Milano

Antica mappa di Milano (XVI sec.)
È la principale città lombarda del XVII secolo e la sede del governo spagnolo dell'epoca, nonché la capitale dell'omonimo Ducato e uno dei principali centri dell'Italia settentrionale: rappresenta l'unica reale ambientazione urbana di cui l'autore fornisca una descrizione diretta e dettagliata nel corso del romanzo, in cui essa è lo scenario di due importanti episodi narrativi (il primo viaggio di Renzo, in occasione del tumulto per il pane dell'11 novembre 1628, e il secondo viaggio quando la città è sconvolta dalla peste del 1630). Milano è mostrata come una una grande città caotica e tumultuosa, malsana, dominata da una folla disordinata e violenta che si contrappone alla pacifica e quieta popolazione contadina dei piccoli centri (il Bergamasco, il paese dei due promessi...), in accordo con la visione manzoniana che privilegia le ambientazioni rurali e rappresenta quelle cittadine come negative e piene di vizi morali. Non a caso sarà soprattutto Renzo ad essere protagonista di varie "disavventure" nelle strade della metropoli, all'interno di un percorso morale che sarà occasione per lui di crescita umana e di "formazione" (specie in occasione del secondo viaggio, in cui l'attraversamento della città flagellata dalla peste appare quasi come una "discesa agli inferi"), mentre Lucia, pur essendo presente come personaggio in questo spazio narrativo, non vi viene quasi mai mostrata se non all'interno della casa di donna Prassede e don Ferrante, oppure nel lazzaretto che costituisce una sorta di universo separato e in certo modo indipendente dalla realtà cittadina in cui pure è inserito. Fanno parte dell'ambientazione milanese anche il forno delle Grucce e l'osteria della Luna Piena, per cui si rimanda alle rispettive voci.
È quasi inutile sottolineare che Milano riveste grande importanza nell'economia narrativa del romanzo e molte pagine sono dedicate alla sua descrizione, sia per l'effettiva importanza della città fin dai tempi più antichi, sia in quanto luogo in cui l'autore è nato e ha trascorso quasi la sua intera vita, per cui la conoscenza che Manzoni ha di tale ambientazione riflette la sua personale esperienza (la stessa cosa, del resto, può dirsi per tutti gli altri luoghi del romanzo, non a caso posti anch'essi in Lombardia). Lo scrittore ricostruisce l'ambiente della Milano del Seicento basandosi sulle testimonianze degli storici dell'epoca, che egli consulta scrupolosamente e non manca di citare all'occasione.
È quasi inutile sottolineare che Milano riveste grande importanza nell'economia narrativa del romanzo e molte pagine sono dedicate alla sua descrizione, sia per l'effettiva importanza della città fin dai tempi più antichi, sia in quanto luogo in cui l'autore è nato e ha trascorso quasi la sua intera vita, per cui la conoscenza che Manzoni ha di tale ambientazione riflette la sua personale esperienza (la stessa cosa, del resto, può dirsi per tutti gli altri luoghi del romanzo, non a caso posti anch'essi in Lombardia). Lo scrittore ricostruisce l'ambiente della Milano del Seicento basandosi sulle testimonianze degli storici dell'epoca, che egli consulta scrupolosamente e non manca di citare all'occasione.
Milano e il tumulto di S. Martino

F. Gonin, I rivoltosi di Milano
La città compare per la prima volta alla fine del cap. XI, quando Renzo giunge in vista della sagoma del duomo e si ferma ad ammirarla da lontano, vedendola con grande stupore per la prima volta (l'autore definisce l'edificio come "ottava meraviglia" e indica che esso sembra sorgere in mezzo a un deserto, poiché svetta isolato verso il cielo). Dopo aver ricevuto indicazioni da un passante, il giovane giunge nei pressi di Porta Orientale seguendo una strada che costeggia il lazzaretto e Manzoni si affretta a precisare che l'aspetto di quei luoghi era, all'epoca del romanzo, assai diverso da quello dei suoi tempi: la porta è formata da due pilastri e una tettoia, con la "casuccia" dei gabellieri da un lato, e la strada che conduce all'interno della città è impervia, divisa in due da un piccolo fossato che si perde in una fogna vicino alla via del Borghetto (nelle vicinanze c'è la colonna con la croce di S. Dionigi). Renzo giunge poi al convento dei cappuccini che sorge in una piazzetta in cui ai tempi dell'autore si trovava il palazzo Rocca-Saporiti, costruito nel 1812; nelle vicinanze si trova Corsia dei Servi (l'odierno corso Vittorio Emanuele) e qui il famoso forno delle Grucce, dove è in corso l'assalto per il pane (è il giorno di S. Martino del 1628) e dove poco dopo giunge anche Renzo, in tempo per assistere alla quasi totale distruzione della bottega (XII).
In seguito la folla in tumulto si sposta verso il Cordusio, dove si sparge la voce che sia in corso l'assalto a un altro forno (Manzoni la definisce una "piazzetta", mentre oggi è una delle più note e centrali di Milano), quindi passa per la strada di Pescheria vecchia e in piazza dei Mercanti, dove è descritta l'antica statua realizzata da Andrea Biffi che raffigura il sovrano spagnolo Filippo II (l'autore spiega che la statua venne alterata e trasformata in un Marco Bruto al tempo della Rivoluzione francese, per poi essere abbattuta dopo il rientro degli Austriaci a Milano). Nelle vicinanze sorge anche la casa del vicario di Provvisione, dove poi si dirige la folla per assediarla e linciare il funzionario che è accusato a torto di essere responsabile del rincaro del pane e della carestia (XIII). Da qui Renzo si recherà poi insieme al poliziotto travestito all'osteria della Luna Piena (XIV), dove il mattino dopo verrà arrestato dal notaio criminale e dai birri (XV); in seguito a una fuga rocambolesca, esce dalla città ripercorrendo la stessa strada fatta il giorno prima (XVI) e passando nuovamente da Porta Orientale, che gli è stata indicata come quella che immette sulla strada per Bergamo (il giovane intende rifugiarsi qui dopo aver oltrepassato il confine tra lo Stato di Milano e il territorio della Repubblica Veneta). I disordini di piazza del giorno 12 novembre verranno poi narrati dal mercante all'osteria di Gorgonzola (XVI), il quale riferirà del nuovo tentativo di assalto alla casa del vicario e del saccheggio del forno al Cordusio, che la folla voleva incendiare anche se è stata dissuasa da tale proposito dalla processione dei monsignori del duomo in "cappa magna" (l'episodio è storico ed è citato da G. Ripamonti nel suo trattato sulla peste del 1630).
In seguito la folla in tumulto si sposta verso il Cordusio, dove si sparge la voce che sia in corso l'assalto a un altro forno (Manzoni la definisce una "piazzetta", mentre oggi è una delle più note e centrali di Milano), quindi passa per la strada di Pescheria vecchia e in piazza dei Mercanti, dove è descritta l'antica statua realizzata da Andrea Biffi che raffigura il sovrano spagnolo Filippo II (l'autore spiega che la statua venne alterata e trasformata in un Marco Bruto al tempo della Rivoluzione francese, per poi essere abbattuta dopo il rientro degli Austriaci a Milano). Nelle vicinanze sorge anche la casa del vicario di Provvisione, dove poi si dirige la folla per assediarla e linciare il funzionario che è accusato a torto di essere responsabile del rincaro del pane e della carestia (XIII). Da qui Renzo si recherà poi insieme al poliziotto travestito all'osteria della Luna Piena (XIV), dove il mattino dopo verrà arrestato dal notaio criminale e dai birri (XV); in seguito a una fuga rocambolesca, esce dalla città ripercorrendo la stessa strada fatta il giorno prima (XVI) e passando nuovamente da Porta Orientale, che gli è stata indicata come quella che immette sulla strada per Bergamo (il giovane intende rifugiarsi qui dopo aver oltrepassato il confine tra lo Stato di Milano e il territorio della Repubblica Veneta). I disordini di piazza del giorno 12 novembre verranno poi narrati dal mercante all'osteria di Gorgonzola (XVI), il quale riferirà del nuovo tentativo di assalto alla casa del vicario e del saccheggio del forno al Cordusio, che la folla voleva incendiare anche se è stata dissuasa da tale proposito dalla processione dei monsignori del duomo in "cappa magna" (l'episodio è storico ed è citato da G. Ripamonti nel suo trattato sulla peste del 1630).
Milano e la peste

F. Gonin, Il cardinale visita i malati
L'infuriare della terribile epidemia di peste del 1630 è descritto dall'autore nei capp. XXXI-XXXII, in cui è presente un'ampia digressione storica sulle cause e sulle conseguenze del morbo a Milano, anche se la città è ancora lo scenario della pestilenza nei capp. successivi in cui Renzo torna a Milano in cerca di Lucia. L'autore spiega come la peste sia entrata in città soprattutto a causa dell'incuria e della negligenza delle autorità di governo, che non hanno stabilito un cordone sanitario intorno a Milano e hanno così permesso che vi entrasse un soldato in possesso di panni acquistati o rubati a un fante tedesco, nelle file del cui esercito covava da tempo l'epidemia. L'uomo si ammala in casa di suoi parenti, presso Porta Orientale, e viene portato in un ospedale dove muore pochi giorni dopo, mentre sul suo corpo viene scoperto un bubbone quale segno terribile della malattia (in seguito il quartiere di Porta Orientale sarà uno dei più colpiti dal flagello). Nei giorni seguenti i casi di peste iniziano a moltiplicarsi e gli ammalati, sempre più numerosi, vengono ricoverati al lazzaretto, area già destinata a raccogliere accattoni e indigenti al tempo della carestia; man mano che la malattia miete vittime, cresce tra la popolazione il sospetto circa l'azione criminale degli untori, anche a causa di uno strano fatto avvenuto la mattina del 18 maggio (le muraglie e le porte di ogni punto della città vengono imbrattate di certa sostanza giallastra, innocua ma subito attribuita dalla voce popolare alla mano degli untori). L'autore riferisce di alcuni episodi di linciaggio avvenuti in seguito, ovvero un vecchio che viene aggredito nel duomo perché accusato di ungere le panche e tre giovani francesi che subiscono il linciaggio fuori dalla stessa chiesa, perché vengono visti toccarne le mura; il 21 giugno avviene l'arresto del commissario di Sanità Guglielmo Piazza, poi accusato insieme al barbiere Mora e ad altri di essere un untore e condannato a morte (l'esecuzione avverrà il 1° agosto).
Il giorno 11 giugno avviene una processione per le vie della città in cui viene esposto il corpo di S. Carlo Borromeo, per invocare il soccorso divino contro la terribile calamità: il rituale si svolge nonostante le iniziali perplessità del cardinal Federigo, per il timore di "attentati" da parte degli untori, e il corteo raggiunge tutti i quartieri di Milano, sostando presso le croci benedette da S. Carlo in occasione della fine della peste del 1576. Il risultato della processione è il propagarsi ancor più rapido della peste e un aumento immediato dei decessi per l'affollarsi del popolo nelle strade, anche se i cittadini attribuiscono ciò ancora una volta agli untori che avrebbero sparso le loro polveri venefiche.
Il giorno 11 giugno avviene una processione per le vie della città in cui viene esposto il corpo di S. Carlo Borromeo, per invocare il soccorso divino contro la terribile calamità: il rituale si svolge nonostante le iniziali perplessità del cardinal Federigo, per il timore di "attentati" da parte degli untori, e il corteo raggiunge tutti i quartieri di Milano, sostando presso le croci benedette da S. Carlo in occasione della fine della peste del 1576. Il risultato della processione è il propagarsi ancor più rapido della peste e un aumento immediato dei decessi per l'affollarsi del popolo nelle strade, anche se i cittadini attribuiscono ciò ancora una volta agli untori che avrebbero sparso le loro polveri venefiche.
Renzo a Milano durante la peste

F. Gonin, Renzo a Porta Nuova
_La città è poi mostrata nel cap. XXXIV, quando Renzo vi giunge dal suo paese deciso a trovare Lucia che è ospitata in casa di don Ferrante e donna Prassede: questa volta il giovane entra a Milano passando per Porta Nuova, approfittando della presenza di alcuni monatti
con una barella e gettando poi una moneta alla guardia che lo lascia
entrare. Renzo percorre la via che conduce al canale del Naviglio (oggi
corso di Porta Nuova), dirigendosi verso la colonna di Sant'Eusebio, per
poi fermarsi all'incrocio con strada Santa Teresa (oggi via Moscova)
dove incontra il cittadino che lo scambia per un untore. Arrivato al
ponte sul Naviglio, Renzo svolta a sinistra nella strada di S. Marco e
qui parla con la donna che si affaccia dalla casa il cui uscio è stato
inchiodato dai commissari di Sanità; in seguito raggiunge piazza S.
Marco e vede le macchine della tortura, presenti qui e in ogni altra
piazza della città come deterrente per saccheggiatori,
confinati che escano di casa, facinorosi. In seguito attraversa la piazza e costeggia il canale sulla sinistra, attraversando il Ponte Marcellino e arrivando in Borgo Nuovo, dove parla col prete che lo indirizza alla casa di don Ferrante. Più tardi giunge al carrobio di Porta Nuova, un incrocio di strade con una grande croce nel mezzo e di fronte ad essa la vecchia chiesa di Sant'Anastasia (è l'odierno incrocio tra via Montenapoleone e via Manzoni), luogo desolato e praticamente privo di abitanti fuggiti a causa del contagio, mentre il quartiere in cui entra successivamente ha un aspetto non meno squallido, poiché ci sono molti cadaveri abbandonati in strada e carri di monatti che vanno avanti e indietro, mentre gli usci sono chiusi e i pochi passanti si mostrano inselvatichiti e diffidenti. Dopo il commovente episodio della madre di Cecilia, Renzo giunge all'incrocio tra le attuali vie Pietro Verri e Montenapoleone e trova poco lontano la casa di don Ferrante, dove è informato del fatto che Lucia è al lazzaretto; qui viene accusato di essere un untore e trova scampo sul carro dei monatti, che lo portano al lazzaretto lungo il corso di Porta Orientale, lo stesso che aveva percorso nel novembre 1628 in occasione della sua prima venuta a Milano. Al lazzaretto Renzo troverà padre Cristoforo e poi Lucia, in compagnia della mercantessa, uscendone poi a sera per tornare al suo paese (capp. XXXV-XXXVI).