso, rischia di procurare fastidi anche a lui (l'oste si preoccupa di salvaguardare i suoi affari e di non incorrere nella giustizia in seguito ai torbidi scoppiati in città quel giorno). Alla fine della serata, dopo che il poliziotto si è allontanato, l'oste porta a letto Renzo completamente ubriaco (XV) e, dopo aver inutilmente tentato di estorcergli il nome, lo aiuta a spogliarsi e si preoccupa di farsi pagare il conto, poiché sa bene che il giorno dopo il giovane verrà arrestato e lui rischierà di perdere il suo guadagno. Lascia Renzo addormentato e affida la locanda alla moglie, raccomandandole di osservare una condotta quanto mai cauta, quindi esce e si reca al palazzo di giustizia per rendere la sua deposizione circa la presenza di Renzo nella sua osteria, avendo compreso che il giovane è ormai sospettato di essere uno dei capi della sommossa. Mentre cammina per strada l'oste continua a inveire tra sé contro Renzo, che accusa di essere un ingenuo e di avergli causato guai con l'essere venuto proprio nella sua osteria, rimproverandogli di essere un ignorante e di aver creduto di cambiare il mondo poiché ha visto la folla in tumulto, mentre scoprirà a sue spese che la giustizia è spietata contro i poveri diavoli. Osserva anche che le gride non contano nulla, ma quelle contro gli osti sono fatte rispettare e prevedono pene severissime in termini pecuniari e di galera, quindi non è certo per curiosità se ha chiesto a Renzo il nome e il luogo di provenienza.
Quando giunge al palazzo di giustizia va a rendere la sua testimonianza di fronte a un notaio criminale, lo stesso che il mattino dopo andrà ad arrestare Renzo, e qui scoprirà con sua gran sorpresa che la giustizia sa già il nome del montanaro (il poliziotto è riuscito a farselo rivelare con uno stratagemma). Il notaio lo interroga con fare altero e tracotante, insinuando che l'oste sappia più di quanto dice circa Renzo e i suoi propositi di sedizione, come riguardo al pane che ha portato nella sua osteria, dunque gli raccomanda di sorvegliarlo e di non farlo allontanare dalla locanda, mentre l'uomo risponde con fare manierato e continua a ripetere che non sa nulla e che bada esclusivamente "a far l'oste". Non compare più nel romanzo, neppure quando, il mattino seguente, Renzo sarà tratto in arresto dal notaio e dai due birri che lo accompagnano.
Il personaggio è una delle "macchiette" più riuscite del romanzo, essendo presentato come un astuto gestore di locanda che bada ai propri interessi ed è amico di tutti, ma è anche abile a interagire col poliziotto per amore della quiete e non certo per ossequio alla giustizia: cerca in fondo di aiutare Renzo, maledicendo tuttavia la sua ingenuità e il fatto che, oltre a cacciarsi nei guai, rischia anche di mettergli "sottosopra" l'osteria. La sua figura ha qualche punto di contatto con l'oste del locale del paese dei due promessi (cap. VII), fin troppo sollecito a informare i bravi circa Renzo e i suoi amici mentre aveva risposto in modo evasivo alle domande del giovane sui due sgherri, da lui definiti "galantuomini" (anch'egli in fondo badava ai propri interessi e cercava di scansare i guai, non necessariamente con una condotta limpida). La caratterizzazione del personaggio è in tono con quella dell'osteria come "luogo di perdizione", che infatti ha un ruolo essenziale nel percorso di "formazione" cui va incontro Renzo nelle vicende del romanzo.
L'oste serve da bere e da mangiare a Renzo e in seguito è obbligato a reggere il gioco al poliziotto, che gli dice che il giovane intende fermarsi a dormire e sa bene che lui dovrà chiedergli il nome e il luogo di provenienza in ossequio a una grida: l'oste lo fa immediatamente e mostra anche una copia della grida a Renzo, che tuttavia rifiuta di dire come si chiama e si lascia andare a imprecazioni contro le leggi e le autorità, attirando l'attenzione di tutti gli altri avventori. L'oste fa chiaramente capire al poliziotto di aver fatto ciò che poteva e mentre si allontana impreca tra sé contro l'ingenuità di Renzo, che si comporta come un "asino" e, oltre a mettere nei guai se stesso, rischia di procurare fastidi anche a lui (l'oste si preoccupa di salvaguardare i suoi affari e di non incorrere nella giustizia in seguito ai torbidi scoppiati in città quel giorno). Alla fine della serata, dopo che il poliziotto si è allontanato, l'oste porta a letto Renzo completamente ubriaco (XV) e, dopo aver inutilmente tentato di estorcergli il nome, lo aiuta a spogliarsi e si preoccupa di farsi pagare il conto, poiché sa bene che il giorno dopo il giovane verrà arrestato e lui rischierà di perdere il suo guadagno. Lascia Renzo addormentato e affida la locanda alla moglie, raccomandandole di osservare una condotta quanto mai cauta, quindi esce e si reca al palazzo di giustizia per rendere la sua deposizione circa la presenza di Renzo nella sua osteria, avendo compreso che il giovane è ormai sospettato di essere uno dei capi della sommossa. Mentre cammina per strada l'oste continua a inveire tra sé contro Renzo, che accusa di essere un ingenuo e di avergli causato guai con l'essere venuto proprio nella sua osteria, rimproverandogli di essere un ignorante e di aver creduto di cambiare il mondo poiché ha visto la folla in tumulto, mentre scoprirà a sue spese che la giustizia è spietata contro i poveri diavoli. Osserva anche che le gride non contano nulla, ma quelle contro gli osti sono fatte rispettare e prevedono pene severissime in termini pecuniari e di galera, quindi non è certo per curiosità se ha chiesto a Renzo il nome e il luogo di provenienza.
Quando giunge al palazzo di giustizia va a rendere la sua testimonianza di fronte a un notaio criminale, lo stesso che il mattino dopo andrà ad arrestare Renzo, e qui scoprirà con sua gran sorpresa che la giustizia sa già il nome del montanaro (il poliziotto è riuscito a farselo rivelare con uno stratagemma). Il notaio lo interroga con fare altero e tracotante, insinuando che l'oste sappia più di quanto dice circa Renzo e i suoi propositi di sedizione, come riguardo al pane che ha portato nella sua osteria, dunque gli raccomanda di sorvegliarlo e di non farlo allontanare dalla locanda, mentre l'uomo risponde con fare manierato e continua a ripetere che non sa nulla e che bada esclusivamente "a far l'oste". Non compare più nel romanzo, neppure quando, il mattino seguente, Renzo sarà tratto in arresto dal notaio e dai due birri che lo accompagnano.
Il personaggio è una delle "macchiette" più riuscite del romanzo, essendo presentato come un astuto gestore di locanda che bada ai propri interessi ed è amico di tutti, ma è anche abile a interagire col poliziotto per amore della quiete e non certo per ossequio alla giustizia: cerca in fondo di aiutare Renzo, maledicendo tuttavia la sua ingenuità e il fatto che, oltre a cacciarsi nei guai, rischia anche di mettergli "sottosopra" l'osteria. La sua figura ha qualche punto di contatto con l'oste del locale del paese dei due promessi (cap. VII), fin troppo sollecito a informare i bravi circa Renzo e i suoi amici mentre aveva risposto in modo evasivo alle domande del giovane sui due sgherri, da lui definiti "galantuomini" (anch'egli in fondo badava ai propri interessi e cercava di scansare i guai, non necessariamente con una condotta limpida). La caratterizzazione del personaggio è in tono con quella dell'osteria come "luogo di perdizione", che infatti ha un ruolo essenziale nel percorso di "formazione" cui va incontro Renzo nelle vicende del romanzo.