Don Rodrigo

F. Gonin, Don Rodrigo
È il signorotto del paese di Renzo e Lucia, un aristocratico che vive di rendita e abita in un palazzotto situato a metà strada tra il paese stesso e Pescarenico: personaggio malvagio del romanzo, si incapriccia di Lucia e decide di sedurla in seguito a una scommessa fatta col cugino Attilio, per poi intestardirsi in questo infame proposito al fine di non sfigurare di fronte agli amici nobili e, quindi, per ragioni di puntiglio cavalleresco. A questo scopo manda due bravi a minacciare il curato don Abbondio perché non celebri il matrimonio fra i due promessi (cap. I), e in seguito tenta senza successo di far rapire la ragazza dalla sua casa (VIII); si rivolgerà poi all'innominato per ritentare l'impresa quando la giovane è protetta nel convento di Gertrude, a Monza, ma l'inattesa conversione del bandito manderà a monte i suoi progetti criminosi (XX ss.). Riesce a far allontanare padre Cristoforo da Pescarenico tramite l'intervento del conte zio, che esercita indebite pressioni politiche sul padre provinciale dei cappuccini, e in seguito allo scandalo suscitato dalla conversione dell'innominato lascia il paese per trasferirsi a Milano, dove si ammala di peste e viene ricoverato al lazzaretto. Qui morirà, lasciandoci nel dubbio se si sia ravveduto o meno dei peccati commessi (ottiene comunque il perdono di Renzo, cui il nobile agonizzante viene mostrato da padre Cristoforo).
Viene presentato come un uomo relativamente giovane, con meno di quarant'anni (ci viene detto nel cap. VI, quando è presentato il servitore che informerà padre Cristoforo del progettato rapimento di Lucia) e di lui non c'è una vera e propria descrizione fisica; appartiene a una famiglia di antico blasone, come dimostra l'appartenenza ad essa del conte zio, membro del Consiglio Segreto e politico influente, anche se il nome del casato non viene mai fatto. Non sappiamo molto del suo passato, salvo il fatto che il padre era uomo di tempra ben diversa e Rodrigo, rimasto erede del suo patrimonio, si è dimostrato figlio degenere. Alla fine della vicenda verrà introdotto il suo erede, un marchese che entra in possesso di tutti i suoi beni e che, su suggerimento di don Abbondio, acquisterà le terre di Renzo e Agnese a un prezzo molto alto, per risarcirli dei danni subìti e consentir loro di trasferirsi nel Bergamasco; in seguito fa anche in modo che la cattura che pesa su Renzo venga annullata, dimostrando quindi di essere un galantuomo ben diverso dal suo defunto parente.
Don Rodrigo è ovviamente un malvagio, ma mediocre e di mezza tacca, come più volte è evidenziato nel romanzo: la sua persecuzione ai danni di Lucia non nasce da un'ossessione amorosa, ma è più un atto di prepotenza sessuale di un nobile su una povera contadina, oltretutto a causa di una sciocca scommessa fatta col cugino; egli è il rappresentante di quella aristocrazia oziosa e improduttiva che Manzoni critica spesso e che esercita soprusi sui deboli più per passatempo che per crudeltà gratuita. Compare per la prima volta direttamente solo nel cap. V, dopo che il suo nome è stato più volte evocato e sempre associato a un'aura di terrore, mentre alla sua apparizione il personaggio risulterà assai deludente. Don Rodrigo si mostra timoroso della giustizia e delle leggi, il che lo porta a cercare l'appoggio e la complicità di importanti magistrati come il podestà di Lecco, o di legali come il dottor Azzecca-garbugli, mentre nutre un sincero terrore per tutto ciò che riguarda la religione e l'aldilà, come è evidente nel colloquio con padre Cristoforo nel cap. VI (la frase "Verrà un giorno..." pronunciata dal cappuccino col dito puntato scatena la sua ira e tale gesto ricorrerà nel sogno del cap. XXXIII, quando il nobile si scoprirà ammalato di peste). La piccolezza morale del personaggio è sottolineata nella scena del cap. XI, quando il signorotto attende con impazienza il ritorno dei bravi inviati a rapire Lucia e pensa tra sé alle possibili conseguenze di quell'atto scellerato (soprattutto, pensa alla protezione che l'amico podestà e il nome della famiglia potranno assicurargli) e la sua grettezza emergerà poi nel confronto con l'innominato, personaggio che dimostra una notevole statura morale tanto nella malvagità quanto nel successivo ravvedimento (per approfondire: L. Russo, Don Rodrigo uomo senza originalità e grandezza).
Nel Fermo e Lucia la fine del personaggio era decisamente diversa, poiché Rodrigo (moribondo per la peste e in preda al delirio) balzava su un cavallo dopo aver visto Lucia e lo spronava al galoppo, cadendo rovinosamente e morendo così sicuramente in disgrazia (nei Promessi Sposi, invece, la notizia della sua morte giunge al paese solo nel cap. XXXVIII; si veda il brano La morte di don Rodrigo).
Questi i capitoli in cui compare:
Viene presentato come un uomo relativamente giovane, con meno di quarant'anni (ci viene detto nel cap. VI, quando è presentato il servitore che informerà padre Cristoforo del progettato rapimento di Lucia) e di lui non c'è una vera e propria descrizione fisica; appartiene a una famiglia di antico blasone, come dimostra l'appartenenza ad essa del conte zio, membro del Consiglio Segreto e politico influente, anche se il nome del casato non viene mai fatto. Non sappiamo molto del suo passato, salvo il fatto che il padre era uomo di tempra ben diversa e Rodrigo, rimasto erede del suo patrimonio, si è dimostrato figlio degenere. Alla fine della vicenda verrà introdotto il suo erede, un marchese che entra in possesso di tutti i suoi beni e che, su suggerimento di don Abbondio, acquisterà le terre di Renzo e Agnese a un prezzo molto alto, per risarcirli dei danni subìti e consentir loro di trasferirsi nel Bergamasco; in seguito fa anche in modo che la cattura che pesa su Renzo venga annullata, dimostrando quindi di essere un galantuomo ben diverso dal suo defunto parente.
Don Rodrigo è ovviamente un malvagio, ma mediocre e di mezza tacca, come più volte è evidenziato nel romanzo: la sua persecuzione ai danni di Lucia non nasce da un'ossessione amorosa, ma è più un atto di prepotenza sessuale di un nobile su una povera contadina, oltretutto a causa di una sciocca scommessa fatta col cugino; egli è il rappresentante di quella aristocrazia oziosa e improduttiva che Manzoni critica spesso e che esercita soprusi sui deboli più per passatempo che per crudeltà gratuita. Compare per la prima volta direttamente solo nel cap. V, dopo che il suo nome è stato più volte evocato e sempre associato a un'aura di terrore, mentre alla sua apparizione il personaggio risulterà assai deludente. Don Rodrigo si mostra timoroso della giustizia e delle leggi, il che lo porta a cercare l'appoggio e la complicità di importanti magistrati come il podestà di Lecco, o di legali come il dottor Azzecca-garbugli, mentre nutre un sincero terrore per tutto ciò che riguarda la religione e l'aldilà, come è evidente nel colloquio con padre Cristoforo nel cap. VI (la frase "Verrà un giorno..." pronunciata dal cappuccino col dito puntato scatena la sua ira e tale gesto ricorrerà nel sogno del cap. XXXIII, quando il nobile si scoprirà ammalato di peste). La piccolezza morale del personaggio è sottolineata nella scena del cap. XI, quando il signorotto attende con impazienza il ritorno dei bravi inviati a rapire Lucia e pensa tra sé alle possibili conseguenze di quell'atto scellerato (soprattutto, pensa alla protezione che l'amico podestà e il nome della famiglia potranno assicurargli) e la sua grettezza emergerà poi nel confronto con l'innominato, personaggio che dimostra una notevole statura morale tanto nella malvagità quanto nel successivo ravvedimento (per approfondire: L. Russo, Don Rodrigo uomo senza originalità e grandezza).
Nel Fermo e Lucia la fine del personaggio era decisamente diversa, poiché Rodrigo (moribondo per la peste e in preda al delirio) balzava su un cavallo dopo aver visto Lucia e lo spronava al galoppo, cadendo rovinosamente e morendo così sicuramente in disgrazia (nei Promessi Sposi, invece, la notizia della sua morte giunge al paese solo nel cap. XXXVIII; si veda il brano La morte di don Rodrigo).
Questi i capitoli in cui compare:
Lucia racconta di averlo incontrato per strada, in compagnia del conte Attilio, e del fatto che il nobile l'ha molestata con chiacchiere volgari. Riferisce di averlo sentito parlare di una "scommessa" con l'altro signore.
Riceve la visita di padre Cristoforo nel suo palazzo, dove sta pranzando con altri convitati. Si comporta in modo volgare ricordando al frate il suo passato e coinvolgendolo nella disputa cavalleresca tra Attilio e il podestà. Alla fine si alza da tavola e si apparta col frate in una sala. Parla con padre Cristoforo nel suo palazzo, dapprima eludendo i suoi tentativi di farlo rinsavire e poi proponendo in modo provocatorio che Lucia venga a mettersi sotto la sua protezione. Il frate lo accusa apertamente e il nobile lo caccia in malo modo. Dopo il colloquio con padre Cristoforo cammina su e giù per la sala del palazzo, osservando i ritratti alle pareti degli antenati, poi esce per una passeggiata (nel corso di essa entra in una casa di tolleranza). A sera cena col conte Attilio, che lo punzecchia riguardo alla scommessa e lui ribatte che S. Martino, ovvero il termine fissato, non è ancora passato. Risponde alle altre canzonature del cugino raddoppiando la posta e senza rivelare altri dettagli sui suoi piani. Il giorno dopo chiama il Griso e gli ordina di rapire Lucia. Attende con impazienza il ritorno del Griso e dei bravi inviati a rapire Lucia, poi apprende dal suo sgherro i dettagli circa il fallimento dell'impresa. Ordina al Griso di raccogliere informazioni sull'accaduto, poi il giorno dopo informa il conte Attilio della cosa ed è rassicurato da lui circa il fatto che non ci saranno conseguenze. Apprende dal Griso che Renzo e Lucia sono fuggiti a Pescarenico e, in seguito, che la giovane è a Monza e il suo promesso sposo a Milano. Manda il Griso a Monza per raccogliere ulteriori dettagli e pensa come far sì che Renzo sia accusato di qualche reato e bandito dallo Stato. Apprende con soddisfazione che Renzo è ricercato dalla giustizia in seguito al tumulto di S. Martino e il Griso lo informa che Lucia è nascosta nel convento di Gertrude a Monza. Sta per rinunciare all'impresa a causa delle troppe difficoltà, ma il timore di essere deriso dagli amici lo spinge a continuare. Viene informato da Attilio che il conte zio farà trasferire padre Cristoforo da Pescarenico e questo lo induce a chiedere l'aiuto dell'innominato. Parte alla volta del castello dell'innominato, a cavallo e in tenuta da caccia, scortato dal Griso e da quattro bravi. Giunge al castello dell'innominato e parla da solo col bandito, cui chiede aiuto per rapire Lucia dal convento di Monza. Riceve la risposta positiva dell'innominato e viene rapidamente congedato, con la promessa di ricevere presto istruzioni su ciò che dovrà fare. Riceve l'imprevista notizia della liberazione di Lucia in seguito alla conversione dell'innominato, nonché del prossimo arrivo del cardinal Borromeo in paese. Parte per Milano assieme al Griso e ad altri bravi, per non essere costretto a omaggiare il cardinale come si aspetterebbe il conte zio. Una sera, a Milano, durante l'epidemia di peste, torna a casa da una cena con amici e accusa i primi sintomi della malattia. Nella notte fa un sogno angoscioso in cui rivede padre Cristoforo che punta contro di lui il dito, come nel cap. VI. Risvegliatosi, scopre di avere la peste e prega il Griso di chiamare un medico compiacente che non denuncia i malati. Il Griso lo tradisce e lo consegna ai monatti per derubarlo. I monatti lo portano privo di sensi al lazzaretto. Al lazzaretto, padre Cristoforo lo mostra agonizzante e privo di coscienza a Renzo, che prega per la salvezza della sua anima. Renzo informa don Abbondio della sua morte e dell'arrivo in paese del marchese suo erede, fatto poi confermato dal sagrestano Ambrogio. |